Incontrovertibile è il calo del consumo di pane da parte degli italiani che, da più di un chilogrammo giornaliero a testa al momento dell’unità d’Italia (1861), sono ne mangiano meno di un decimo, tra gli ottanta e gli ottanta-cinque grammi giornalieri. Il calo dei consumi di pane ha visto un’accelerazione negli ultimi anni, con un consumo che nel 2010 era di 120 grammi a testa il giorno, nel 2000 di 180 grammi, nel 1990 a 197 grammi e nel 1980 intorno agli 230 grammi.
La progressiva disaffezione che gli italiani mostrano per il pane fa nascere una serie di lamenti da parte delle diverse categorie interessate, per un fenomeno complesso. Panificatori e fornai in testa, ma anche il mondo agri-colo che deplorano questo calo, che spesso dimenticano la sua multifattorialità, sottovalutano la possibilità di dominarlo o contrastarlo proponendo solo singoli e puntuali interventi.
La spesa familiare in Italia per pane, grissini e crackers oggi si stima ammontare a circa otto miliardi l’anno e in una società che è cambiata e che continua a cambiare, almeno sei sono le aree interessate all’andamento dei consumi di pane, tra loro interagenti, e in particolare: Nutrizione, Età, Attività fisica, Costo, Mercato, Consumi alimentari a tavola.
Nutrizione. Gli idrati di carbonio fanno parte essenziale della dieta umana e un tempo, nell’area mediterranea, questi erano rappresentati soprattutto dal pane, mentre oggi sono presenti anche e soprattutto nella pasta. Il consumo medio annuo di pane (30-40% di acqua) in Italia è stimato in trenta chilogrammi (venti chilogrammi anidri), quello della pasta (10% di acqua) in venticinque chilogrammi (ventidue e mezzo anidri). Avendo aumentato il consumo di pasta, obbligatoriamente abbiamo diminuito quel-lo del pane. Molta pasta, quindi meno pane!
Costo. Lo spostamento dei consumi d’idrati di carbonio alimentari dal pane alla pasta è collegato anche al loro diverso prezzo: la pasta industriale e anche di qualità cosa molto meno del pane, senza considerare il diverso contenuto di acqua! Ottanta grammi di pane costano da 13 a 80 centesimi, mentre lo stesso peso di pasta da 8 a 16 centesimi. Il divario di prezzo tra il pane e la pasta aumenta se lo si riferisce al peso di prodotto senza l’acqua che contiene. É vero che il pane fresco ha un costo di produzione più elevato di un prodotto da forno o di una pasta industriale, ma considerando il periodo di crisi economica in cui siamo, senza ogni dubbio è più conveniente un piatto di pasta che un pezzo di pane!
Età e attività fisica. La società italiana invecchia (circa il 14% oltre i 65 anni) è sempre più sedentaria (42% degli italiani, pari a 24 milioni). Inevitabile è di conseguenza un crollo dei consumi d’idrati di carbonio e il primo a farne le spese è il pane. Non è che quest’alimento in quanto tale faccia ingrassare, ma in una dieta varia e equilibrata di persone anziane e di sedentari deve essere presente in quantità limitate (ottanta grammi) e non un chilogrammo, che invece serviva a un giovane contadino di un tempo che per otto ore zappava i campi.
Mercato del pane. Nell’attuale popolazione sono cambiati gli stili di vita che riguardano gli acquisti alimentari. Una delle principali caratteristi-che che si richiede al pane é quello di essere “fresco”, una caratteristica che mal si concilia con la grande distribuzione e la spesa settimanale al supermercato. Inoltre, l’area di distribuzione del pane di un forno artigianale é ristretta e per superare i limiti della distribuzione si ricorre al sistema (e-secrato da molti!!) della pasta di pane o del pane surgelato con la cottura all’ultimo momento e presentazione come pane “fresco”. Per questo, il mercato del pane é eroso non solo dalla pasta, ma anche da altri prodotti da forno a media e lunga conservazione (grissini crackers, fette biscottate ecc.).
Consumi alimentari a tavola. Non si mangia più come una volta, in casa e fuori casa. Fuori casa si mangia poco pane, anche se il panino é offerto da un’infinita di locali e mantiene in vita un certo consumo di pane, indubbiamente le pizzerie rappresentano una valida alternativa e contribuiscono a tenere basso il consumo di pane. Nei ristoranti il pane è sempre presente e fa parte del discusso se non famigerato “coperto”, ma spesso è solo un consumo apparente, perché buona parte del pane (dal trenta al cinquanta per cento) non è utilizzato ed è gettato, divenendo una delle maggiori occasioni di spreco alimentare. In casa e con la modificazione dei consumi di pane in tavola rientra la sempre più diffusa perdita di memoria e di conoscenze riguardanti i tanti pani tradizionali che esistevano in Italia, a causa dell’avvenuta massiccia urbanizzazione con la perdita della cultura contadina del pane e delle culture territoriali in conseguenza degli sposta-menti territoriali, ma anche per la perdita dei caratteri peculiari di molti di questi pani, oggi anche ”falsificati” in quanto non più prodotti con lieviti madre locali, ma con farine standardizzate e lieviti industriali.
In conclusione, oggi come nel passato, il pane è lo specchio di una società. Come una società contadina aveva un’alimentazione basata su pani contadini, oggi una società urbana inevitabilmente ha una alimentazione nella quale il pane è marginalizzato dall’avvento della pasta e di altri pro-dotti da forno, più adatti a una popolazione di età più matura e con stili di vita e alimentari di tipo mondializzato.