Le piante resistenti alla siccità
Si chiamano “piante della resurrezione” quelle che utilizzano particolari processi rappresentati da cicli di essiccazione e successiva reidratazione per sostenersi e rimanere vive.
Le specie xerofite sono vegetali capaci di vivere in ambienti caratterizzati da lunghi periodi di siccità o da clima arido o desertico, definiti genericamente ambienti xerici. Un gruppo particolare di piante xerofite manifesta anche adattamenti a vivere in suoli ad elevato accumulo di salinità. In questo caso vengono chiamate alofite e possono colonizzare anche ambienti umidi; tuttavia, per la presenza di una elevata pressione osmotica, mantengono prerogative analoghe a quelle adatte agli ambienti xerici.
Nei vegetali gli aspetti fisiologici sono in generale meno evidenti di quelli morfologici, ma in taluni casi possono rappresentare la più alta espressione di adattamento xerofitico. Questi adattamenti si traducono in una contrazione del ciclo biologico, una regolazione attiva delle aperture stomatiche, una fotosintesi tipo CAM (Crassulacean Acid Metabolism) e infine una disidratazione della fitomassa.
La disidratazione
Nello specifico un comportamento come questo in un vegetale lo differenzia nettamente dagli altri adattamenti xerofitici. Infatti, nei casi precedenti si assiste ad adattamenti che presuppongono il mantenimento dell'attività vegetativa in condizioni più o meno estreme. Lo stesso vale per la perdita, in condizioni sfavorevoli, degli organi che rappresentano il fattore di criticità, salvo poi rigenerarli al ripristino di condizioni favorevoli. Oppure ancora si constata l'adattamento del ciclo biologico all'alternanza fra condizioni favorevoli e sfavorevoli. Nella pianta disidratata l'esame microscopico dei tessuti mostra una particolare struttura cellulare nella quale si evidenziano soprattutto i cloroplasti schiacciati e verosimilmente anche le membrane alterate. Con la reidratazione le cellule si rivitalizzano, gli organiti cellulari ripristinano la loro morfologia funzionale e le attività biochimiche riprendono a funzionare.
Gli effetti del “climate change”
L’innalzamento delle temperature e la conseguente siccità sono tra i principali effetti del cambiamento climatico. Per questo motivo da tempo gli scienziati stanno cercando un modo per aiutare le piante a sopravvivere anche durante lunghi periodi di carenza idrica. Tra specie e varietà ne esistono oltre 300 tipi capaci di adattarsi e sopravvivere in condizioni limite. Nella letteratura di settore si afferma che le "piante resurrezione” sono le sole che possono perdere fino al 45% della loro umidità e restare vive. Grazie ad alcuni particolari geni, queste piante sono in grado di bloccare la fase vegetativa, "congelandola" come se fossero in una fase di pre-morienza. Quando ricevono acqua, anche dopo molto tempo, si reidratano, rinverdiscono rapidamente, e da appassite tornano alla normale attività (v. pianta di Gerico). Tra gli attuali obiettivi di miglioramento delle specie coltivate non si pensa di intervenire tramite trasferimento di geni specifici delle piante "resurrezione" ad altre specie coltivate, ma piuttosto di riattivare i programmi molecolari di resistenza al disseccamento. Questi, infatti, sono stati temporaneamente sospesi nella parte vegetativa delle piante quando nel passato divennero resistenti allo stress idrico, passando dallo stato di piante acquatiche a piante terrestri. Trasferire questa capacità a colture alimentari in alcune zone povere dell'Africa sarebbe di grande aiuto specie nei periodi di forte siccità. Ciò farebbe ben sperare per il futuro. Si sostiene che al 2050 gran parte dell'Africa, compreso il Sudafrica, sarà desertificata. Vi è dunque la necessità di trovare modi alternativi di produrre cibo in zone caldo-aride e produrre più vegetali in grado di tollerare lo stress idrico, non dimostrandosi resistenti quindi, ma in grado di tollerarlo.
Le piante resurrezione e il futuro del cibo
È ben noto che la vita sulla terra è nata nell’acqua. Circa mezzo miliardo di anni fa, i primi organismi hanno iniziato a colonizzare le terre emerse che in generale offrivano nuovi spazi, meno predatori e, nel tempo, abbondanti quantità di ossigeno e nutrienti. Il legame indissolubile che i viventi avevano con l’acqua però è rimasto e per poter sopravvivere in questo nuovo ambiente le piante e gli animali hanno dovuto sviluppare adattamenti anatomici, fisiologici e comportamentali per disporre, gestire e risparmiare l’acqua.
La biomassa vegetale ora è composta per la maggior parte di acqua, in percentuali che variano tra il 65 e il 98%. Alcune piante possono tollerare piccole perdite per brevi periodi, mentre importanti perdite d’acqua portano velocemente a morte certa. Esiste tuttavia un gruppo di piante che meglio di altre si sono evolute nella sopravvivenza in ambienti aridi. Vengono quasi tutte dall’Africa meridionale e a prima vista sembrano apparentemente morte. Possono resistere in questo stato anche per anni, ma non appena vengono irrigate dimostrano la straordinaria capacità di rinvigorirsi, tornare verdi e nell’arco di breve tempo addirittura fiorire. Per questo si sono meritate l’appellativo di “piante resurrezione” e potrebbero rappresentare una risorsa per il futuro agricolo.
