Mille sono le motivazioni addotte dai tifosi per giustificare le talvolta non buone prestazioni atletiche dei loro idoli calcianti: oltre, ovviamente, alle congiure del ‘palazzo’ e agli intrighi (o ‘gomblotti’) arbitrali, si spazia dalle dimensioni e condizioni del campo, al colore delle maglie, alle capacità di rimbalzo del pallone, e via ipotizzando. Un recente articolo comparso sul
Guardian (
https://www.theguardian.com/environment/2016/mar/05/air-pollution-football-performance) introduce un nuovo elemento: l’inquinamento atmosferico. Infatti, un gruppo di ricerca tedesco ha analizzato le correlazioni tra qualità dell’aria all’esterno dei campi da gioco della Bundesliga e prestazioni dei calciatori, in termini di percentuale di passaggi di palla riusciti, e le conclusioni sono preoccupanti: le sostanze tossiche, anche se anche al di sotto delle soglie consentite dalle normative ambientali, sono responsabili di significative diminuzioni nei parametri considerati.
Non è certo la prima volta che l’inquinamento dell’aria viene associato alla riduzione di capacità fisiche (ma anche cognitive) dell’uomo: ad esempio, è stato ipotizzato che, se le medie giornaliere di ozono si abbassano di 10 ppb, la produttività degli operai agricoli aumenta del 5,5%
(http://www.nber.org/papers/w17004). Rimanendo nell’ambito sportivo, sono note le preoccupazioni segnalate in occasione dei Giochi Olimpici di Pechino (2008) (
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18512178) e quelli di Londra (2012) (
http://www.decodedscience.org/london-2012-olympics-could-air-quality-affect-athlete-performance/16274), specialmente nel caso di attività agonistiche di lunga durata.
Ma quali effetti subiscono le piante che crescono in presenza di significativi concentrazioni di sostanze nocive nell’aria? La fitotossicologia è ormai una disciplina matura, con centinaia di cultori e gruppi di ricerca che, spesso con approcci integrati, analizzano aspetti fisiologici e metabolici dei vegetali sotto stress, dal livello subcellulare a quello di popolazione. Una mole di studi sperimentali e di esercizi di modellizzazione ha da tempo evidenziato le conseguenze deleterie dell’ozono al suolo comunemente rinvenuto anche in aree rurali e forestali, e non solo nei centri urbani (
http://www.annualreviews.org/doi/pdf/10.1146/annurev-arplant-042110-103829). Gli effetti (tipologia e intensità) dipendono da parametri legati all’esposizione (specie chimiche, concentrazioni, miscele), dalle capacità di risposta della pianta e dai fattori ambientali (in questi termini si declina in forma originale il famoso “triangolo della malattia”, base di lavoro della Patologia vegetale, ma, in realtà, gli inquinanti sono a tutti gli effetti dei ‘patogeni’). Riduzioni quali-quantitative delle produzioni delle piante agrarie, diminuzione della biomassa forestale e modificazioni nella composizione delle comunità spontanee e seminaturali: sono queste le voci principali che caratterizzano l’impatto delle più ricorrenti situazioni di inquinamento, che implicano anche una compromissione della fornitura di servizi ecosistemici. I trend sono in genere in aumento, nonostante le misure legislative adottate in molte realtà geografiche. Se in Europa e in Nord America la situazione è, comunque, in qualche modo ‘stabilizzata’, si assiste a rapidi incrementi di contaminazione in Paesi a tumultuoso sviluppo economico e sociale, a cominciare dalla Cina. Troviamo lì ben 16 delle 20 città più inquinate del mondo.
