Brexit or Bremain, this is the question, verrebbe da dire parafrasando il bardo di Stratford-Upon-Avon, William Shakespeare. Il 23 giugno i sudditi di sua maestà la regina Elisabetta II, la più longeva sovrana del Regno Unito, decideranno se continuare a fare parte dell’Unione europea o se svignarsela. Non senza tensioni, che hanno portato nei giorni scorsi all’assassinio della parlamentare laburista Jo Cox.
L’incertezza sull’esito del voto è massima, come bene ha dimostrato la catena speculativa che si è messa in moto. I sondaggi si rincorrono e sono più mutevoli del cielo londinese nel mese di agosto. Le pressioni per rimanere con gli altri 27 Paesi nell’Europa che gli inglesi hanno contribuito a fondare nel 1957 sono schiaccianti, ma altrettanto forte è il messaggio di chi vuole ritornare a una sovranità piena e non vincolata dalla burocrazia di Bruxelles, una delle leve azionate da chi è favorevole alla Brexit.
Il settimanale
The Economist ha titolato in copertina: "Divided we fall", "Divisi, cadiamo", il tabloid popolare The Sun ha optato per un calembour per sostenere l’uscita: “BeLEAVE in Britain”, dove si incastrano i messaggi “Credere (Believe) nella Gran Bretagna” e Leave, Lasciare.
Il dibattito è molto acceso anche nel settore agricolo. Il commissario europeo all’Agricoltura, Phil Hogan, si è prodigato in diversi viaggi e incontri con gli agricoltori. Portando il medesimo messaggio agli imprenditori agricoli: “Gli agricoltori del Regno Unito stanno meglio nell’ambito della Pac ed essere un membro dell’Unione europea rafforza gli scambi commerciali dell’agroalimentare britannico e la sicurezza alimentare”.
“Quando si tratta di reddito degli agricoltori, la Pac offre una stabilità e una certezza che sono vitali, consentendo agli agricoltori e agli operatori agroalimentari di pianificare il futuro con maggiore fiducia – ha proseguito Hogan con una riflessione sul suo blog -. Una politica agricola solitaria del Regno Unito sarebbe in grado di eguagliare questa stabilità per un lungo periodo come budget? Alcuni piani pubblicati descrivono un post-Brexit britannico con politica agricola di 2 miliardi di sterline l’anno: questo sarebbe un terzo in meno rispetto ai 3 miliardi di sterline ricevuti con la Pac di quest’anno, e ogni anno fino al 2020”.
Un’altra questione riguarda gli scambi commerciali. “Grazie all’Unione europea, gli agricoltori del Regno Unito hanno ora accesso a più di 53 accordi commerciali, che consentono di esportare e importare prodotti agricoli senza burocrazia”.
Il sindacato della National Farmers Union (Nfu), punto di riferimento degli agricoltori britannici, con una formula di estrema eleganza si schiera per il Bremain, per rimanere in Europa.
“Il Consiglio della Nfu stabilisce che, sulla base degli elementi a nostra disposizione allo stato attuale, gli interessi degli agricoltori siano meglio serviti continuando ad appartenere all’Unione europea”. Un messaggio chiaro, al quale fanno da corollario due rilievi.
Il primo: “La Nfu riconosce e rispetta la diversità di vedute tra i suoi membri. La posizione della Nfu si basa esclusivamente su una valutazione degli aspetti agricoli e l’associazione è pienamente consapevole ci sono molte questioni più ampie in gioco. Il sindacato non farà attivamente una campagna al referendum; non si unirà con nessun gruppo di campagna e non consiglierà in alcun caso i propri membri come votare”.
Seconda precisazione: “Se l’esito del voto sarà di rimanere o lasciare, la Nfu continuerà a lavorare affinché si possa ottenere la soluzione migliore possibile per gli agricoltori britannici”.
Il primo interesse per il sindacato agricolo del Regno Unito, guidato da Meurig Raymond, è dunque quello di informare, per una decisione consapevole.
