Abbiamo sentito più volte i nostri amici animalisti, che spesso pontificano in televisione, accusare le attività zootecniche di essere al primo posto fra i produttori di gas serra e, quindi, i maggiori responsabili del fenomeno del riscaldamento globale, con tutte le conseguenze relative.
Basta andare a leggere cosa ha scritto un certo Jeremy Rifkin, economista americano autore del best seller “La terza rivoluzione industriale”, in diversi articoli fra i quali uno intitolato “Rivoluzione vegetariana” e citato da “Vegan 3000” nel 2013: “penso che ce la faremo a dimostrare che l’agricoltura è la prima causa del riscaldamento globale. Al momento attuale sia l’ONU che la FAO affermano che sia la causa numero due, ma se ci diamo da fare a mettere insieme tutti i fattori collegati all’agricoltura, potremo dimostrare che sia il numero uno”. E rincara la dose definendo la zootecnia “un flagello mondiale”. Non è intenzione della presente nota contestare il diritto del signor Rifkin di dire e pensare ciò che vuole in libertà. Ma, mi è venuto spontaneo notare che Rifkin e chi la pensa come lui non tengono conto, spero in buona fede, di un particolare importante e cioè la diversa origine della CO2 e dell’acqua prodotte dalla combustione delle fonti energetiche fossili rispetto a quelle prodotte dagli animali allevati, bovini in particolare, e del loro bilancio rispetto all’atmosfera.
Infatti, nel caso dell’utilizzo dei combustibili fossili nei motori a combustione interna degli autoveicoli, degli aerei, delle navi, nelle centrali elettriche a carbone, a petrolio o gas, negli impianti di riscaldamento o nei forni delle industrie, il carbonio delle molecole della CO2 non era presente in atmosfera prima della sua estrazione dai giacimenti o dalle miniere. Ma viene riversato nell’atmosfera ex novo, come prodotto della combustione, insieme al vapore acqueo, peraltro con consumo di ossigeno atmosferico:
Al contrario, nel caso delle emissioni di gas serra come conseguenza della digestione e del metabolismo degli animali, questi ultimi utilizzano il carbonio e l’idrogeno contenuti negli alimenti di cui si cibano sotto la forma dei carboidrati vegetali strutturali (fibra) e di riserva (amido, grassi e simili), bruciandoli con consumo di ossigeno, come nello schema di reazione sopra indicato. Ma, particolare importante, gli alimenti dei ruminanti e degli erbivori in generale sono piante che avevano catturato la CO2 e l’acqua dall’atmosfera attraverso il meraviglioso processo della fotosintesi clorofilliana che, fra l’altro produce anche ossigeno:
hn
6 CO2 + 6 H2O → C6H12O6
+ 6 O2
Ergo, la CO2 e l’acqua prodotte dagli animali erano già presenti in atmosfera, sono solo state riciclate attraverso le piante, al contrario delle stesse molecole provenienti dai combustibili fossili, che vanno ad aggiungersi a quelle già presenti. In aggiunta a tutto ciò, la nuova acqua di combustione che va nell’aria sotto forma di vapore (è visibile quella delle scie bianche degli aerei in volo) non è innocua, in quanto funziona anch’essa da gas serra: un cielo nuvoloso trattiene il calore terrestre molto più di un cielo limpido.
Vero è che i ruminanti emettono anche metano, come risultato delle fermentazioni anaerobiche enteriche, ma il metano, col tempo, si riossida a CO2, scomparendo dall’atmosfera.
In aggiunta a tutto ciò, non va trascurato l’aspetto delle produzioni zootecniche: se quel ruminante di cui stiamo parlando produce latte o carne, anche questi prodotti trattengono carbonio sotto le forme di carboidrati, proteine, grassi, carbonio che non va in atmosfera. Quindi, gli animali, i ruminanti in particolare, immettono in atmosfera, per respirazione e fermentazioni enteriche, meno carbonio di quanto ne assumono con gli alimenti, ovvero contribuiscono al riscaldamento globale in senso negativo. Vedi lo studio di Coreddu et al. (Ital. J. Anim. Sci., 22:125-135), condotto nell’ambito del progetto “Carni Sostenibili”, presieduto dal nostro accademico Giuseppe Pulina.
In conclusione, sia gli animali che le altre fonti inquinanti producono gas serra, ma i primi li riciclano non aggiungendo nuovo carbonio, le seconde ne producono ex novo aumentandone le concentrazioni. Non si possono pertanto mettere le due fonti equamente a confronto, senza fare un bilancio fra le entrate e le uscite del carbonio nell’aria atmosferica.
Se a qualcosa dovremo rinunciare per sopravvivere, certamente non possiamo cominciare con l’eliminazione degli allevamenti animali per continuare ad andare in macchina o in crociera con la nave dei sogni. Siamo più di otto miliardi sul pianeta e tutti hanno diritto al cibo. Anche se diventiamo tutti vegani, ci sono aree coltivabili a sufficienza? Teniamo conto che se le attività zootecniche contribuiscono per circa il 9% alla produzione di gas serra, al resto delle attività agricole spetta un altro 9%, fra cui il metano dalle risaie (fonte FAO). E il rimanente 78%?
Per il momento lasciamo in funzione le attività zootecniche necessarie per disporre di proteine nobili quali quelle del latte, delle uova e della carne, indispensabili, fra l’altro, per il corretto sviluppo dei bambini, senza dover ricorrere ad integratori di produzione industriale o alla carne artificiale. Nel frattempo cerchiamo di eliminare errori e sprechi con la formulazione grossolana delle diete, con il ricorso massiccio alla soia, con l’abuso dei trasporti anche intercontinentali degli alimenti.
E cerchiamo di collaborare, evitando di prendere posizioni spesso basate su informazioni ingannevoli o pretestuose, ma che fanno ascolto in televisione.