Nella serata del 2 novembre scorso una ristretta fascia della Toscana settentrionale da Livorno all’alto Mugello è stata investita da un evento idrometeorico di intensità eccezionale. Le piogge sono risultate particolarmente intense nell’area pratese, portando all’esondazione di numerosi corsi d’acqua. I massimi di precipitazione sono stati misurati nella media e bassa valle del Bisenzio, dove al pluviometro di Vaiano gestito dal Servizio Idrologico Regionale (SIR) sono stati misurati cumulativamente sulle 24 ore 187,6 mm di pioggia, dei quali 168 caduti in poco più di 5 ore (dalle 16,00 alle 21,00) e 90 in sole 2 ore (dalle 19,00 alle 21,00), in sostanza la piovosità media di due mesi in 5 ore e di un mese in appena 2 ore. All’idrometro di Gamberame, posto in prossimità dello sbocco della valle nella piana pratese, la piena del fiume ha toccato i 5,93 metri sullo zero idrometrico, valore questo che non ha precedenti negli annali, superiore di ben 2 metri ai 4 registrati il 21/10/2013 che rappresentavano la massima altezza di piena storicamente registrata da questo idrometro e più del doppio della piena del 4/11/1966 che raggiunse un’altezza di “appena” m 2,70 ed una portata di colmo di 302 m3/sec. In attesa dei dati validati dal SIR, la portata corrispondente ai 5,93 metri può essere stimata in circa 600 m3/sec (in base alla scala di deflusso elaborata per la sezione dallo stesso SIR), quindi il doppio di quella del 1966 che nell’immaginario collettivo resta la più disastrosa per l’alta Toscana.
L’eccezionale intensità del fenomeno, per il quale si può stimare un tempo di ritorno attorno ai 500 anni, ha messo logicamente in crisi il sistema regimante dell’intero Comune di Vaiano e di parte di quello di Cantagallo, con diffuse esondazioni dei corsi d’acqua laterali e dello stesso Bisenzio, in varie località. Fortunatamente in vallata non si sono registrate vittime, anche perché la pioggia alluvionale ha interessato solo la media e bassa valle, con l’esclusione quindi di una buona metà del territorio bisentino, altrimenti i problemi sarebbero stati assai più seri, anche per la stessa città di Prato. Altro fattore che ha contribuito significativamente ad attenuare la gravità dell’evento è stata la limitata presenza di piante d’alto fusto lungo i corsi d’acqua, in particolare il Bisenzio, grazie all’attenta manutenzione della vegetazione golenale e riparia da sempre attuata in val di Bisenzio, prima dalla locale comunità montana e adesso dal Consorzio di Bonifica n. 3 Medio Valdarno; questo ha impedito sradicamenti diffusi e fluitazione di massa di alberi, salvaguardando dall’ostruzione la luce dei ponti cittadini, in particolare quello del Mercatale, e salvando così da una disastrosa inondazione il centro storico di Prato.
Questo evento si inserisce in un nuovo regime meteo-climatico che vede i fenomeni particolarmente intensi divenire sempre più frequenti. L’aumento della pioggia caduta nell’unità di tempo (intensità) mette logicamente in crisi i reticoli regimanti dei fondovalle e della pianura, dimensionati storicamente per portate di piena non di questa entità. A questo si aggiunga l’abbandono del territorio collinare e montano e con esso delle opere puntuali di regimazione idraulica che in secoli di lavoro l’uomo vi aveva costruito capillarmente e che avevano la funzione non solo di intercettare e convogliare ordinatamente le acque di scorrimento superficiale verso valle, ma anche di rallentarne la velocità. Questa rete, fatta di briglie, muri di sponda, acquidocci agricoli, in val di Bisenzio era di origine antichissima (le prime opere di bonifica montana risalgono al periodo rinascimentale); realizzata perlopiù in pietrame a secco, ha offerto una limitata resistenza alla forza della corrente di piena ed è stata quasi completamente distrutta, dando luogo ad enormi quantità di sedimenti fluitati massivamente verso valle. L’immagine più emblematica di questa alluvione sono proprio gli enormi accumuli di sedimenti allo sbocco in Bisenzio delle vallecole laterali che hanno generato impressionanti sorrenamenti nei tratti terminali degli alvei e l’ostruzione degli attraversamenti, dal semplice tombino stradale ai ponti. Questo ha avuto conseguenze disastrose, per gli insediamenti e la viabilità.
“La piana si difende dal monte”, ammonivano i nostri vecchi, ma negli ultimi decenni abbiamo sottovalutato questo detto, pregno di antica saggezza, confidando per la regimazione delle piene sostanzialmente solo sulle opere di pianura, e adesso se ne subiscono le conseguenze! Onestamente, però, va riconosciuto che un evento di tale portata sarebbe stato comunque difficilmente contenibile, ma se si fosse lavorato un po' di più nella porzione montana dei bacini, costruendo ulteriori opere di regimazione o attuando una manutenzione attenta e capillare dell’esistente (che avevamo la fortuna di possedere, grazie all’accorta opera di chi ci aveva preceduto), qualche mitigazione si sarebbe certamente ottenuta.
Passato il momento dell’emergenza più cruda, le maggiori preoccupazioni provengono ora proprio dalla distruzione del sistema di regimazione idraulica dei corsi d’acqua minori. Venendo meno l’effetto stabilizzante/regimante sugli alvei di briglie e muri di sponda si è instaurata una condizione di pericolo idrogeologico permanente e c’è da attendersi che anche un evento meteorico di modesta intensità possa innescare nuove criticità. Occorreranno anni di duro e costante lavoro per ricostruire quello che è stato devastato in poche ore. Solo per dare un’idea del lavoro che ci aspetta, un censimento condotto dall’allora Comunità Montana della Valle del Bisenzio a metà degli anni 90 del secolo scorso e aggiornato nel 2010 con gli interventi nel frattempo realizzati, individuò quasi 2.000 opere di regimazione idraulica presenti lungo il reticolo idrografico minore della valle, perlopiù concentrate nei comuni di Vaiano e di Cantagallo, opere, badiamo bene, non superflue ma realizzate dove ce n’era realmente di bisogno, nella ferrea logica contadina di spendere energie solo nella misura strettamente necessaria. Di quelle opere, come dicevamo poc’anzi, si è salvato ben poco, sostanzialmente quelle di più recente costruzione, o restaurate, in murature cementate.
Ci sarà bisogno di un impegno straordinario di risorse economiche, maestranze e tecnici qualificati per riportare nel più breve tempo possibile la rete idrografica minore della media-bassa valle a condizioni di sicurezza idrogeologica accettabile. In questo scenario, gli Agronomi ed i Forestali possono essere figure tecniche di riferimento per progettare e dirigere i lavori di ricostruzione delle opere di sistemazione idraulico-forestale ed agraria, sulle quali si incardina la regimazione idraulica della collina e della montagna, poiché conoscono il territorio e posseggono le necessarie competenze tecniche e la sensibilità ecologica per operare in contesti così delicati. Questa volta è sperabile non si commettano gli errori del passato, cioè di considerare le opere proprie dell’idronomia montana meno rilevanti e quindi di priorità inferiore rispetto a quelle da realizzare in pianura, perché solo con un approccio integrato si può ragionevolmente sperare di mitigare gli effetti estremi di un clima impazzito, tenendo ben presente l’antico adagio che “la piana si difende dal monte”!