Il 12 dicembre si è conclusa a Dubai (Emirati Arabi Uniti) la 28esima Conferenza delle Parti, l’incontro che vede i Paesi del mondo riunirsi per discutere gli interventi per contrastare il cambiamento climatico. Una COP28 delle contraddizioni e delle prime volte, potremmo dire. Delle contraddizioni, perché organizzata in un paese la cui ricchezza è basata sull’estrazione del petrolio e presieduta dall’amministratore delegato della principale azienda petrolifera emiratina. Delle prime volte, perché sono state dedicate intere giornate a temi che finora non erano mai stati affrontati così ampiamente. Stare al passo con le montagne russe di eventi che si sono susseguiti nell’arco di due settimane, dal 30 novembre al 12 dicembre, non è facile. Ma andiamo con ordine.
Questa COP era partita con molto entusiasmo con l’adozione, durante la prima sessione plenaria, del Loss and Damage Fund (fondo a compensazione di perdite e danni) a favore dei Paesi più fragili. Proposto nella precedente COP27, prevede l’istituzione di un fondo che vada ad aiutare economicamente quei Paesi che più risentono della crisi climatica in termini di danni, ma che meno contribuiscono alle emissioni. L’obiettivo è stanziare 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2030; purtroppo siamo ben lontani dal raggiungerlo. Per dare qualche numero, l’Unione Europea ha promesso 225 milioni, gli Emirati Arabi Uniti 100 milioni, il Giappone 10,5 milioni e gli USA (solo) 17,5 milioni di dollari. E l’Italia? A sorpresa, la premier Giorgia Meloni ha dichiarato che il nostro Paese metterà a disposizione 100 milioni di euro. Resta tuttavia da capire che forma prenderanno questi finanziamenti.
Durante la prima settimana di COP28 si è parlato anche di finanza climatica, just transition, diritti umani, dell’importanza della biodiversità e del ruolo delle comunità indigene, oltre a dedicare – per la prima volta – due giornate al tema della salute e a quello dell’agricoltura e sistemi alimentari. Proprio quest’ultimo aspetto ha fatto sì che si parlasse di “COP del cibo”: nonostante il settore agricolo sia considerato allo stesso tempo causa e vittima dei cambiamenti climatici, non gli era mai stato dato ampio spazio all’interno di una COP sul clima. Durante il Food, Agriculture and Water Day, 134 Paesi (Italia inclusa) hanno sottoscritto una Dichiarazione su Agricoltura Sostenibile, Sistemi Alimentari Resilienti e Azione per il Clima (Declaration on Sustainable Agriculture, Resilient Food Systems and Climate Action). Riconoscendo il potenziale dell’agricoltura e dei sistemi alimentari nel guidare profonde e innovative risposte al cambiamento climatico, e che per raggiungere gli obiettivi imposti dall’Accordo di Parigi è necessario includere agricoltura e sistemi alimentari nei piani programmatici, nel testo viene ribadita l’urgenza di trasformare ed adattare gli attuali sistemi agro-alimentari. Gli obiettivi fissati nella Dichiarazione sono cinque: 1. potenziare le attività di adattamento e resilienza al fine di ridurre la vulnerabilità di agricoltori, pescatori e di tutti i produttori di cibo; 2. promuovere la sicurezza alimentare e la nutrizione, attuando politiche sociali che sostengano in particolar modo le persone vulnerabili, donne, bambini e giovani, popolazioni indigene, piccoli proprietari terrieri, comunità locali e persone con disabilità; 3. sostenere i lavoratori del settore agro-alimentare, i cui mezzi di sostentamento sono minacciati dagli effetti del cambiamento climatico; 4. rafforzare la gestione integrata dell'acqua in agricoltura e nei sistemi alimentari per garantire la sostenibilità delle produzioni e ridurre gli impatti negativi sulle comunità che da essa dipendono; 5. massimizzare i benefici climatici e ambientali - contenendo e riducendo gli impatti dannosi - associati all'agricoltura e ai sistemi alimentari, conservando, proteggendo e ripristinando il territorio e gli ecosistemi naturali, aumentando la salute del suolo e la biodiversità, e attraverso una transizione da pratiche ad alto impatto ambientale verso approcci di produzione e consumo più sostenibili. Per raggiungere tali obiettivi, i 134 governi firmatari si impegnano a rivedere od orientare le politiche e il sostegno pubblico relativi all’agricoltura e ai sistemi alimentari, ad ampliare e migliorare l’accesso ai programmi di finanziamento mirati ad adattare e trasformare l’agricoltura e i sistemi alimentari per rispondere ai cambiamenti climatici, ad accelerare e ampliare le innovazioni scientifiche, anche tenendo conto del patrimonio di conoscenze locali e indigene, e ad integrare l’agricoltura e i sistemi alimentari nei Piani Nazionali di Adattamento, nei Contributi Determinati a Livello Nazionale e in tutte le strategie e piani d’azione correlati entro la COP30. A tal proposito, è stato elaborato un toolkit di strumenti che fornirà princìpi guida ai governi per migliorare i loro quadri di politica climatica. Le azioni politiche dovranno essere caratterizzate dal rafforzamento della cooperazione fra Stati, Ministeri e con tutti i portatori di interesse.
