Le elezioni europee si avvicinano e, a circa sei mesi dalla data delle votazioni, se ne avvertono sin d’ora i segnali. La politica nazionale è in fermento originando un perpetuo cicaleccio inconcludente e, sostanzialmente, molto povero di reali proposte programmatiche. La storia delle elezioni europee è ormai lunga e meriterebbe un’attenta riflessione per comprenderne l’evoluzione e le conseguenze sullo sviluppo dell’Ue e delle sue politiche, in primis della “figlia primigenia” dell’Ue, la politica agricola comune, PAC. Ad ogni tornata elettorale si rende più evidente che il peso del Parlamento Europeo, è sempre più consistente e, allo stesso tempo, che vi è scarsa conoscenza dei meccanismi istituzionali europei, motivo non ultimo del disamore e delle incomprensioni fra i comuni cittadini e le sedi della politica europea.
Il momento di queste elezioni è fra i più complessi e incerti. L’Italia, l’Ue e il mondo intero rimbalzano da una crisi all’altra. Le conseguenze di quella economica del 2007/2008 sembravano, dopo oltre un decennio, in via di superamento quando è esplosa la crisi sanitaria del COVID-19, affrontata e combattuta con pesanti e incisive misure economiche. Mentre se ne stava uscendo a fatica nel 2022 scoppia, inattesa, ma non imprevedibile nelle onde lunghe della storia, la guerra russo/ucraina che frena la ripresa e fa crescere il debito pubblico mondiale e l’incertezza. Come conseguenza, non l’unica, in pochi mesi si sviluppa un’impennata inflazionistica su scala mondiale. Il ricorso un po’ tardivo alle contromisure monetarie con la crescita dei tassi di interesse rallenta la ripresa e sembra efficace, ma fa salire il costo del denaro e quindi l’indebitamento pubblico. Ai primi di ottobre, dopo l’attacco di Hamas ad Israele, si apre un altro conflitto fra Israele e una parte del mondo arabo. Gli equilibri mondiali in atto dalla fine della seconda guerra mondiale cedono perché vecchi conti ancora aperti non sono stati chiusi. Tutto sembra congiurare per scatenare due crisi gemelle: energetica e alimentare. I sottoalimentati, scesi nel 2017 al minimo di 565 milioni di persone su una popolazione mondiale di 7,5 miliardi (7,5%) salgono a 750 milioni su 8 miliardi nel 2022 (9,3%).
Il quadro generale si oscura sempre più, specialmente se si considera che la transizione energetica e quella ambientale sono state avviate nel tentativo di contrastare l’andamento climatico.
In un contesto sempre più incerto, tuttavia, si notano segnali di possibili evoluzioni, imprevisti passaggi positivi. La dichiarazione finale della Conferenza sul cambiamento climatico, COP 28, appena conclusa prende atto realisticamente della necessità di allungare i tempi della transizione, ridurre la rigidità dei cambiamenti, ricondurre ad un ruolo chiave meno sacrificato ad altre esigenze quello dell’agricoltura. Intanto anche nell’Ue vengono riviste le modalità della transizione ambientale ed energetica, gli esempi non mancano, la dottrina “Green” si attenua. Ciò riguarda ad esempio: a) la direttiva sugli edifici “Green”, che da un’unica impostazione viene affidata alla responsabilità dei Paesi membri per le modalità da calibrare sulle realtà edilizie di ognuno; b) la proroga generale per i motori endotermici e il via libera per quelli alimentati da combustibili come il cosiddetto petrolio sintetico; c) la riproposizione del nucleare; d) in agricoltura una maggiore apertura all’impiego di mezzi di produzione, sia pure più ecocompatibili, come la proroga dei termini di alcuni divieti, una posizione più positiva nei confronti delle TEA, le nuove tecnologie genetiche. Soprattutto una larga apertura e un rapporto di maggiore fiducia verso l’innovazione scientifica e tecnologica.
Intanto si aggiungono nuovi fattori di crisi, come la chiusura del traffico navale nel Mar Rosso, che ha conseguenze gravissime per i trasporti sia marittimi che mare-terra per i Paesi del Mediterraneo e per quelli dell’Europa centro-settentrionale. Emerge un nuovo allarme per i rischi di gravi turbolenze e di emergenze che richiede saldezza di propositi e l’anticipo di nuove strategie per evitare l’aggravarsi dello scenario e le potenziali conseguenze.
Tutto ciò sollecita la sensazione che sia giunto il momento di riconsiderare e rivitalizzare il patto storico fra Agricoltura e Umanità. Di ragionare sulle transizioni ridisegnando i percorsi da compiere e rettificando, se necessario, quelli già iniziati. Tornare ai fondamentali, partendo da cibo ed energia, prima che crisi alimentari, eventualmente combinate con quelle energetiche, inneschino “guerre per il cibo” come già avviene per gli energetici o i prodotti strategici trascurati nella memoria collettiva. Già emerge un malcontento agricolo, ad esempio in Germania, con forti manifestazioni di dissenso.
Il quadro che si forma suggerisce che il mondo agricolo potrebbe pensare a realizzare un’alleanza europea che attraversi gli schieramenti politici e gli interessi nazionali almeno nella Ue che rimane il primo importatore agricolo del mondo e il secondo esportatore. Per queste ragioni essa non può procedere da sola e, tanto meno, dividersi per seguire interessi nazionali. L’Europa e il mondo non possono permettersi una crisi alimentare globale.
Questa presa di coscienza deve avvenire presto, molto presto, prima che la bagarre preelettorale esploda in tutta la sua vacua e inutile arroganza. Valorizzando ciò che unisce l’agricoltura dei Paesi Ue fra loro e al resto del mondo. Prescindendo da ideologie, schieramenti, interessi di bottega, timori ancestrali e assurde teorie, costruendo una “Alleanza” fra agricoltura e Società basata su Programmi concreti e realizzabili da affidare al Parlamento Europeo e che non siano solo effimere promesse elettorali.