Le sovvenzioni comunitarie, attraverso i pagamenti diretti alle aziende agricole, costituiscono il 54% del reddito degli agricoltori britannici. Allo stesso tempo, l’Ue è mercato di sbocco per il 62% delle esportazioni agricole britanniche.
Insomma, la tanto bistrattata Pac, per colpa della quale burocrazia e greening sarebbero “seccanti”, secondo la maggior parte degli agricoltori britannici, sarebbe vitale.
Il Defra (Department for Environment, Food & Rural Affairs) converrebbe rimanere nell’Ue. E lo fa dicendo che rimanere nell’Ue converrebbe per grossomodo 11 miliardi di sterline, dal momento che il 60% dell’export dell’agroalimentare britannico è destinato ai mercati dell’Unione europea, una realtà da 500 milioni di abitanti.
Glyn Roberts, presidente della Nfu nel Galles, ha affermato che “un’uscita dall’Ue porterebbe indietro l’agricoltura gallese agli anni Trenta e che un’eventuale Brexit sarebbe stata meglio solamente se la politica agricola del Regno Unito negli ultimi 20 anni avesse avuto un’inversione a U rispetto a quanto invece programmato”.
Favorevole a uscire è il ministro dell’Agricoltura, George Eustice. “Le regole dell’Ue rendono la vita dura per gli agricoltori – ha detto -. Se avremo il coraggio di votare Leave potremo riprendere il controllo ed essere di nuovo liberi di pensare per il futuro dell’agricoltura e dell’ambiente”.
E ancora, in un incontro proprio con gli agricoltori della Nfu, il ministro Eustice ha detto: “Lasciare creerebbe 18 miliardi di sterline l’anno di dividendo Brexit. Questo potrebbe essere utilizzato per continuare a garantire i pagamenti agli agricoltori attraverso uno schema migliore. Possiamo trovare 2 miliardi di sterline per l’agricoltura e l’ambiente? Certo. Dovremmo? Senza ombra di dubbio”.
Alcuni sondaggi – che però potrebbero essere ribaltati in seguito alle tragiche vicende di cronaca – dicono che il 58% degli agricoltori e il 62% di quelli giovani sono favorevoli alla Brexit.
Convinti a lasciare sarebbero anche i pescatori, che nei giorni scorsi hanno risalito il Tamigi fino a Londra, dove hanno incontrato il leader del partito Ukip, Nigel Farage. A parlare per gli addetti della pesca gli striscioni: “L’unica soluzione è la Brexit”, facendo riferimento alle quote imposte dall’Ue proprio sul pescato.
Il presidente dell’Ifa (Irish Farmers Association), Joe Healy, ha avvertito che un’uscita del Regno Unito dall’Unione europea sarebbe molto dannosa per l’allevamento e il settore alimentare in Irlanda, appellandosi alla comuintà irlandese che vive in Gran Bretagna, in modo da sostenere il Bremain. “Per noi è molto importante che il Regno Unito rimanga con l’Ue – ha spiegato -. Un’uscita sarebbe complessivamente negativa per l’economia irlandese, visto che il Regno Unito rappresenta il nostro più importante mercato di esportazione agroalimentare, con oltre il 40% della quota totale di export agricolo. Più del 50% della nostra carne bovina e oltre il 60% del nostro formaggio raggiunge il Regno Unito, quasi il 100% delle nostre esportazioni di funghi e circa 350 milioni di euro di carne suina”.
In caso di vittoria del Leave e dunque di Brexit, che cosa succederà per l’agricoltura britannica? Per il direttore editoriale di Agra Europe, Chris Horseman, “anche se l’articolo 50 del Trattato di Lisbona prevede un periodo di negoziazione di due anni per la Brexit, entrambe le parti saranno probabilmente d’accordo per un divorzio del Regno Unito alla fine del 2020, al termine cioè del flusso del quadro finanziario pluriennale 2014-2020. Il Regno Unito avrebbe così più tempo per prepararsi per le sfide significative della vita al di fuori dell’Unione, mentre l’Ue, da parte sua, non perderebbe i contributi netti del Regno Unito a metà di un periodo di finanziamento”.
di Matteo Bernardelli da
Agronotizie, 20/06/2016