In aggiunta alla Dichiarazione, più di 200 attori non statali (agricoltori, ONG, aziende, comunità, istituzioni finanziarie…) hanno firmato una call to action per la Trasformazione dei Sistemi Alimentari per le Persone, la Natura e il Clima (Call to Action for Transforming Food Systems for People, Nature, and Climate), in cui si chiede di stabilire una serie di obiettivi globali, olistici e con scadenza temporale al più tardi entro la COP29 e di prendere impegni per rispettare e valorizzare la conoscenza tradizionale dei popoli indigeni. È inoltre stato deciso di stanziare 2,5 miliardi di dollari per sostenere la sicurezza alimentare contrastando il cambiamento climatico e il governo degli Emirati Arabi Uniti e la Fondazione Bill & Melinda Gates hanno presentato un accordo di collaborazione per finanziare la ricerca e l’innovazione in agricoltura e l’assistenza tecnica per l’attuazione della Dichiarazione su Agricoltura Sostenibile, Sistemi Alimentari Resilienti e Azione per il Clima. Nonostante le discussioni su agricoltura e sistemi alimentari siano un’importante novità per la COP, l’efficacia degli accordi si concretizzerà solo se essi saranno seguiti da azioni pratiche.
La seconda settimana è stata dedicata alle contrattazioni: ne è risultato il primo Global Stocktake – presentato, contro tutti i pronostici, l’ultimo giorno – una sorta di punto della situazione sugli impegni presi dagli Stati nel 2015 con l’accordo di Parigi.
Il testo finale parte dalla considerazione che siamo ben lontani dall’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura globale entro 1,5 °C e ribadisce l’importanza di concentrare gli sforzi collettivi verso questo target. Come? Triplicando le rinnovabili e raddoppiando l’efficienza energetica entro il 2030. Sembrava che le discussioni si fossero incagliate sulla scelta dei termini phase-out (uscita graduale) o phase-down (eliminazione graduale), invece i delegati hanno superato le divisioni introducendo il termine transitioning away: indicando quindi una transizione ordinata verso l’abbandono di tutti i combustibili fossili con l’obiettivo di arrivare al net zero entro il 2050. Un risultato accolto positivamente da un lato, poiché per la prima volta si fa riferimento ai combustibili fossili in toto; ma che non soddisfa dall’altro, per via dell’invito (è stato utilizzato il termine non vincolante call to) a ridurre gradualmente (e non eliminare) le fonti di energia inquinanti. Come ha ribadito il Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres, l’eliminazione di tutte le fonti fossili è inevitabile.
Nessun accordo è stato raggiunto sul pacchetto finanziario, né sulla questione dello scambio di crediti di carbonio, le cui contrattazioni sono state rimandate alla prossima COP29 - che si terrà in Azerbaijan: ancora una volta, un paese fortemente legato economicamente alle fonti fossili.