Ecco un altro argomento di cui si parla spesso fra amici, nei salotti buoni, nei talk show televisivi, sui social, senza che chi ne parla si sia intelligentemente documentato: la carne coltivata. È ormai un vezzo diffuso quello dei tuttologi che sciorinano dati e concetti troppo spesso inventati, a volte anche con finalità politiche.
Nel dicembre scorso, presso la nostra Accademia dei Georgofili si è svolta una mattinata di presentazione e di discussione sull’argomento.
Il contenuto degli interventi, tutti interessanti e basati su fonti ovviamente attendibili, rimane agli atti dell’Accademia per la futura consultazione.
Ma lasciatemi fare qualche osservazione di carattere personale (non mi posso trattenere), conseguenza soprattutto dell’intervento di Anna Nudda. La quale ci ha illustrato, passo per passo, come viene “costruita” la carne coltivata.
Per cominciare bisogna partire da animali donatori che forniscano per biopsia o al macello le cellule staminali di partenza. Per l’animale non credo sia gradevole né la prima né la seconda pratica.
In secondo luogo le cellule prelevate vengono coltivate in bioreattori con siero di bovine gravide come terreno di coltura, a temperatura controllata e in ambienti sterili, per farle crescere e differenziare in cellule muscolari.
Non c’è bisogno di tanta perspicacia per immaginare che questa fase della “coltivazione” richieda energia e sospettare che questa energia sia elettrica, prodotta magari con l’impiego di fonti fossili. E poi, come ci insegna il nostro maestro Lavoisier, poiché niente si crea e niente si distrugge, perché si crei qualcosa sono necessari apporti di materiale nutritivo nei bioreattori, di aminoacidi, di minerali e di fonti energetiche come il glucosio e gli acidi grassi per le biosintesi, insieme all’ossigeno per la respirazione cellulare, respirazione che finisce, inevitabilmente per produrre CO2. Fatti i calcoli, sembra che la quantità di CO2 equivalente prodotta sia il triplo di quella dispersa nell’ambiente da un bovino che cresce naturalmente, per unità di peso di carne.
Inoltre, per stare tranquilli e mettersi al riparo da possibili patogeni, si aggiungono anche antibiotici e leuchine. Non basta, per accelerare la crescita della futura carne artificiale, si aggiungono anche ormoni. E si adottano pratiche di purificazione da endotossine.
Per finire, la prof. Nudda ha fatto una considerazione inquietante: siamo sicuri che durante il processo di accrescimento della carne artificiale in vitro tutte le duplicazioni del DNA procedano correttamente senza degenerare verso la formazione di tessuti potenzialmente cancerogeni?
Al termine della giornata di studio confesso di essere rimasto con un senso generico di disagio, di fronte alla prospettiva di dovere, in futuro, mangiare una bistecca artificiale. Soprattutto per la possibile presenza di ormoni, antibiotici e chi sa cos’altro. Senza contare che, allo stato attuale, la carne artificiale costa sicuramente di più, la sua coltura produce più gas serra di quella della carne naturale e gli effetti sulla salute dei consumatori sono ancora da chiarire.
Per non parlare degli interessi delle grosse industrie multinazionali che potrebbero creare dei problemi ai nostri allevatori, spesso conduttori di aziende di piccole dimensioni.
Staremo a vedere. Per il momento perseverò nella abitudine di gradire una bella bistecca alla fiorentina.