L’apertura dei lavori della Cop 28, la riunione annuale dei Paesi che hanno aderito alla Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici, UNFCCC, a Dubai il 30 novembre è stata per lo meno inconsueta. Eravamo preparati ad ascoltare discorsi generici, scontati, dati caratterizzati da un forte allarmismo, propositi di cambiamenti epocali. Il tutto scandito da scadenze draconiane fissate forse con eccessiva fretta e sorrette da un ottimismo atteso alla prova dei fatti. Impegni sempre più pesanti e costosi. Invece a Dubai vi è stato molto più realismo, specialmente su tre aspetti: a) in tema di de-carbonizzazione con un conseguente, implicito, ridimensionamento della transizione climatica; b) sulle tempistiche con una più realistica gradualità della transizione; c) sul piano degli impegni finanziari da parte dei maggiori Paesi, compresa l’Italia, che hanno messo sul tavolo aiuti per i Paesi colpiti dalle conseguenze economiche della lotta al cambiamento climatico, ciascuno una pesante fiche da 100 milioni di dollari. Il riposizionamento energetico viene in parte e temporaneamente ridimensionato per quanto riguarda le fonti fossili mentre riemerge il nucleare rivalutato realisticamente come energia pulita e possibile almeno nel medio-lungo periodo. Un dibattito confuso, ma significativo. Leggeremo fra le righe delle conclusioni per comprendere davvero se e quale sarà il cambiamento che ne scaturirà.
L’andamento della Cop 28 induce a riconsiderare anche la parte di transizione che riguarda l’agricoltura e l’alimentazione, quella “Green” al momento forse non ben chiara nelle modalità e nei tempi, con scadenze però oggetto, come si è visto, di possibili dilazioni. È utile riflettere sulla svolta della Cop 28 e su che cosa è accaduto negli ultimi 3 anni per i prodotti energetici. L’impennata dei prezzi che hanno mandato in confusione il mercato, nonostante quanto si crede, non è stata creata dall’aggressione russa all’Ucraina. Il prezzo del petrolio sino alla prima metà del 2021 era sui 55-60 $/barile, ma già nella seconda metà dell’anno si era mosso al rialzo portandosi, a fine 2021, a circa 80 $. Da gennaio 2022 ha dato inizio ad una nuova fase ascensionale con un massimo subito prima dell’inizio del conflitto a 110 $/barile e un secondo a giugno/luglio 2022, sui 115-118 $/barile. Ma da quel momento ha iniziato a scendere sino ai 60$ dell’autunno 2023. Questo andamento si è innestato sui tagli di produzione indotti dalla pandemia e sulla riduzione degli scambi a causa del conflitto combattuto anche sul piano economico con sanzioni e ritorsioni. A ciò si è sommata la prospettiva della riduzione dei prodotti fossili per la transizione climatica con il risultato di un’ulteriore contrazione dell’estrazione di petrolio e di gas. L’impennata dei prezzi si è estesa a tutte le commodity innescando l’inflazione mondiale da fine 2022 a luglio 2023. La fiammata dei prezzi e la riduzione della circolazione monetaria abbinata all’incremento dei tassi per frenarla hanno ridotto la domanda di tutti i beni, compresi anche gli alimentari. I costi sono saliti, in parte “trascinati” dall’onda inflazionistica e in parte da quelli degli input che usano energia per essere prodotti come carburanti, fertilizzanti, antiparassitari. L’offerta agricola si è contratta spingendo al rialzo i prezzi al secondo posto dopo gli energetici.
Nonostante il quadro avverso la produzione agricola mondiale ha continuato a crescere, ma a tassi inferiori ai decenni precedenti, in Europa e, in particolare in Italia. In questo contesto si inseriscono la transizione energetica e quella “green” che, insieme ai vincoli introdotti dalla Pac, comportano una riduzione quantitativa dell’impiego dei mezzi di produzione aggravata da una componente selettiva a sfavore di quelli innovativi che, al contrario di quanto indicato, possono avere una minore impronta ambientale.
Il binomio prezzi alti-tassi in crescita provoca un grave calo della domanda alimentare nei Paesi a reddito più basso.
La prospettiva per l’agricoltura diviene così sempre più incerta: carenza produttiva, rialzo dei prezzi, calo della domanda, condizioni di vita in aggravio nei PVS e in quelli emergenti, transizione “Green” su cui le politiche agricole, compresa la Pac, sembrano insistere con tempi stringenti e poca o nulla gradualità.
Il termine “transizione” che sembra affascinare chi lo usa in realtà significa il passaggio da una condizione ad un’altra ritenuta migliore. Ma non si può ragionevolmente realizzare se non si quantificano a priori le conseguenze complessive che ne possono derivare, comprese quelle negative spesso messe in secondo piano.
Se non vogliamo provocare la peggior crisi alimentare della storia, aggravata da una popolazione più numerosa di sempre e con consumi pro capite record, dobbiamo poter incrementare la produzione e non ridurla. A questo scopo non vi è altra soluzione che aumentare la produttività dei fattori, non il contrario come fa il “Green Deal”. L’innovazione tecnologica, dalla genetica alla chimica, dalla meccanica alle pratiche colturali ed all’organizzazione non è necessariamente “il male assoluto”, perché è preparata e gestita con criteri oggettivi a partire dai processi di sviluppo, controllo e verifica, soprattutto deve essere sostenibile.
Occorre valutare con attenzione le conseguenze implicite nell’iter delle varie transizioni che semplificano i problemi ponendo vincoli all’introduzione di fattori di potenziamento della produttività senza proporre alternative concrete. Negli ultimi tre decenni la riduzione della produzione agricola è una realtà. Le misure restrittive adottate hanno condotto a perdite di output che si sono sommate alle anomalie climatiche contro le quali non sono di fatto ammesse tecnologie innovative di contrasto.
Da sempre l’umanità ha stretto un tacito patto fra Società e Agricoltura che si realizza con specifiche politiche economiche a favore dell’Agricoltura in cambio di aumenti di produzione e disponibilità di cibo.
Se la Cop 28 pensa di poter riconsiderare le sue strategie energetiche, riteniamo logico sollecitare una revisione anche delle politiche di transizione agricola alimentare, prima che si torni alle guerre per il cibo come già avviene per l’energia.