Le prime testimonianze di una civiltà dedita alla coltivazione e agli allevamenti possono essere fatte risalire ad oltre 20.000 anni fa, ma è solo dall’8.000 A.C., con il passaggio dal nomadismo alla vita stanziale, che l’agricoltura assume la piena fisionomia di attività produttiva, arrivando a generare una quantità di beni capace sia di soddisfare i bisogni di chi li aveva prodotti sia di alimentare le prime forme di scambio attraverso il baratto: è con l’instaurarsi di questi primi rudimentali meccanismi di mercato che possiamo dire che inizi il dialogo tra agricoltura ed economia. I fatti ora descritti, risalenti al Neolitico, vengono comunemente indicati come “prima rivoluzione agricola” e sanciscono l’inizio della lunga storia di una delle attività umane che più di ogni altra ha plasmato lo sviluppo dell’intera civiltà.
Governata per secoli prevalentemente dalle leggi della natura e solo marginalmente condizionata dal lento succedersi di poche innovazioni, l’agricoltura si sviluppa per secoli ad una velocità che rende quasi impercettibili i cambiamenti che si susseguono nel tempo.
Si deve così attende sino al XVII secolo per assistere ad una “seconda rivoluzione agricola”, innescata dal succedersi ravvicinato di molteplici ed importanti innovazioni tecnologiche e socio-economiche: l’aratro in ferro sostituisce quello in legno, vengono messe a punto le prime seminatrici, così come si perfeziona la pratica delle rotazioni con l’introduzione delle leguminose per elevare la fertilità dei suoli. Prodromica della rivoluzione industriale ottocentesca, questa “seconda rivoluzione agricola” sollecita una intensificazione produttiva facendo leva, oltre che sulle innovazioni tecnologiche, anche su maggiori investimenti di capitali, incentivati da maggiori garanzie in favore dei proprietari e da un più intenso rapporto con i mercati.
Le novità introdotte con questa seconda rivoluzione che nasce in Inghilterra segnano lo sviluppo dell’agricoltura in tutto il Mondo, influenzando in particolar modo anche la nascente scuola economica agraria italiana. Ed è in particolare nel XIX secolo, grazie all’opera di Arrigo Serpieri, che per la prima volta agricoltura ed economia vengono portate a dialogare pariteticamente nell'ambito di uno stesso corpus teorico, individuando nella figura dell’imprenditore il soggetto al quale spetta l’onere di conciliare questi due mondi a livello di singole aziende. Ed è sempre in seno alla scuola economica italiana dell’epoca che si arriva con chiarezza a distinguere l'economia agraria dall'economia politica agraria, indicando come la prima rappresenti lo studio delle "azioni dell'uomo dirette al conseguimento della ricchezza sotto l'aspetto privatistico, dell'imprenditore”, laddove, invece, l'economia politica agraria deve intendersi come lo studio delle “azioni dell'uomo dirette al conseguimento della ricchezza sotto l'aspetto sociale, cioè sotto l'aspetto dell'interesse generale della società”. Con tale visione contrapposta, di ciò che debba intendersi per economia agraria e per economia politica agraria, Serpieri indica come l'agricoltura (e tutte le risorse ad essa riconducibili) sia un'attività che esprime un'utilità al tempo stesso privatistica e pubblica, anticipando di quasi un secolo i temi che oggi associamo al ruolo “multifunzionale” del primario e alla natura di bene misto delle risorse rurali.
La “terza rivoluzione agricola” può essere cronologicamente collocata subito dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale. In continuità con la seconda rivoluzione, si prosegue con politiche di sviluppo finalizzate ad elevare la produttività del settore, dovendo soddisfare il bisogno di una neocostituita Comunità Economica Europea effettivamente in quegli anni deficitaria sul piano dei fabbisogni alimentari interni. Tuttavia, già negli anni ‘70 questa politica determina evidenti distorsioni di mercato, rendendo necessario il ricorso a campagne di ammasso delle eccedenze produttive ed una sempre più imponente spesa pubblica destinata alla garanzia dei prezzi. Negli anni ’80 tale politica diviene sempre più insostenibile sia a livello economico che morale, risultando peraltro devastante sul piano ambientale: è questa l'epoca in cui gli indirizzi di massimizzazione produttiva alla base di questa terza rivoluzione agricola vengono posti in discussione e progressivamente abbandonati.
È così che si giunge all’epoca contemporanea, in cui assistiamo ad una “quarta rivoluzione agricola” con la quale si ridisegna il rapporto tra agricoltura e società, allontanandosi dalle logiche di una “economia lineare” per abbracciare quelle di una “economia circolare”. Con tale rivoluzione si ridisegnano le strategie di sviluppo futuro del settore non solo in ragione di nuovi principi economici ed obiettivi di sostenibilità ma anche, se non soprattutto, in funzione di quello che è il ruolo profondamente diverso che l'intero mondo rurale è chiamato a ricoprire nel generale futuro delle nostre società.