Il 28 marzo 2023 il Consiglio dei ministri ha approvato “con procedura d'urgenza” un disegno di legge che vieta la vendita, commercializzazione, produzione e importazione di alimenti artificiali. Nei comunicati stampa, si è preferito parlare di «carne sintetica».
Facciamo il punto.
In primo luogo, la terminologia. Per la preparazione e l’etichettatura degli alimenti non esiste una nozione di artificiale né di sintetico a livello italiano o europeo. A nessuno verrebbe in mente di definire Louise Brown, la prima persona al mondo a essere stata concepita con la fecondazione in vitro, e gli altri 8 milioni di individui concepiti con lo stesso metodo come “persone sintetiche”.
In effetti, sarebbe più corretto parlare, per distinguerla da quella di allevamento, di carne «coltivata» (nell’opzione di marketing rassicurante) o carne «di laboratorio» (nell’opzione ansiogena). La FAO suggerisce “a base di cellule”. Si tratta infatti di un prodotto di carne animale originata da cellule di un animale, non necessariamente ucciso né geneticamente modificato, sviluppata secondo un procedimento biologico in un ambiente confinato. La scienza necessaria alla produzione di questa carne altro non è che una derivazione di una branca delle biotecnologie nota come ingegneria dei tessuti che mira a trovare possibili applicazioni mediche come nell’ambito della ricerca contro la distrofia muscolare o della produzione di organi per trapianti o pelle per ustionati. In linea teorica si può infatti creare in laboratorio il tessuto muscolare di qualsiasi animale, incluso l'essere umano.
In secondo luogo, perché vietarla oggi e d’urgenza? Una rapida ricerca permette di scoprire che, sebbene diversi progetti di ricerca siano già riusciti nella produzione di carne in laboratorio, sia in Europa che negli Stati Uniti, ad oggi solo Singapore ne ha autorizzato il consumo, dopo due anni di sperimentazione: si tratta di bocconcini di pollo, venduti in un unico ristorante della città-stato.
Nel settembre 2019, nella stazione spaziale internazionale è stata prodotta per la prima volta della carne bovina nello spazio usando una stampante 3D per la produzione di tessuto biologico a partire da cellule messe in coltura sulla Terra.
In Europa, Il primo hamburger in vitro, creato da una squadra olandese, è stato mangiato ad una dimostrazione per la stampa a Londra nell’agosto del 2013. Da allora, non si registra nessuna richiesta di autorizzazione per questo nuovo cibo o nuovo metodo di produzione. Infatti, oltre agli aspetti tecnologici ed economici, occorre non dimenticare che nell’Unione europea, ogni nuovo alimento, prima di arrivare in tavola, deve essere autorizzato secondo una rigida e rigorosa procedura che prevede periodi di prova di alcuni anni e il parere dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA). E fino ad allora non c’è bisogno di divieti, neppure a titolo precauzionale. Il divieto esiste già grazie alla normativa europea.
In terzo luogo, se la prevenzione non era necessaria visto che di fatto nessun prodotto è sul mercato o sarà sul mercato a breve termine, quale è la motivazione “reale” del provvedimento. L’articolo primo del disegno di legge ce ne dà un’idea: la «sovranità alimentare».
“Articolo 1: La presente legge reca disposizioni dirette ad assicurare la tutela della salute umana e degli interessi dei cittadini nonché a preservare il patrimonio agroalimentare, quale insieme di prodotti espressione del processo di evoluzione socio-economica e culturale dell'Italia, di rilevanza strategica per l'interesse nazionale.”
«L’Italia è la prima Nazione libera dal rischio di avere cibi sintetici», ha sottolineato il titolare del dicastero della Sovranità alimentare al momento dell’adozione del disegno di legge. E ha continuato aggiungendo che “abbiamo voluto tutelare la nostra cultura e la nostra tradizione, anche enogastronomica. Se si dovesse imporre sui mercati la produzione di cibi sintetici, ci sarebbe maggiore disoccupazione, più rischi per la biodiversità e prodotti che, a nostro avviso, non garantirebbero benessere”.
