Ho letto, e riletto, con grande attenzione e crescente condivisione, l’intervista a Capitano Ultimo uscita in occasione della celebrazione dell’Anniversario dell’attentato alla nostra sede. In particolare mi ha fatto riflettere l’ultima frase che mi permetto di riportare: “Per quanto riguarda i reati ecologici, da quel che ho potuto vedere, si tratta sempre di reati che sono un mezzo e non un fine. Un mezzo utilizzato dalla collusione tra politica e malavita, sempre associati ad appalti e reati di corruzione e concussione. Non bisogna abbassare la guardia”. È un’osservazione che, a mio avviso, non si può che condividere per l’autorevolezza di chi l’ha formulata, per la realtà di fatti noti a gran parte del mondo agricolo, per la sua collocazione nella storia stessa della nascita dei fenomeni mafiosi nelle campagne, per la parte in cui, al di fuori di certe interpretazioni pseudo romantiche, colloca i reati a cui si riferisce nella “collusione fra politica e malavita” e li associa “sempre” ad appalti e a reati di corruzione e concussione. Infine, per l’esortazione conclusiva a non abbassare mai la guardia sottovalutando il fenomeno.
L’intervento di Capitano Ultimo ha anche il merito di indurre a sviluppare qualche considerazione su altri fenomeni di malavita, reale o presunta, che sempre più vengono collegati all’agricoltura ed all’alimentare nella rappresentazione che ne danno mezzi di informazione spesso poco documentati su quello di cui scrivono e portati ad enfatizzare le notizie che suscitano scandalo rispetto a quelle rassicuranti che sono in nettissima prevalenza. Ad esempio è frequente il neologismo “ecomafie” riferito a fatti e comportamenti potenzialmente da considerare reati in campo agro/alimentare. Con questo termine di forte impatto vengono etichettati fenomeni come frodi alimentari, sofisticazioni, adulterazioni, contraffazioni fra cui anche la produzione e commercializzazione di prodotti che imitano quelli tutelati dalle diverse denominazioni, i prodotti “Italian Sounding” per intenderci. Ma anche, alle volte e con eccesso di frettolosità, episodi legati a semplici incidenti di produzione o di commercializzazione. Tutte questioni che sono sotto costante osservazione dei sistemi nazionali e comunitari di controllo e che poco o nulla hanno da spartire con veri comportamenti mafiosi.
Questo tipo di “grancassa” mediatica viene esteso anche ai cosiddetti attacchi o attentati alla produzione agroalimentare italiana per i quali vengono suonati fragorosi allarmi, in genere ingiustificati perché derivanti da normative comunitarie che in nessun caso sono state tramate ed ordite contro l’Italia e, tanto meno, col voto contrario del nostro Paese, lasciando intendere invece che siano il frutto di oscuri fenomeni di corruzione o concussione di presunti potentati economici.
Sempre al limite fra realtà e interpretazioni fantasiose si trovano i casi in cui le pratiche agricole corrette, spesso persino quelle classificate come “best practices” e approvate sul piano comunitario e nazionale, vengono sottoposte a processo mediatico senza alcuna base scientifica o normativa di supporto. È il caso ad esempio di numerose questioni sollevate da pseudo ambientalisti, fantasiosi sostenitori di presunte verità scientifiche, autori di diete assurde e, queste sì, realmente pericolose.
Infine arriva anche la questione della transizione “Green” che già sembra utilizzata per demonizzare con motivazioni sbagliate le pratiche convenzionali per aprire, inopinatamente e ingiustificatamente, ad altre che senza alcuna verifica scientifica, tecnica ed anche economica pur nell’ambito della sostenibilità, vengono lanciate nell’arena mediatica.
Un capitolo a parte è quello del lavoro agricolo e dei rapporti legati alla stagionalità delle produzioni. È a tutti chiaro che l’agricoltura, come il turismo, ha una domanda di lavoro fortemente stagionale e che le regole devono essere specifiche per poter coniugare le esigenze delle imprese e quelle dei lavoratori. Le formule ci sono e possono essere attivate, ma il rischio di fenomeni in cui il mercato del lavoro sia controllato da forme di organizzazione illegali di tipo malavitoso, come sappiamo, è elevato e richiede una particolare attenzione.
Alle particolarità citate alla rinfusa si somma il recentissimo problema della convivenza fra animali selvatici ed umani o animali domestici che si scarica sull’attività agro-silvo-pastorale a seguito dello sconsiderato ripopolamento attuato in diverse aree e con specie differenti. Occorre la massima attenzione ed un uso corretto delle norme vigenti in materia di contrasto alla vera criminalità anche in questo ambito.
Un conto è la chiarezza che Capitano Ultimo usa e un altro è la superficialità con cui vengono diffuse notizie senza gli opportuni e necessari riscontri scientifici e normativi. Temo però che, in un futuro non troppo lontano, da un confuso clima di sospetto si passi ad un’affrettata produzione legislativa sbagliata e dannosa, ma sostenuta da credenze che spesso appaiono di natura non chiara e comunque non sottoposte al vaglio del quadro normativo vigente che si regge, sul piano produttivo, sulle certezze del metodo scientifico, con criteri valutati, prove certificate, ripetibili e ben definite.
Il rischio è forte ed apre la strada al dubbio, se non al sospetto, che tutto ciò possa essere preda di organizzazioni criminali stricto sensu che ne traggano profitti illeciti e, ciò che ne accresce la gravità, siano dannosi alla salute umana e all’ambiente.
A conclusione, mi permetto di consigliare la rilettura delle parole di Capitano Ultimo.