E’ facile individuare aspetti economici legati alle riduzioni di resa, anche se non è banale distinguere quali siano i soggetti effettivamente vittime (produttori, trasformatori, commercianti, consumatori), stanti le regole della formazione dei prezzi nel mercato. Meno semplice è quantificare le conseguenze in termini ecologici, ad esempio, nel caso dei deperimenti forestali che da anni affliggono vaste aree europee, e non solo. Il tutto va doverosamente letto anche in chiave dei mutamenti climatici in atto (o, quantomeno previsti), a cominciare dal riscaldamento globale. Infatti, considerando le complesse interazioni accertate, si verifica che l’ozono (esso stesso un importante “gas serra”) riduce direttamente le capacità della vegetazione di fissare il carbonio (minore attività fotosintetica), il che contribuisce a una maggior presenza di questo gas clima-alterante (con aumento di temperatura), cui consegue, a sua volta, un incremento di precursori naturali dello smog (idrocarburi biogenici prodotti dalle piante stressate), alcuni dei quali sono agenti di forzatura climatica; e così via, in una serie infinita di azioni/retroazioni. Il tutto in un contesto ambientale sempre meno stabile e più ostile, in cui, ad esempio, le ondate di calore (e i picchi di ossidanti fotochimici) che abbiamo subito in annate particolari (es. 2003, 2012, 2015) diventeranno sempre più frequenti, con conseguenze gravi anche in termini di mortalità e morbilità umana
(https://royalsociety.org/~/media/Royal_Society_Content/policy/publications/2008/7925.pdf).
Non sorprende, quindi, il fatto che l’inquinamento dell’aria costituisca una seria minaccia alla sicurezza alimentare (in termini di accesso al cibo) a livello mondiale, quantomeno nell’emisfero nord: una significativa riduzione delle concentrazioni di ozono troposferico rappresenterebbe una eccellente opportunità per incrementare le rese di colture strategiche (come frumento, soia, riso, mais), senza aggravare i costi ambientali ed economici di un aumento delle superfici coltivate e delle applicazioni di mezzi chimici per la difesa e la fertilizzazione (
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1352231011000070).
Anche la nostra comunità scientifica è attiva da tempo su questi temi. Nel novembre 2006 si svolse a Pisa il primo evento a livello nazionale in cui numerosi gruppi di lavoro si confrontarono sugli argomenti connessi a livelli ed effetti dell’ozono troposferico sugli ecosistemi agrari e forestali. L’iniziativa ottenne un generale consenso e costituì il momento di avvio per successivi progetti, anche di respiro internazionale. Tra essi merita una segnalazione TreeCity, un PRIN recentemente portato a termine. In occasione del decennale dell’incontro, il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa, TerraData environmetrics (spin-off dell’Università di Siena) e la Fondazione Edmund Mach - Centro Ricerca e Innovazione (San Michele all’Adige), organizzano una giornata di studio per valutare gli aggiornamenti emersi negli ultimi 10 anni dalla ricerca italiana su tali argomenti. Il convegno è dedicata alla memoria del Professor Giovanni Scaramuzzi a 15 anni dalla Sua scomparsa; a Lui si deve l’intuizione, pioneristica per il nostro Paese, di indirizzare risorse umane e materiali verso questa linea di studio. Il programma della manifestazione (24 novembre 2016), che è patrocinata dall’Accademia dei Georgofili e prevede partecipazione libera, è consultabile al link
http://www.agr.unipi.it/images/eventiconvegni/2016/24nov16.pdfFOTO: Sintomi fogliari su corbezzolo (
Arbutus unedo) indotti da ozono in condizioni naturali (foto Giacomo Lorenzini)
Is your football team playing badly? It may be air pollution!
Football fans have thousands of reasons to justify the at times lackluster athletic performances of their idols. Apart, obviously, from “conspiracy theories” and referee conspiracies, we range over the dimensions and state of the pitch, the color of the t-shirts, the bouncing capacity of the ball and so on with theories. A recent article published in The Guardian
(https://www.theguardian.com/environment/2016/mar/05/air-pollution-football-performance) has introduced a new element: air pollution. In fact, a group of German researchers has analyzed the correlations between air quality outside Bundesliga football pitches and players’ performances by counting successful passes and the conclusions are worrying. Toxic substances, even below the threshold allowed by environmental regulations, are responsible for significant reductions as regards the chosen parameters.
It is by no means the first time that air pollution has been associated with a decrease in human physical (as well as cognitive) performances. For example, it has been assumed that if the daily ozone averages go down by 10 ppb, farmer productivity increases by 5.5% (http://www.nber.org/papers/w17004). Remaining in the sport milieu, worries during the Beijing Olympic Games (2008) (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18512178), as well as during those in London (2012) (http://www.decodedscience.org/london-2012-olympics-could-air-quality-affect-athlete-performance/16274) were well-known, especially for the long-term athletic activities.
However, what are the effects on plants that grow with significant concentrations of harmful substances in the air?