Un recente articolo apparso sul “Corriere della Sera” a firma di Alessandro Sala informava che “il 90% degli italiani vorrebbe più benessere per gli animali da allevamento”, riferendosi ad un sondaggio di “Eurobarometro” del marzo 2023. In effetti, il sondaggio risulta effettuato, come dice l’articolo, in 27 paesi europei, ma il “Corriere” concentra l’attenzione soprattutto sugli umori dei consumatori italiani che, con il loro 90%, hanno dimostrato di porsi in Europa in posizione intermedia in termini di sensibilità al problema. Fra questi, il 79% ha dichiarato di essere interessato a maggiori informazioni sulle condizioni di allevamento e trasporto, ma solo il 27% controlla abitualmente le etichette al momento dell’acquisto. Più della metà degli interpellati, il 54%, si è dichiarata disposta a pagare di più i prodotti provenienti da allevamenti attenti al benessere animale, anche del 10-15%. Per lo meno nelle intenzioni.
Per cominciare, qualche riflessione sul rapporto fra l’uomo e gli animali non da compagnia che alleva. Una decina di migliaia di anni fa l’uomo si è scocciato di cacciare gli animali per procurarsi proteine nobili sotto forma di carne, latte e pelli ed ha capito che era più comodo allevare quegli stessi animali, addomesticati, ovviamente chiusi in recinti. E sono cominciati i problemi connessi alla densità degli animali allevati per unità di superficie: stress per la mancanza di libertà di movimento, fastidio per la presenza ravvicinata di altri individui con conseguenti comportamenti anche aggressivi, facilità della diffusione di malattie, impossibilità di difendersi, con le migrazioni, da condizioni estreme di eventi climatici e meteorologici. Tutto ciò parzialmente compensato dalla disponibilità immediata per gli animali di alimenti e di acqua, della difesa nei riguardi dei predatori e delle cure, in generale, da parte dell’allevatore.
Ed ecco emergere il concetto di “benessere animale”. Sembra del tutto evidente che l’allevatore, che investe tempo, lavoro e denaro nella sua impresa, abbia tutto l’interesse a che i suoi animali stiano il meglio possibile: otterrà dai suoi animali prodotti apprezzabili in termini di quantità e, soprattutto, di qualità.
È capitato di assistere a trasmissioni televisive o leggere articoli nei quali si denunciano trattamenti eticamente inaccettabili negli allevamenti. C’è da domandarsi che cosa passa nel cervello dell’allevatore che, scientemente, non rispetta il benessere dei suoi animali, compromettendone le produzioni. Che interesse può avere costui a portare sul mercato, ad esempio, polli macilenti e malati o suini impresentabili? Eppure, sembra che talvolta succeda perché è difficile conciliare, ad esempio, la mancanza di spazio con la necessità di allevare un numero di animali che consenta un minimo di guadagno, o conciliare la salute con la rinuncia a trattamenti profilattici per risparmiare. Il sadismo è, logicamente, da escludere, semmai si tratta di una miope strategia nell’illusione di risparmiare qualcosa.
Per fortuna, molti enti ed istituzioni vigilano per garantire il “benessere” degli animali allevati e difendere, a cascata, il benessere dei noi consumatori, informandoci adeguatamente. Fra questi, l’”EFSA” (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare). Si tratta di un’agenzia dell’Unione Europea istituita nel 2002, con sede a Parma, che fornisce consulenze scientifiche in materia di rischi associati alla catena alimentare. Al suo interno, un gruppo di esperti scientifici si occupa esclusivamente della salute e del benessere degli animali, a ribadire il concetto che alimenti sani provengono da animali sani e non stressati. Gli aspetti monitorati dagli esperti di questo gruppo riguardano in particolare la stabulazione e la gestione, il trasporto e la macellazione per poi essere concretizzati in raccomandazioni e linee guida. La Commissione Europea prende atto dei pareri degli esperti dell’EFSA (e non solo dell’EFSA) emettendo direttive e proposte di legge. Una nuova proposta di legge è prevista entro la fine di quest’anno 2023 e riguarderà un po’ tutti gli aspetti del benessere degli animali allevati.
In conclusione, fermo restando che chi produce per vendere e ricavarne un utile ha tutto l’interesse a presentare prodotti sicuri e di qualità, ovvero a rispettare il benessere dei suoi animali, al di sopra delle parti ci sono fior di esperti organizzati in agenzie, che lavorano nel nostro interesse per la messa a punto di direttive e leggi europee, spesso anche troppo restrittive.
Stiamo allora tranquilli. Se il cibo è buono, a tavola non s’invecchia!