A livello globale la produzione di latte sta crescendo. Non tanto perché il numero di capi da latte stia aumentando nel mondo, quanto perché stanno aumentando le quantità di latte prodotto per capo come effetto combinato del miglioramento genetico e della qualità dell’alimentazione. Tutto ciò nonostante le peggiorate condizioni ambientali (alternarsi di siccità e forti precipitazioni) e l’andamento dei prezzi degli alimenti e della manodopera.
Va da sé che il latte deve essere prodotto nelle migliori condizioni possibili, ovvero tenendo conto del benessere animale in generale, ma anche dell’effetto che la filiera della produzione di latte esercita sull’ambiente. Dal momento che la “sostenibilità” è alla base delle politiche dell’Unione Europea, come evidenziato dal piano di azione “Green Deal” e sottoprogrammi affiliati, si sta pensando alla pubblicazione dei cosiddetti “carbon data” degli alimenti. Infatti, il settore lattiero-caseario si sta sempre più assumendo la responsabilità di divenire sempre più “sostenibile”.
Stiamo assistendo all’aumento del numero di aziende, sia di produzione che di trasformazione del latte, che aderiscono a programmi di sostenibilità per ridurre le emissioni di metano, come si è convenuto, ad esempio, con il “Global Methane Pledge” fra 122 paesi, in occasione del COP 26. Il traguardo è la riduzione almeno del 30% del metano per kg di latte prodotto entro il 2030.
Una delle strategie da adottare per raggiungere lo scopo è quella della migliore conoscenza delle caratteristiche degli alimenti in termini di impatto ambientale, misurabile in kg di CO2 equivalenti prodotti per unità di peso dell’alimento. Si possono così formulare diete a basso impatto carbonico (environmental footprint) pur mantenendone l’efficienza nutritiva.
Uno degli strumenti più promettenti sembra essere il programma Life Cycle Assessment (LCA) che calcola accuratamente l’impatto ambientale dei singoli alimenti e dei processi di produzione. Con la comunicazione “Integrated Product Policy” (COM 2003, 302), la Commissione Europea ha indicato la LCA come il migliore strumento per valutare i potenziali impatti sull’ambiente al momento disponibili ed ha lanciato una piattaforma per facilitare le comunicazioni e le armonizzazioni dei dati.
Ma non basta considerare solo l’impatto ambientale degli alimenti. I programmi LCA più recenti tengono conto non solo dell’impatto dei singoli alimenti ma anche dell’energia impiegata in relazione alla produzione di latte, della qualità e quantità di alimenti prodotti in azienda e di quelli acquistati. Si possono così sostituire ingredienti alimentari ad alto impatto ambientale con altri a minor impatto, ovviamente verificando che ciò non comporti un peggioramento della produzione di latte.
C’è ancora molta strada da fare, soprattutto per garantire la trasparenza dei procedimenti applicati attraverso dei controlli affidabili. Le aziende che hanno già adottato le norme del programma LCA stanno beneficiando della scelta in termini di competizione commerciale dei loro prodotti. Si tratta di aziende e mangimifici del nord Europa, prevalentemente olandesi, che preferiamo non citare per ovvi motivi. Il loro motto è: “alimentiamo il futuro avendo cura di salvaguardare il pianeta ed aggiungere valore ad ogni bicchiere di latte che produciamo”.
Purtroppo, e con buona pace di coloro che attribuiscono gran parte delle colpe dell’inquinamento ambientale agli allevamenti di ruminanti, la realtà è che sono altre le fonti di inquinamento più importanti. Ma tant’è, da una parte bisogna incominciare.