La storia dell’insetticida organico DDT (1,1,1-tricloro-2,2-bis(p-clorofeniletano), abbreviato in Dicloro-Difenil-Tricloroetano) è quanto mai bizzarra. La molecola, sintetizzata “quasi per gioco” nel 1873 da uno studente austriaco, Ohtmar Zeidler, che fece reagire cloralio (tricloroacetaldeide) e clorobenzene, rimase per quasi 70 anni una mera curiosità scientifica, priva di qualsivoglia applicazione. Si arriva al 1939, quando Paul Müller, un giovane ricercatore della compagnia elvetica Geigy (tuttora operativa dopo varie vicissitudini societarie nell’ambito del gruppo Novartis) brevetta il composto, dopo averne verificato le notevoli proprietà insetticide. Salutata come scoperta rivoluzionaria e liberatoria, la molecola in realtà nascondeva trappole di varia natura da cui è stato faticoso uscire. Ampio spettro di azione (arma, peraltro, a doppio effetto, in quanto la mancata selettività si dimostrerà un limite invalicabile), efficacia a basso dosaggio e lunga persistenza, così come scarsa tossicità acuta per l’Uomo, ne fecero subito un prodotto strategico. Fondamentali campi di applicazione si dimostrarono quelli relativi al contrasto a insetti vettori di patogeni mortali, quali il plasmodio agente della malaria (veicolato da zanzare del genere Anopheles) e il batterio della famiglia delle rickettsie responsabile del tifo esantematico (trasmesso dai pidocchi umani). La notevole attività biocida dimostrata da DDT nei confronti di questi artropodi non sfuggì all’attenzione dei vertici militari degli Stati Uniti, appena coinvolti nella Seconda Guerra Mondiale, e l’insetticida entrò ben presto a far parte dell’arsenale strategico delle truppe di terra e di mare. Del resto le alternative erano quanto mai problematiche: contro gli insetti nocivi alle colture sino ad allora erano utilizzati gli arseniati, il cui impiego ovviamente non è compatibile con aree frequentate dalla popolazione e i derivati del piretro. Questi ultimi soffrivano di due pesanti limitazioni: la scarsa persistenza, ridotta a pochi giorni, e, soprattutto, il fatto che le aree produttrici della materia prima (le infiorescenze di Chrysanthemum cinerariifolium) erano per lo più in mano giapponese.
«La guerra è sempre stata un confronto tra generali e insetti, e i generali raramente hanno vinto»: con questo aforisma si sintetizza il fatto che da sempre nelle azioni belliche hanno avuto un ruolo determinante le scarse condizioni igieniche, così che le infezioni a carico delle truppe hanno condizionato le sorti dei conflitti. Ma questa volta gli Alleati anglo-americani avevano a disposizione l’arma vincente. Quantità enormi di DDT vennero messe a disposizione dei militari e i risultati furono eclatanti. Ad esempio, a Napoli, nella primavera del 1944 i casi di tifo, in precedenza frequenti al ritmo di 60 al giorno, furono praticamente azzerati. Analogamente strabilianti sono stati i risultati relativi alla malaria. Terminata la guerra, nell’agosto 1945 l’uso del DDT viene aperto alla libera vendita, e inizia così una fase nella quale per l’industria chimica americana si aprono enormi prospettive di mercato. Ad esempio, su pressione del Dipartimento per l’Agricoltura (USDA), si organizzano trattamenti con mezzi aerei per contrastare le popolazioni di insetti nocivi alle piante forestali (è il caso di Lymantria dispar), o a colture agrarie (piralide del mais), oppure l’invasione delle famigerate “formiche di fuoco” (Solenopsis invicta), responsabili di fastidiose punture a uomini e animali. In ambito urbano si interviene con ogni mezzo, da terra o dall’aria (peraltro con scarsi risultati), contro i coleotteri scolitidi vettori di Graphium ulmi, il fungo agente della mortale ‘grafiosi’ dell’olmo. Il tutto senza alcun rispetto per le proprietà individuali e in un clima di totale improvvisazione. All’epoca gli insetticidi non erano stati minimamente saggiati per i loro possibili effetti a lungo termine, sia sulla specie umana, sia sulle varie componenti ambientali. Un altro promettente spazio di mercato era rappresentato dalla disinfestazione domestica, contro zanzare, mosche, blatte, formiche. Si promuovevano anche carte da parati impregnate di DDT, particolarmente indicate per… le camerette dei bambini. I prodotti si trovavano disponibili negli scaffali dei supermercati, senza necessità di prescrizione alcuna. La loro lunga persistenza era considerata un elemento di vanto: i capi di abbigliamento trattati mantenevano la loro efficacia contro i parassiti anche dopo ripetuti lavaggi!
In breve il DDT diventa il paradigma della American way of life (“vita, libertà e ricerca della felicità”), vero vanto dell’Industria nazionale, capace di abbattere le perdite delle colture in campo e in magazzino (e, quindi, ridurre il prezzo dei generi alimentari al consumo), di impedire la diffusione di malattie infettive, di rendere più piacevole l’ambiente di casa, e così via. Le (allora) recenti esplosioni nucleari che avevano posto fine alla guerra avevano indicato che l’Uomo era capace di assumere un rapporto di forza nei confronti della Natura e, in questo caso, potrebbe permettersi di ‘gestire’ le popolazioni di insetti e modificarne la composizione a proprio vantaggio. In realtà il bilancio generale degli insetticidi cloro-organici in questo momento è positivo e apparentemente privo di ombre.
