La difesa delle piante non è argomento nuovo, dato che l’uomo ha cercato, da sempre, di contrastare i nemici delle colture. L’avvento dei prodotti fitosanitari ha contribuito, senza dubbio, a risolvere tanti problemi ma, tuttavia, come dicono bene i nostri “cugini” francesi, la grande e bella medaglia che pensavamo di aver conquistato con l’avvento della difesa fitosanitaria esclusivamente chimica (“Belle Époque”), presenta, ahimè, un rovescio fatto di quattro punti, definiti come 4R: Residui, Resistenze, Rottura delle catene trofiche, “Risorgenza” di specie di insetti ormai “dimenticate”.
Con i disciplinari di produzione integrata sembrava dovesse cambiare tutto! In molti casi, però, sembra che non sia cambiato molto! Un immenso “intreccio” di sostanze attive, più o meno simili per tutte le regioni italiane, e una prima parte, definita come “Norme Generali”, che rappresenta un “minicondensato” di ovvie e basilari nozioni agronomiche che qualsiasi agricoltore “EDUCATO” già conosce, o dovrebbe conoscere.
Nel frattempo nascono molti corsi di laurea universitari di MEDICINA DELLE PIANTE, ma anche qui, purtroppo, tanta teoria ma poca pratica in campo per i giovani e volenterosi laureati. Non sembra andar meglio, poi, con la nuova figura del consulente fitosanitario che si ritrova, anche lui, semplicemente a districarsi con una lista di prodotti “AMMESSI/NON AMMESSI”. Per finire, arrivano i nuovi ecoschemi della Politica Agraria Comunitaria che, “a suon di soldi”, cercano di “convincere” gli agricoltori a intraprendere la strada più “moderna” dell’ecosostenibilità. A tutto questo si aggiunge il mancato rinnovo di diverse sostanze attive che ha spinto molte aziende fitofarmaceutiche a riconsiderare vecchie molecole, più o meno naturali, molte delle quali già scartate diversi anni fa poiché considerate poco interessanti commercialmente o di efficacia medio/bassa.
La verità è che abbiamo urgentemente bisogno nelle campagne non di un complesso di norme tecniche (protocolli/disciplinari di difesa), ma di una nuova coscienza AGROECOLOGICA e di un protocollo di BUONSENSO.
Quello che dovrebbe cambiare in campagna, come nel resto della società, è l’animo umano, così come ci ricorda il Prof. Mario Fregoni a proposito della qualità delle uve: “La qualità è, prima di tutto, una caratteristica dell’animo umano”.
In questo contesto assai complicato si inserisce, poi, una questione troppo spesso ignorata, ossia il rapporto tra agricoltura e agroindustria.
Nell’agroindustria il “cosa produrre” domina sul “come produrre”, ossia prima si sceglie l’obiettivo e poi si cerca il modo più economico per produrlo e venderlo. Nell’agroecologia il “come produrre” domina sul “cosa produrre”, ossia si sceglie un metodo per ottenere prodotti più salutari e sostenibili (R. Mazzilli).
Per tanti anni l’approccio fitoiatrico in campagna è stato quello del metodo allopatico, ossia questa è la malattia, questa è la “medicina”/”ricetta” (la medicina cura le malattie). Questo tipo di difesa delle colture ha i giorni contati e impone un ripensamento generale di come impostare la difesa fitosanitaria nel prossimo futuro.
La sostenibilità colturale ha come obiettivo primario la salute delle piante, in assenza della quale ogni sforzo è superfluo. Gli aspetti agronomici sono sempre propedeutici a quelli fitoaitrici, ma l’intervento fitoiatrico va considerato sempre l’ultima misura di difesa. Non bisogna continuare a credere, in modo banale e semplicistico, che per ogni malattia c’è una cura. L’approccio deve essere diverso, ossia: se per ogni malattia c’è un patogeno, per ogni patogeno ci sono molti fattori che ne controllano, direttamente o indirettamente, la virulenza (R. Mazzilli, Viticoltura sostenibile, 2010).
Nessun prodotto fitosanitario è così “miracoloso” da garantire un risultato eccellente di efficacia a prescindere dalle condizioni colturali.
Il decorso di una malattia è il risultato dell’interazione tra due parti: il patogeno e l’ospite (la pianta). Per avere risultati certi e duraturi, in termini economici ed ecologici, si deve lavorare su entrambi. Non basta pensare solo come combattere funghi e/o insetti, ma vanno anche considerate le moltissime opportunità per aumentare le resistenze endogene delle piante. Bisogna vedere la pianta come un piccolo ecosistema costituito da una complessa catena di microrganismi (microbiota) interagenti con essa, in equilibri di sinergia o di competizione, in modo da risultare utili, indifferenti o dannosi. Il benessere delle colture dipende dai fattori pedoclimatici e colturali che controllano l’equilibrio della microflora epi ed endofita, favorendo possibilmente quelli utili (autodifesa); il prevalere di quelle “cattivi” innesca il passaggio da un microbioma a un patobioma e favorisce lo sviluppo di malattie.
Dobbiamo, in definitiva, tornare a “COSTRUIRE UNA PIANTA IN OTTIMA SALUTE” e in equilibrio vegeto-produttivo. La riduzione del vigore, mediante una gestione agronomica oculata degli agroecosistemi (fertilizzazioni, lavorazioni, salvaguardia della biodiversità, miglioramento genetico, ecc.), “rinforza” il sistema naturale di difesa delle piante e assicura produzioni di qualità in quantità.