L’analfabetismo alimentare è una piaga dell’odierna società italiana anche perché l’alfabetizzazione alimentare pare un argomento di scarso rilievo al quale pochi s’interessano, se non per lamentarsi della dilagante in-cultura degli italiani sul cibo, in cucina e sulla tavola. Secondo una definizione ampiamente condivisa, una persona è alfabetizzata quando ha conoscenze e competenze essenziali, che le consentono di operare pienamente nel suo gruppo e nella sua comunità. Tra i modelli di alfabetizzazione, importante è l’approccio funzionale, per il quale analfabeta non è solo chi non è capace di leggere e scrivere, ma anche chi non capisce quello che ha letto o fatto. L’analfabetismo funzionale in Italia riguarda ben oltre la metà, forse i tre quarti della popolazione, che ha difficoltà di comprendere un testo scritto con un discorso compiuto per il quale si richiede una sia pur minima riflessione e interpretazione. Una condizione poco nota ai più̀, ma che spiega il successo della comunicazione non scritta, per immagini fisse e soprattutto mobili, o nella quale lo scritto è ridotto al minimo: semplici frasi e non discorsi. Un analfabetismo culturale, che è ben spiegato dalla celebre frase di Eugenio Montale: «Il rapporto tra l’alfabetismo e l’analfabetismo è costante, ma al giorno d’oggi gli analfabeti sanno leggere».
Analfabeti funzionali della cucina sono coloro che, pur cucinando e apprezzando i buoni sapori non ne comprendono i significati e i valori culturali, in altre parole sono al di fuori di una civiltà della tavola. Come per la lingua, anche per la cucina gli analfabeti funzionali sono quelli che non capiscono quello che fanno. Questi nuovi analfabeti cucinano cibi e mangiano piatti di cui non conoscono il significato e il valore, che non può essere sostituito da qualche arido numero che si riferisce a calorie, proteine, vitamine e altro, e neppure da una immagine accattivante o tanto meno da un nome divenuto un flatus vocis, non di rado travisato e strumentalizzato. Un’alimentazione senza significato è senza un’anima, quindi culturalmente morta. Non esistono precise e dettagliate ricerche sul grado di alfabetizzazione alimentare, ma Biasio e Corbellini riferiscono di uno studio sull’analfabetizzazione scientifica condotto su nove paesi dell’Unione Europea che mostra risultati deludenti, in cui l’Italia occupa un posto basso in classifica con il 55% della popolazione che presenta livelli di alfabetizzazione inadeguati, che riguardano anche l’alimentazione. È dall’analfabetizzazione alimentare che a ogni piè sospinto nel nostro paese dilagano idee assolutamente fantasiose sul cibo e sulla cucina e non altri-menti si spiega l’espandersi e il successo di diete e di modelli alimentari irreali.
L’ignoranza funzionale del cibo alimenta anche le più strane idee sulla natura, origine, struttura e significati culturali dell’alimentazione, con la diffusa incapacità di gran parte della popolazione che vive in Italia, non solo italiani, di capire i diversi tipi di etichette, mentre l’unico dato comprensibile è quello del prezzo. Di conseguenza, senza sminuire il valore dei prodotti tradizionali e la ricerca dei luoghi delle tradizioni alimentari, l’ignoranza funzionale lascia spazio all’apparentemente irrefrenabile dilagare delle falsificazioni, non solo degli alimenti, quanto del loro significato e utilizzo, spesso mascherato in fenomeni di vintage alimentare o di cucina del territorio. Tutto questo sembra contrastare l’idea, se non il ritornello di un’Italia delle buone cucine della tradizione, dimenticando, o facendo finta di dimenticare, la scomparsa delle tradizioni che avevano un ruolo di alfabetizzazione con la loro autorevolezza, quando prevaleva un’educazione alimentare di tipo familiare nella predominante società contadina e in quella borghese.
Parecchio se non tutto inizia a cambiare con l’unificazione del Regno d’Italia e, se molti hanno esaltato il ruolo e il successo del libro di Pellegrino Artusi, non è stato sufficientemente rimarcato il ruolo di alfabetizzazione alimentare della classe borghese che si andava formando, dimenticando o sottovalutando che la nuova classe sociale urbana del ceto medio che si forma nella seconda metà del XX secolo diviene campo aperto di un profondo analfabetismo alimentare, improvvisa piaga endemica della nuova società italiana. Nello stesso periodo e con il calare anche dell’importanza del ceto medio, in una nuova frantumata società italiana, nasce e si diffonde l’idea di un’educazione alimentare, convinti del ruolo di un’alfabetizzazione basata su due poli culturali impostati su due percorsi tra loro diversi: il polo medicale e il polo territoriale. Si parla di diete e di prodotti del territorio, spesso a chilometri zero. Questi due poli di cultura educativa alimentare sono tra loro scollegati per le scelte degli alimenti e per il loro uso, in un bipolarismo che provoca dubbi, incertezze e atteggiamenti di sfiducia, favoriti anche dai mezzi di comunicazione che tendono a spettacolarizzare le informazioni e non a creare una vera alfabetizzazione funzionale.
Oggi non ci si rende conto che l’analfabetismo alimentare è solo uno degli altri analfabetismi, e non di scarso peso, che nel secolo XX percorrono la società italiana. Allo stesso modo si sottovaluta che la cultura alimentare si fonda su strumenti di conoscenza e su esperienze con pratiche e norme, interne ed esterne, e dinamismi sociali e storici che la percorrono e la modificano, tutti parte integrante della storia italiana. Su questa linea si può comprendere il ruolo quasi inesistente che ha un’eventuale, ma talvolta evocata, educazione alimentare da sviluppare nelle scuole con un’ipotizzata ora d’insegnamento, come pure il ruolo prevalentemente tecnico e professionale e non culturale della gran parte delle scuole di cucina pubbliche (Istituti alberghieri ecc.) e private.
Una comprensione storica dell’analfabetismo alimentare non è un’operazione semplice, perché si riferisce a una popolazione che vive in Italia e che in sostanza è pluralista e al tempo stesso non ha gli strumenti per affrontare il problema, intervenire e trovare vie d’uscita. Senza dubbio, l’analfabetismo alimentare è una piaga dell’odierna società italiana, particolarmente grave in una società calda in rapida evoluzione, e in un contesto nel quale l’Italia si trova a vivere in una mondializzazione con libera circo-lazione delle persone con i loro costumi, abitudini alimentari e alimenti e con nuovi arrivi di popolazioni con propri linguaggi, religioni e idee alimentari. Mai come in questo momento gli italiani analfabeti a tavola sono argomento di un interesse variamente articolato e per affrontarlo e cercare di risolverlo il primo passo sta nel riconoscerne la presenza e l’importanza.