Nonostante le difficoltà degli ultimi anni che hanno determinato un ridimensionamento della produzione nazionale da 1,4 a 1,0 milioni di tonnellate, l’Italia rimane il più importante paese produttore europeo di uva da tavola. Tra le ragioni della crisi, c’è stato un ritardo nell’aggiornamento varietale dei nostri produttori dalle cultivar più tradizionali con seme alle cultivar apirene, sempre più richieste dai mercati europei verso i quali è diretta l’esportazione italiana. L’Italia, che vanta una storica e positiva attività di miglioramento varietale delle uve da tavola tradizionali con seme con Pirovano, Bogni, Dalmasso, Manzoni, Prosperi, Paglieri, Manzo, è stata assente nel settore delle varietà apirene, dominato dal breeding internazionale, statunitense in particolare, e questo ha contribuito alle attuali difficoltà di mercato.
Alberto Pirovano, il più importante breeder italiano e tra i maggiori a livello internazionale, per la verità, era stato tra i primi a capire l’importanza dell’apirenia per promuovere il consumo di uva da tavola e fece i primi incroci tra Zibibbo (Moscato d’Alessandria) e Sultanina nel 1911 ottenendo le cv Basile Logothetis e Sultana Moscata, incrocio ripetuto nel 1926 ottenendo le cv Maria Pirovano e Rodi, cultivar che il professor Cosmo, direttore della Stazione Sperimentale di Viticoltura e di Enologia di Conegliano, negli anni ’50 del secolo scorso, consigliava, purtroppo senza successo, per la coltivazione nell’Italia meridionale.
Le ultime cultivar italiane di successo commerciale sono state le tradizionali Michele Paglieri e Matilde, introdotte rispettivamente nel 1958 e nel 1962. Il progressivo declino delle varietà con semi e il crescente successo delle apirene ha reso l’Italia sempre più dipendente dalle varietà importate da altri Paesi, in particolare dagli Stati Uniti. Trenta anni fa, quando, timidamente, è iniziata la coltivazione delle uve apirene, diverse cultivar di valore come Flame Seedless, Thompson Seedless, Ruby Seedless, le apirene di Gargiulo (breeder argentino) e, più di recente, Crimson Seedless e Regal erano libere da vincoli giuridici, a differenza di tutte le cultivar successive che sono “brevettate”, sempre più diffuse secondo la formula “club” e a costi crescenti.
All’inizio degli anni ’90, un breeder pugliese privato, lungimirante, Stefano Somma, ha avviato un programma di miglioramento genetico, per qualche anno in collaborazione con l’Istituto Sperimentale per la Frutticoltura di Roma che ha successivamente abbandonato il programma. Il progetto di Somma è confluito nella società Grape and Grape Group con sede a Rutigliano (BA) e ha introdotto diverse cultivar apirene, le più note e coltivate delle quali sono Fiammetta e Luisa. Qualche anno dopo è nata l’iniziativa del Cra Viticoltura di Turi (ora Crea VE) che sotto la guida di Donato Antonacci ha avviato un programma di incroci per la costituzione di uve apirene che ha portato alla realizzazione del Consorzio NuVaUT tra il Crea VE e un gruppo di imprenditori pugliesi del settore per la valorizzazione delle varietà ottenute. Attualmente sono 36 le varietà per le quali è in fase avanzata la procedura per ottenere la privativa europea e la iscrizione al Registro Nazionale (Perniola et al., 2019)
Nel 2015, una ventina di imprenditori del settore di Puglia, Sicilia, Basilicata, Campania e Marche, insieme con il Centro Ricerca Sperimentazione Formazione in Agricoltura (CRSFA) “Basile Caramia” di Locorotondo (BA) e lo Spin off SINAGRI dell’ Università “Aldo Moro” di Bari ha costituito la Rete d’imprese IVC (Italian Variety Club) per la costituzione di varietà apirene e resistenti ai principali parassiti, oidio e peronospora in particolare. Ad oggi sono stati ottenuti circa 30.000 semenzali ed è stata avviata la procedura per ottenere la privativa europea delle prime 5 selezioni, una delle quali resistente all’oidio. L’iniziativa più recente è il Gruppo Operativo SicilGrape, nato nel 2018 a Mazarrone (CT), “capitale” della viticoltura da tavola siciliana, tra le Università di Catania, che aveva avviato un proprio programma di incroci da alcuni anni, e Palermo, il Crea OFA di Acireale, Csei di Catania, Regione Siciliana, OPAS (Organizzazione Produttori Agricoli Siciliani) e Innovitis dell’Università di Catania. Il progetto SicilGrape non prevede solamente il miglioramento varietale, ma anche lo studio e il miglioramento di tutti gli aspetti della filiera, dalla coltivazione alla commercializzazione. Anche l’Università di Udine, che conduce un importante programma di miglioramento genetico dell’uva da vino per resistenza a oidio e peronospora, esegue incroci per uva da tavola con gli stessi obiettivi. Il comparto italiano dell’uva da tavola vive un momento di difficoltà dovuto alla concorrenza dei Paesi produttori mediterranei (Egitto, Israele, Spagna, Grecia …), alla base varietale ancora costituita per la metà della superficie da cultivar tradizionali con semi, per la verità in rapido ridimensionamento, alla dipendenza sempre più onerosa dalle cultivar apirene costituite all’estero e non sempre ben adattabili alle nostre condizioni pedoclimatiche. Le quattro iniziative italiane di miglioramento genetico fanno ben sperare in un futuro che ridia al nostro Paese il ruolo di avanguardia che ha sempre avuto.