Che la genetica contribuisca a determinare l’alimentazione è indubbio, ma l’alimentazione può influire sulla genetica? Una risposta a quest’ultimo interrogativo ci viene dal panda che da specie carnivora è divenuto vegetariano.
Il panda gigante (Ailuropoda melanoleuca) è un tipo di orso dell'ordine dei mammiferi noti per le loro abitudini alimentari di carnivorani, ma diversamente da questi il panda è divenuto un erbivoro obbligato ed il bambù costituisce quasi il 90% della sua dieta. Questo cambiamento alimentare è stato anche attribuito, ma al tempo stesso contestato, alla pressione umana che avrebbe spinto i panda nelle foreste di bambù della Cina dove questi animali da carnivorani o onnivori si sarebbero trasformati in vegetariani. Indipendentemente da come questo cambiamento alimentare sia avvenuto, una migliore conoscenza di un animale che da carnivorano diviene vegetariano ha suscitato l’interesse dei ricercatori anche per meglio conoscere cosa possa avvenire nella specie umana quando individui o gruppi sociali da un’alimentazione onnivora passano a un’alimentazione vegetariana, usando anche il bambù che in tempi recenti sta suscitando un certo interesse anche nei paesi industrializzati.
Il panda gigante che si è evoluto dagli orsi onnivori conserva ancora un sistema digestivo carnivoro carente di enzimi che digeriscono la cellulosa con un microbiota intestinale povero di diversità e molto variabile tra le stagioni, simile a quello degli orsi, differente dagli altri erbivori e più semplice rispetto a quello degli animali carnivorani. Il panda ha però sviluppato modificazioni genetiche che riguardano i geni CREB3L1, CYP450 2S1, HSD11B2, LRPAP1 che svolgono un ruolo chiave nella digestione e nell'adattamento dei panda alla loro dieta a base di bambù. Inoltre i panda pur alimentandosi quasi esclusivamente di bambù si nutrono di due specie diverse di questi vegetali nutrendosi sia di foglie che di germogli che hanno composizioni nutrizionali diverse e differenti concentrazioni di calcio, fosforo e azoto.
Le specie di bambù commestibili sono circa duecento a fronte delle oltre mille esistenti. Tra queste troviamo in particolare la Bambusa vulgaris e la Phyllostachys edulis (Moso o bambù gigante). Largamente utilizzato nei paesi asiatici (Cina, Thailandia, Corea, Taiwan e Giappone) il bambù per uso alimentare si sta estendendo anche in altre parti del mondo con un consumo di oltre due milioni di tonnellate all’anno e con un valore che si attesta intorno ai dieci miliardi di dollari, di cui un miliardo e duecento milioni derivanti solo dai germogli di bambù. Se in Asia i cuori di bambù sono reperibili freschi, essiccati o in barattolo, in Europa si trovano nei negozi etnici precotti e in scatola. Osservando il fabbisogno crescente del bambù impiegato nelle cucine degli asiatici che vivono in Italia e sempre più utilizzato anche nelle altre cucine vi è un potenziale per una coltivazione del Phyllostachys edulis, bambù particolarmente adatto all’uso alimentare e in grado quindi di rispondere alla sempre più consistente domanda di germogli di bambù freschi.
Un possibile sviluppo dell'utilizzo alimentare di giovani culmi e germogli di bambù deriva principalmente per il loro alto valore nutrizionale, capacità antiossidante, buona accettazione sensoriale, ridotto contenuto di grassi e zuccheri e in particolare sono una delle fonti migliori e più economiche di fibre alimentari che nei germogli freschi varia da 2,23 a 4,20 grammi per cento grammi. I germogli di bambù freschi, essiccati, in scatola, fermentati forniscono fibre alimentari in tutte le forme e la loro fibra alimentare sotto forma di polvere e pasta è utilizzata anche per la fortificazione di vari prodotti alimentari in quanto aumenta la qualità degli alimenti e le proprietà organolettiche.