Nella pianura padana addio a mais, pomodoro e riso? E in prospettiva anche al kiwi, altra coltura molto idroesigente? Il cambiamento climatico in atto potrebbe sconvolgere gli assetti produttivi del bacino padano mettendo a rischio anche quello che resta della frutticoltura nelle regioni del Nord. Che già hanno visto migrare al Centro gran parte di una produzione frutticola di pregio come il kiwi, al Sud fragole e pesche/nettarine mentre Trentino-Alto Adige e Piemonte (Cuneo) – dove l’acqua ancora c’è - si confermano i territori leader per la melicoltura di qualità. Il climate change potrebbe dare uno scossone definitivo a colture come le pere, già alle prese con pesanti problemi di prodotto, di mercato e di fitopatie.
L’Italia è in stato di emergenza idrica : lo testimonia la cabina di regia interministeriale insediata a Palazzo Chigi e l’arrivo di un Commissario nazionale (fino a fine anno poi si vedrà) che “potrà agire sulle aree territoriali a rischio elevato e potrà sbloccare interventi di breve periodo come sfangamento e sghiaiamento degli invasi di raccolta delle acque, aumento della capacità degli invasi, gestione e utilizzo delle acque reflue, mediazione in caso di conflitti tra regioni ed enti locali in materia idrica, ricognizione del fabbisogno idrico nazionale”. Lo stato di emergenza non esclude che nei prossimi mesi si potrà arrivare a provvedimenti drastici come il razionamento dell’acqua in alcune aree dove la condivisione dell’acqua tra usi civili, agricoli e industriali dovrà fare i conti con l’assenza della materia prima.
Così come se pioverà in quantità adeguate, tutto potrà cambiare. Non cambierà però il problema di fondo: il cambiamento climatico e la necessità di salvaguardare l’acqua come primo e indispensabile fattore produttivo, che per troppo tempo abbiamo dissipato e sprecato con reti che arrivano a perdere fino al 40% di quanto trasportano e una capacità di invaso dell’acqua piovana che non va oltre l’11-12% (dati fonte ANBI) quando in un paese simile al nostro, la Spagna (guarda caso), supera il 30%. Alla crisi si può rispondere con il modello circolare delle 5R: Raccolta, Ripristino, Riuso, Recupero e Riduzione, avverte il Libro Bianco 2023 "Valore Acqua per l'Italia", realizzato da The European House-Ambrosetti.
Intanto: che fare per l’immediato? Un po’ di piogge sono arrivate ma – avverte sempre ANBI - “si conferma l’impossibilità di autonomo riequilibrio del sistema idrico. Gli esperti parlano della necessità di 50 giorni consecutivi di pioggia, evenienza certo da non augurarsi per un territorio idrogeologicamente fragile come quello italiano”. Quindi servono infrastrutture “capaci di trattenere le acque di pioggia, quando arrivano, creando riserve e rimpinguando contestualmente le falde”. C’è una proposta di 10.000 laghetti collinari avanzata da ANBI-Coldiretti (ne parlava anche Giuseppe Medici 40 anni fa, qualcuno se lo ricorda?) e di creare nuovi grandi invasi, magari completando o costruendo quelli che già sono stati progettati e bloccati da comitati vari, cortei di ambientalisti e girotondi di cittadini con il supporto devastante della nostra burocrazia ammnistrativa e dei vari TAR. Comunque i fatti dicono che i laghetti non ci sono e ci vorranno almeno 2-3 anni per costruirli. E per gli invasi impossibile fare previsioni per due motivi: 1- i tempi della nostra burocrazia autorizzativa e il rischio di proteste (in Francia già ci sono), 2-la disponibilità finanziaria e la nostra capacità progettuale e di spesa (sul PNRR siamo al 6% di capacità di spesa, un dato che la dice lunga…).
Rendiamoci conto che al Nord senza grandi invasi dal problema siccità non se ne esce vista anche la enorme necessità di acqua richiesta dalla parte più produttiva del Paese, e non solo per l’agricoltura. Un esempio per tutti: se non ci fosse la diga di Ridracoli la Romagna e la Riviera adriatica starebbero a secco e dovrebbero ricorrere alle autobotti. Al Centro Sud va meglio perché gli invasi (in particolare Sicilia e Sardegna) ci sono perché li costruì la tanto deprecata Cassa per il Mezzogiorno. Magari mancano o sono carenti le infrastrutture di adduzione dell’acqua per gli usi produttivi, però lì almeno gli invasi ci sono. E i fatti “sono la cosa più ostinata del mondo” (citazione da J. Bulgakov). Quindi che gran parte della produzione ortofrutticola stia migrando al Sud non è un male, visto in questa ottica. Quanto al Nord, teniamo pure d’occhio le previsioni del tempo, facendo gli scongiuri. E confidiamo anche molto nella Provvidenza.
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