Nel 1948 Paul Müller viene insignito del Premio Nobel per la Medicina, in virtù proprio della scoperta «della elevata efficacia del DDT come veleno di contatto efficace contro numerosi artropodi».
Sappiamo, però, che l’assoluta mancata azione discriminatoria nei confronti degli organismi non-bersaglio e l’eccezionale persistenza delle molecole (che presentano periodi di emivita dell’ordine di anni, se non di decenni) hanno fatalmente rappresentato vincoli tali da rendere inaccettabile l’utilizzo di tali prodotti, perlomeno alle condizioni iniziali. Comincia, quindi, quella che possiamo definire la “terza vita” del DDT, oggetto di critiche basate su crescenti evidenze scientifiche. I processi di biomagnificazione (l’accumulo di sostanza tossiche che risalgono le catene trofiche) raggiungono livelli paradossali, così che – ad esempio – tracce significative di contaminazione vengono rinvenute addirittura nei tessuti adiposi dei pinguini antartici e nel latte materno umano. Ben sappiamo che su questi temi è intervenuta con successo una coraggiosa eroina, Rachel Carson (vedi https://www.georgofili.info/contenuti/rachel-carson-1907-1962-la-biologa-americana-che-ci-ha-fatto-capire-per-sempre-il-modo-in-cui-lumani/28520), che ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica e dei decisori politici sui rischi dell’uso indiscriminato di queste sostanze. Ma il percorso che porterà al bando del DDT non sarà banale, a causa delle pressioni esercitate dai produttori di insetticidi desiderosi di mantenere i loro interessi commerciali. Un personaggio storico appare determinante nell’avviare questo iter: si tratta di John Fitzgerald Kennedy, trentacinquesimo Presidente degli Stati Uniti dal 1961 sino alla sua morte nel 1963. Nel suo mandato, infatti, JFK si è dovuto confrontare con delicate questioni internazionali, nel ben noto clima di “guerra fredda”: si va dalla corsa alle armi nucleari alla crisi dei missili di Cuba, dalla competizione con i sovietici per la conquista dello spazio alla costruzione del muro di Berlino. Ma, seppur poco noto, un episodio ‘marca’ la sensibilità di JFK per le tematiche ambientali. Si tratta dell’iniziativa che assume nell’agosto 1962 in relazione all’imminente uscita del volume Silent Spring: alcuni capitoli del libro erano stati pubblicati in anteprima dal settimanale The New Yorker e avevano suscitato enorme interesse nell’opinione pubblica. Rispondendo a una domanda in conferenza stampa il Presidente conferma di essere a conoscenza del tema e di avere già affidato al proprio comitato multidisciplinare di consulenza scientifica (PSAC) il compito di istruire la materia in vista di futuri interventi politici.
Il ruolo di questo gruppo di lavoro non è semplice, in quanto gli argomenti in questione coinvolgono numerosi (e contrastanti) portatori di interesse e altrettanti aspetti dell’economia e della società. Ad esempio, si arriva a sospettare che la campagna scatenata contro l’industria chimica (di fatto “punta di diamante” del sistema produttivo americano), possa essere eterodiretta da una potenza straniera, intenzionata a screditarne la reputazione e a privare l’agricoltura di preziosi strumenti per la difesa delle produzioni. Inevitabile che PSAC faccia ricorso a consulenze internazionali e, tra l’altro, viene coinvolto il governo del Regno Unito, dal quale giunge una informativa quanto mai curiosa, peraltro oggetto di intervento parlamentare (https://hansard.parliament.uk/lords/1963-03-20/debates/897b5a24-baf4-438e-84af-de2cc4c4a496/DangersFromToxicChemicals, column 1134). Infatti, si dà notizia di una storia secondo la quale «alle popolazioni cannibali della Polinesia non sia più consentito di mangiare gli americani, perché i loro tessuti adiposi sono contaminati da idrocarburi clorurati». E, in realtà, c’è del vero: il corpo dei britannici contiene circa 2 ppm, contro le circa 11 degli americani.
Il rapporto vede la luce nel maggio 1963 e si rivelò un vero capolavoro di equilibrismo politico, a cominciare dal titolo, che passò dall’originale «The Risks of Pesticides» a un più neutrale «The Use of Pesticides». Fondamentalmente condividendo le perplessità enunciate in Silent Spring, il testo non manca, tuttavia, di evidenziare i benefici di un uso consapevole e razionale degli antiparassitari chimici. Vengono anche ridisegnati i rapporti tra le varie strutture federali che si occupano di tematiche ambientali.
I tre protagonisti della storia avranno vita relativamente breve. JFK sarà assassinato nel novembre 1963; Rachel Carson, devastata dal cancro, verrà a mancare nell’aprile 1964. Leggermente più lunga è la sopravvivenza del DDT. Uno dei primi atti della neonata Environmental Protection Agency (fondata nel 1970 e universalmente considerata la “lunga ombra di Silent Spring”) fu proprio la messa al bando degli insetticidi cloro-organici, di fatto seguita da analoghi provvedimenti in tutto il mondo. Oggi il suo impiego è consentito soltanto in alcune arre dell’Africa per il contrasto alla malaria in ambienti confinati.
È difficile trovare una sostanza che abbia vissuto tante esperienze (positive e negative) come il DDT, dalle stelle (Nobel 1946) alla polvere in così pochi anni.