La popolazione mondiale è destinata ad aumentare ancora. Si calcola che nel 2050 ci saranno almeno 9 miliardi di persone e che per fornire di cibo a sufficienza le produzioni agricole dovranno crescere almeno del 70%. Contemporaneamente alcune delle materie prime tradizionali e non rinnovabili iniziano a scarseggiare; si calcola che attualmente consumiamo risorse naturali come se avessimo a disposizione una terra e mezza e che se tutto il mondo utilizzasse le risorse naturali come la media dei Paesi OCSE sarebbe come se avessimo a disposizione tre terre invece di una. Una soluzione possibile è rappresentata da una maggiore e migliore valorizzazione delle risorse biologiche e rinnovabili presenti in natura per la produzione di alimenti e mangimi di migliore qualità in maggiore quantità, ma anche composti chimici, materiali e combustibili, garantendo in questo modo sicurezza e qualità alimentare, riduzione degli inquinamenti ambientali e dei cambiamenti climatici nonché nuove opportunità di mercato ed occupazionali.
Queste sono le priorità della Bioeconomia, che abbraccia quindi l’agricoltura, la selvicoltura, la pesca e l’acquacoltura sostenibili, la sicurezza e la qualità alimentare, la produzione di carta e di prodotti forestali, la bioindustria e le bioraffinerie e la gestione e la valorizzazione delle risorse marine e delle acque interne. La Bioeconomia e’ un pilastro importante dell’economia Europea, con 2.1 trilioni di euro di turnover annuo e circa 20 milioni di posti di lavoro, e di quella italiana, con circa 250 miliardi di turnover annuale e circa 2 milioni di posti di lavoro.
L’avvio di una Bioeconomia a larga scala può creare in Italia nuova occupazione, nuovi prodotti e processi e quindi nuova competitività, soprattutto nelle aree rurali, lungo le coste e nelle aree industriali dismesse o provate dall’attuale crisi economica. Ma questo richiede ricerca e innovazione dirette a rafforzare gli ambiti produttivo-industriali menzionati sopra e ad integrarli, creando nuove o più lunghe catene di valore, calate sul territorio, unitamente ad azioni di formazione ed informazione specifiche.
Un’applicazione pervasiva del concetto di Bioeconomia in agricoltura significa un radicale ripensamento dei processi produttivi con l’obiettivo di coniugare un necessario aumento della produttività ad una riduzione degli input e ad una azione favorevole nei confronti dei cambiamenti climatici. La ricerca avrà un ruolo fondamentale non solo nella comprensione dei fenomeni biologici e delle loro complesse interazioni, ma soprattutto in campo genetico, con il miglioramento continuo delle varietà coltivate, nella comprensione dei cicli biogeochimici e della funzionalità dei suoli, nella sostituzione dei fertilizzanti di sintesi, nella difesa delle colture con minimo impiego di insetticidi e anticrittogamici, nelle tecniche di coltivazione che riducano erosione, perdita di sostanza organica e fabbisogni energetici.
Anche il settore agroalimentare, che già ora rappresenta in Europa più del 50% del fatturato dei settori compresi nel concetto di Bioeconomia, vede aprirsi enormi possibilità di innovazione e crescita. L’innovazione riguarda le proprietà nutrizionali degli alimenti e la loro relazione con la salute e il benessere, settore già ora di grande interesse e dinamismo, ma anche le tecniche di conservazione, il packaging, la logistica, con l’ottica di una riduzione degli sprechi e degli scarti.
Il settore foresta-legno a livello europeo è considerato, in prospettiva, uno dei pilastri della Bioeconomia, anche se in Italia la questione è complessa. Fino ad ora è stato più conveniente importare legno che utilizzare i nostri boschi; è però prevedibile, e in parte lo si verifica già, che un maggiore valore aggiunto che il legno potrebbe derivare dal suo utilizzo non tradizionale (bioplastiche, materiali compositi, etanolo e composti chimici, principalmente da cellulosa ma anche da lignina) rendano meno convenienti le importazioni e diano impulso alle utilizzazioni dei boschi nostrani.
Un altro aspetto della Bioeconomia è rappresentato dalle bioraffinerie che utilizzano biomassa vegetale dedicata, sottoprodotti e rifiuti derivati dalla produzione primaria agricola e dall’industria alimentare per la produzione di composti nuovi ed innovativi biobased di chimica fine (ingredienti alimentari, composti farmaceutici, building blocks, etc), materiali (biopolimeri, elastomeri sintetici e gomma naturale, estensori e additivi rinnovabili) e combustibili, biobased products di interesse per le industrie locali o internazionali attive nei settori alimentare, farmaceutico, cosmetico, chimico e dell’energia. L’Italia vanta attualmente nel settore 4 impianti pilota, 2 impianti dimostrativi e 3 siti industriali con 5 produzioni industriali di avanguardia in Europa. Servono ricerca e innovazione dirette, in primis, a garantire la disponibilità della necessaria biomassa, nel rispetto della biodiversità e delle specificità dei territori, e a basso costo, attraverso la selezione di piante ove possibile autoctone, soprattutto lignocellulosiche, a maggiore produttività, e l’uso delle aree rurali e marginali o non più coltivate, nonché l'uso di sottoprodotti e rifiuti agro-industriali generati sul territorio, sviluppando tecniche per la loro raccolta, selezione e stabilizzazione.
L’Italia, con i suoi circa 8 mila km di coste, la sua tradizione marinara, la sua peculiare posizione nel Mediterraneo, e l’ampiezza delle proprie attività industriali e di ricerca nel settore marino e marittimo, può trarre grandi vantaggi anche dal mare che deve però saper anche salvaguardare da fenomeni di degrado ecologico-ambientale. La pesca e l’acquacoltura, unitamente alle biotecnologie marine, incluse quelle algali, e alla valorizzazione biotecnologica dei sottoprodotti e dei residui della filiera ittica, compongono pilastri centrali della Bioeconomia del mare. .
In conclusione, la Bioeconomia creerà maggiore sostenibilità ambientale unitamente a nuove opportunità di crescita sostenibile e di competitività a settori produttivi leader nel nostro Paese, quali quello agro-alimentare, chimico, dell’energia e marino, molti dei quali composti da piccole e medie imprese. E’ una sfida che richiede uno sforzo inventivo senza precedenti. Significa ripensare i processi non solo in termini fisici ma anche ecologici, ridurre gli sprechi, trasformare i rifiuti in risorse, individuare modelli colturali che accrescano le produzioni e contemporaneamente migliorino la funzionalità dei suoli e contrastino i cambiamenti climatici, occorre sviluppare processi industriali più efficienti, versatili e sostenibili in gradi di produrre diversi prodotti, a partire da quelli a maggior valore aggiunto.
L’Europa si è data una strategia assai ambiziosa nel campo della Bioeconomia, prevedendo importanti finanziamenti a sostegno. Sarebbe opportuno ed auspicabile che, come già hanno fatto alcuni Paesi Europei, anche il nostro Paese si desse una strategia in campo bioeconomico: come menzionato sopra, l’Italia ha enormi potenzialità ma serve una strategia condivisa che sostenga la “visione” della Bioeconomia con misure e politiche concrete di sostegno.