Se prescindiamo dai rischi per la salute umana, che grazie alle regole europee dovrebbero essere scongiurati senza bisogno di una normativa nazionale, si tratta quindi sostanzialmente di un obiettivo strategico che però non trova riscontro adeguato in altri atti importanti quale il piano strategico nazionale della politica agricola comune appena lanciato che dovrebbe identificare, per appunto, la strategia italiana per la sua agricoltura e alimentazione. Nella dichiarazione strategica che l’accompagna, il ruolo del cibo, dell’alimentazione e della qualità non appare come un obiettivo prioritario. Nel piano li si ritrova menzionati qui e là nel richiamo di misure già esistenti: misure di qualità, promozione, latte e frutta per le scuole…
È bene difendere la cucina italiana e chiederne il riconoscimento come patrimonio immateriale dell’umanità, ma non identificare il patrimonio culinario italiano e la produzione agroalimentare come un obiettivo strategico sembra in contraddizione con la volontà manifesta di creare e difendere una tavola patriottica e sovrana….
Piuttosto, sebbene restino ancora molte incertezze, si potrebbero sottolineare vari aspetti a favore di una certa sovranità che potrebbero potenzialmente derivare dalla produzione in Italia di tale carne.
Notoriamente l’Italia è importatrice di materie prime, incluse quelle alimentari. Per le carni bovine importiamo oltre al 50% del nostro fabbisogno interno. Quindi la prima domanda da porsi è se l’eventuale produzione di carne “coltivata” andrebbe ad intaccare principalmente le importazioni o piuttosto la produzione tradizionale.
I presunti vantaggi ventilati dai sostenitori andrebbero esaminati senza pregiudizi:
In primo luogo, occorre valutare se una produzione in larga scala, permetterebbe di ridurre l’impatto non solo economico ma ambientale rispetto alla produzione di carne da allevamento.
In secondo luogo, dal punto di visto etico, se permetterebbe di rendere accettabile il consumo di carne di origine animale anche da vegetariani o vegani, visto che per tale produzione una semplice estrazione di cellule tramite biopsia sarebbe sufficiente. Le alternative “vegetali” sono, nella maggior parte dei casi, dei prodotti ultra-trasformati.
In terzo luogo, dal punto di vista sanitario è difficile esprimersi tenuto conto della mancanza di dati e di esperienze sul lungo termine. La questione non si dovrebbe neanche porre in quanto le autorità preposte faranno le opportune valutazioni prima di rilasciare un parere favorevole, in primis l’EFSA che dovrà vagliare le richieste di eventuali produttori. Tuttavia, si può immaginare che la carne crescendo in laboratorio in condizioni sterili sarebbe meno esposta a funghi e batteri; inoltre, essendo decisamente più controllata della carne convenzionale, sembra ridotta l'esposizione a sostanze chimiche tossiche come pesticidi e fungicidi o all’uso di antibiotici. Resta pur sempre il problema della decomposizione e conservazione che richiede l’uso di sostanze chimiche, e del suo valore nutrizionale.
Infine, restano ancora delle difficoltà non da poco da superare. La prima sono i costi tenuto conto dei 300€/kg del pollo di Singapore già prodotto su scala industriale. Il prezzo potrebbe scendere notevolmente fino ad essere considerata "economica" dal consumatore medio ed in questo senso si apre il rischio di una concorrenza con la carne tradizionale; però in sostanza si potrebbero creare due mercati paralleli, uno per i tradizionalisti ed uno per le persone sensibili ad argomenti etico-ambientali.
Per quanto, riguarda l’accettazione da parte del pubblico, un prezzo competitivo e le considerazioni etiche sembrano renderla di certo più accettabile di ogm o insetti commestibili. A titolo di esempio, l’anno scorso è partita una raccolta di firme ufficiale per sollecitare l’Unione Europea a spostare i sussidi dalla zootecnia all'agricoltura cellulare. Tra i più grandi sponsor della ricerca in materia si ritrovano ricchi vegani americani o associazioni vegetariane.
Per gli amanti della buona cucina, resta da risolvere anche la questione dell’aspetto e del sapore di questa carne. Da quello che si legge finora a livello organolettico la carne risulta ancora dalla consistenza asciutta e dal gusto ancora da perfezionare e appare in lamelle di poca consistenza. Probabilmente si riuscirà a produrne in quantità e qualità sufficiente per preparazioni a base di carne ma non per una bella bistecca.
Per fortuna gli amanti della buona tavola e del buon gusto sapranno fare le loro scelte senza bisogno dell’intervento del legislatore.