Non passa giorno che, accendendo il televisore, non assistiamo a talk show nei quali viene ribadita la piena responsabilità dell’uomo riguardo al riscaldamento globale e vengono ridicolizzati tutti coloro che chiedono, semplicemente, di poterne discutere, prendendo in considerazione anche il parere di scienziati non allineati come il nostro accademico onorario Franco Prodi o il premio Nobel 2022 John Clauser.
Tutto ciò ci porta, inconsapevolmente, a sentirci gravemente in colpa per quanto sta accadendo ed a simpatizzare per chi propone provvedimenti vari di transizione ecologica, magari limitati al nostro Paese o alla nostra Europa, senza considerare ciò che continua a succedere in Cina, in India e in Africa.
Nel 2015, 196 Paesi hanno sottoscritto l’Accordo di Parigi, targato Nazioni Unite, il cui obiettivo, aggiornato al 2021 per l’Unione Europea, è di ridurre le nuove emissioni di carbonio in atmosfera di almeno il 55% per il 2030 rispetto ai valori del 1990 e di raggiungere l’equilibrio di neutralità per il 2050.
Nel 2019 è stato introdotto l’European Green Deal, il cui scopo è quello di rendere efficiente l’impiego delle risorse per la transizione ad una economia circolare e pulita. La Politica Agricola Comune (PAC) appoggia il Green Deal, tanto che nel maggio 2020 ha annunciato che il 40% del budget andrà alle iniziative più rilevanti nei riguardi del controllo del clima. Dal canto suo, l’industria mangimistica europea sta giocando un ruolo importante, valutando cosa possa essere fatto per limitare l’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera.
Quali sono gli strumenti strategici che i mangimisti europei intendono mettere in atto per raggiungere lo scopo, anche se limitatamente al loro settore, per quello che può pesare sul totale delle emissioni globali? Cioè molto poco. Eccone un elenco, secondo le indicazioni di Pedro Cordero, presidente della FEFAC (European Federation Feed Manufacturers’ Federation):
- mangimi macinati e non pellettati, per evitare tutto ciò che comporta la pellettatura in termini di extra consumo di energia, con le conseguenze sul clima;
- ogni possibile investimento per attrezzature e macchinari più efficienti energeticamente;
- nuovi investimenti sull’impiego di energia rinnovabile come i pannelli solari o il biogas;
Cordero ha anche fatto alcune considerazioni non proprio entusiasmanti sulla situazione, affermando che non si sa un gran che sulla posizione dei singoli stati europei, anche se si è dichiarato “certo” che degli investimenti siano stati fatti. In generale, la sfida dell’abbattimento delle emissioni carboniche rimane significativa, considerando che la maggior parte delle strutture industriali di produzione mangimistica sono vecchie ormai di alcuni decenni e questo è un ostacolo in più. Nel frattempo è importante monitorare l’andamento delle emissioni e dei consumi energetici per avere dei valori di riferimento rispetto all’auspicato miglioramento.
La Commissione Europea ha proposto i metodi per il monitoraggio della situazione dell’ambiente attraverso il documento PEFCR (Product Environmental Footprint Category 2 Rules Guidance 3, version 6.3) del maggio 2018. E, in effetti, alcune delle maggiori industrie mangimistiche europee hanno cominciato a fornire dati sulle emissioni, con la finalità di ridurle.
Nel dicembre 2021, il 16 per la precisione, la Commissione ha prodotto il documento aggiornato “Recommendation on the use of Environmental Footprint methods” allo scopo di aiutare le industrie mangimistiche a valutare i loro comportamenti ambientali sulla base di informazioni affidabili, verificabili e confrontabili. Le pubbliche amministrazioni, le organizzazioni non governative e i partner industriali hanno la possibilità di accedere a tali informazioni. Dal canto suo, l’”European commission’s Joint Research Centre”, il servizio indipendente della Commissione che porta avanti le ricerche allo scopo di supportare le politiche europee, sta lavorando per assicurare la validità e l’imparzialità di tutta l’operazione.
Miglioramenti significativi si possono ottenere anche nei settori satelliti delle attività produttive proprie delle fabbriche, come quello dei trasporti, ammodernando i veicoli e sostituendo il trasporto su strada con quelli per ferrovia o per nave. Si raccomanda, inoltre, di usare materiali biodegradabili o riciclabili, come la carta, al posto della plastica nella confezione del prodotto, magari propendendo per dimensioni maggiori del singolo pezzo.
Né vanno trascurate le strategie legate all’alimentazione, ovvero l’ottimizzazione delle formulazioni delle diete o l’utilizzo degli scarti alimentari, insieme alla scelta di colture alternative a quelle che comportano trasporti di lunga percorrenza, come quella della soia. Ancora, vanno adottate e sviluppate le tecniche di gestione digitali come l’intelligenza artificiale o l’internet delle cose, che permettano di gestire al meglio sia le filiere di produzione che i singoli allevamenti, limitando al massimo gli sprechi.
La FEDIOL, associazione fra i produttori ed i raffinatori europei di oli vegetali, si è impegnata con un codice di comportamento responsabile a migliorare la sostenibilità del comparto attraverso l’ottimizzazione dell’efficienza energetica e la limitazione del ricorso a fonti energetiche fossili. In occasione del Convegno della FEDIOL del giugno 2023 è stato messo a punto un programma di monitoraggio delle emissioni perché è importante “stimolare la consapevolezza e condividere le conoscenze ed esperienze”, come ha sottolineato la direttrice Nathalie Lecocq.
In conclusione, ci sembra di poter dire che, almeno nelle intenzioni, i vari attori del settore zootecnico europeo si stanno dando da fare per contrastare l’aumento della concentrazione dei gas serra in atmosfera. Purtroppo, l’Europa non è che una piccola parte del nostro pianeta da salvare ed il settore delle produzioni animali non rappresenta la sola attività umana responsabile dell’aumento del “carbon footprint” globale. Tutti gli altri saranno altrettanto volenterosi?