I cereali (grano, mais e riso), che rappresentano la base della nostra dieta, sono piante annuali che richiedono una stagione dotata di sufficiente umidità per crescere e fruttificare normalmente. Se si considera che la popolazione mondiale è in costante aumento e che le aree umide coltivabili si stanno invece riducendo a causa dei cambiamenti climatici in atto ci si rende subito conto che la scoperta di nuove varietà in grado di tollerare lo stress idrico è la strada che si deve percorrere per cercare di garantire a tutti la sicurezza alimentare.
Ma come fanno le piante resurrezione a tornare in vita?
Nel loro stato di morte apparente queste piante riducono al minimo il loro metabolismo e, reagendo secondo le strutture molecolari, non vengono degradate dalla mancanza d’acqua, dalla perdita di volume e dalla presenza di sostanze ossidanti che vengono tipicamente prodotte nei periodi di stress. Tutto ciò richiede l’azione combinata di meccanismi genetici, fisiologici e strutturali che si stanno solo da poco tempo iniziando a comprendere. Si è accertato infatti che ciascuna cellula si rimpicciolisce e le sue pareti cellulosiche diventano più elastiche per rimanere al passo con la variazione di volume. Il sistema fotosintetico va temporaneamente disattivato perché inutilizzabile, ma l’anabolismo costruttivo va invece conservato perché il tutto possa essere rapidamente ricostruito non appena la reidratazione sarà nuovamente attiva.
Molti dei geni che controllano questi processi sono stati identificati e si è scoperto che non sono comuni solo tra le piante resurrezione, ma si ritrovano anche negli altri vegetali superiori. C’è infatti almeno uno stadio vitale in ciascuna pianta che è appositamente designato ad entrare in uno stato di dormienza, disidratandosi in attesa del momento utile per tornare attivo. Questo è il seme. Ogni pianta possiede, quindi, la predisposizione genetica necessaria ad affrontare la disidratazione, ma questi meccanismi vengono normalmente attivati nella sola fase embrionale del ciclo fenologico.
La speranza dei ricercatori è di fare in modo che i “geni della resurrezione” si attivino in risposta alla disidratazione in tutte le parti della pianta, così da ottenere nuove varietà resistenti alla siccità che garantiscano una fonte di cibo sicura in quelle zone del mondo dove, fino ad oggi, un’annata caratterizzata da piogge scarse può avere effetti devastanti a livello sia economico che sociale.
Frumento resistente alla siccità
La resistenza alla siccità è una caratteristica essenziale per il frumento perché l'acqua è un fattore limitante, soprattutto quando si devono affrontare gli effetti del cambiamento climatico globale. L'effetto della siccità sulla produzione dei cereali può essere importante al punto di influenzare l'economia di importanti paesi produttori di grano. Ne è stato un esempio l'Australia dove, nello stato di Victoria, la produzione di grano del 2007 è diminuita del 70% a causa di gravi condizioni di stress, portando alla perdita di circa 300 milioni di dollari. Sempre nello stesso anno, 30 linee transgeniche di grano sono state saggiate nell’ambito di un progetto promosso dal Dipartimento delle Industrie primarie. Ogni linea di frumento conteneva sei diversi geni di tolleranza alla siccità del mais (Zea mays), del crescione (Arabidopsis thaliana), del muschio (Physcomitrella patens) e lievito (Saccharomyces cerevisiae). I ricercatori hanno pensato di avere ottenuto del grano resistente alla siccità pronto per il rilascio. Allo stesso modo, il CIMMYT (International Maize and Wheat Improvement Center) ha utilizzato un gene di Arabidopsis thaliana per migliorare le caratteristiche del grano. Il frumento così modificato presentava sia tolleranza alla siccità che alle basse temperature e, sembra, anche alla salinità.
Le piante resurrezione come vivono senza acqua
I ricercatori hanno analizzato in particolare Haberlea rhodopensis, una delle specie del gruppo “resurrezione” in grado di sintetizzare molecole (miconoside) che potenzialmente le permettono di sopravvivere allo stress da siccità. La ricerca ha accertato che, durante la fase di essiccazione, la pianta ristruttura l’acqua presente a livello fogliare preparandosi ad un periodo siccitoso. In questo modo, la pianta riesce a preservare i suoi tessuti dai danni che la disidratazione normalmente induce nei vegetali. Ciò le permette di sopravvivere anche per periodi molto lunghi in ambienti siccitosi.
È verosimile che la futura ricerca possa realizzare delle coltivazioni in grado di tollerare la disidratazione e, in generale, di essere capaci di adattarsi meglio ai cambiamenti climatici.