Lo scorso 21 marzo l’Accademia dei Georgofili ha ospitato il Convegno conclusivo del progetto “Epiresistenze”, cofinanziato dalla Regione Lombardia nell’ambito del Bando per la ricerca in campo agricolo e forestale.
Il progetto ha analizzato i meccanismi epigenetici che possono regolare la manifestazione delle resistenze agli erbicidi nelle risaie lombarde, focalizzandosi sui giavoni (genere Echinochloa P. Beauv.), infestanti tra le più diffuse e problematiche per la coltivazione del riso. Il progetto ha visto coinvolti l'Università degli Studi di Pavia come capofila, il centro di saggio Agricola 2000, la Società Agraria di Lombardia, l'Accademia dei Georgofili e il Distretto Agricolo delle Risaie Lomelline come partners, oltre a Corteva Agriscience come cofinanziatore esterno. Il progetto si è inoltre avvalso del supporto tecnico di Innova-Tech e della consulenza agronomica dello Studio associato Agri.Bio di Pavia.
Il problema delle resistenze
Il fenomeno delle resistenze agli erbicidi si è manifestato da diversi anni e su diverse colture agrarie tanto che oggi interessa ben oltre 250 specie infestanti in tutto il mondo, mentre in Italia riguarda 21 specie su una estensione che si ritiene superi i 700.000 ettari tra riso, frumento, mais, vite e fruttiferi. In specie nella produzione del riso esso sta assumendo un rilievo preoccupante per la concomitanza di diversi fattori. Tra essi spiccano l’omosuccessione della coltura, spesso obbligata a causa della particolare natura dei suoli nell’areale di coltivazione, e la limitata disponibilità di sostanza attive a diverso meccanismo d’azione, derivante anche dalla riduzione dei prodotti fitosanitari ammessi dalla normativa comunitaria e dalla rinuncia al rinnovo o alla revoca delle autorizzazioni per alcuni erbicidi che ha caratterizzato gli ultimi anni. A fronte di questa problematica fitosanitaria emergente, e delle sue ricadute sia di carattere economico che ambientale, la ricerca è stata indirizzata ad affrontare il tema con un approccio metodologico multidisciplinare ed innovativo, focalizzandosi in particolare sui giavoni bianchi e rossi noti per la loro resistenza agli erbicidi sulfonilureici inibitori dell’ALS (aceto-lattato-sintetasi) ed ai graminicidi inibitori dell’ACCasi (acetil-CoA-carbossilasi).
I dati emersi dal Convegno
Il Convegno del 21 marzo ha rappresentato un momento importante per evidenziare le possibili strategie su cui impostare una efficace gestione integrata nella protezione dalle infestanti, facendo emergere il contributo che la conoscenza dei meccanismi epigenetici e delle interazioni genetico-ambientali può fornire nel prevedere e monitorare correttamente l’evoluzione della resistenza agli erbicidi.
Dopo l’apertura a cura di Marco Mancini il Convegno, coordinato per l’Accademia dei Georgofili da Riccardo Russu, è stato caratterizzato da relazioni di elevato livello tecnico-scientifico. Quella di Aldo Ferrero del DISAFA dell’Università di Torino ha permesso una attenta analisi del fenomeno delle resistenze, delle sue differenti tipologie e delle principali cause che ne hanno favorito lo sviluppo. La relazione ha inoltre focalizzato l’attenzione sulle buone pratiche agricole da mettere in atto per contenere le resistenze: la rotazione degli erbicidi e soprattutto dei diversi meccanismi d'azione, l'applicazione degli erbicidi alle corrette dosi, l'impiego di adeguate miscele di erbicidi, l'uso di sementi certificate e ove possibile l’avvicendamento delle colture.
Maura Brusoni, docente del DSTA dell’Università di Pavia e responsabile scientifica del progetto, ha evidenziato il contesto e le problematiche concrete che hanno indirizzato l’idea progettuale di “Epiresistenze”, illustrando gli obiettivi e l’approccio metodologico innovativo e multidisciplinare che ha permesso di valutare la variabilità delle tipologie di resistenze nei giavoni di risaia, di identificare i meccanismi epigenetici che ne regolano la manifestazione e di valutare i fattori ecologici che li influenzano.
D’altro canto Marta Guarise, referente agronomica per Agricola 2000, ha dettagliato l'attività svolta presso il centro di saggio riferendo sulle prove di efficacia ai trattamenti erbicidi in ambiente controllato con differente dosaggio (non trattato, 0,25x, 0,5x 1x, 2x e 4x della dose di etichetta) ed utilizzo di diversi formulati erbicidi a base dei principi attivi correlati ai diversi casi di resistenza già accertati (inibitori degli enzimi ALS e ACCasi), che hanno consentito la realizzazione di curve dose/risposta in modo da determinare il grado di resistenza. Infine Carlo Maria Cusaro, del DSTA dell’Università di Pavia, ha dettagliato i risultati ottenuti, da cui emergerebbe che la maggior parte delle resistenze nei giavoni di risaia non è dovuta a mutazioni genetiche, ma rappresenta una risposta metabolica dell'infestante nei confronti dell'erbicida che, come fattore di stress, può agire con due differenti modalità: può innescare una risposta epigenetica, come la metilazione del DNA e/o la stimolazione dei microRNA, che silenzia l'espressione dei geni responsabili delle resistenze e sensibilizza l'infestante oppure, al contrario, non innescando tali modificazioni, permette la sovra espressione dei medesimi geni, consentendo alla pianta di detossificare le molecole erbicide e di sopravvivere al trattamento chimico. Un dato di particolare interesse (e di relativamente agevole “traduzione” nelle pratiche colturali correnti) è legato alla maggiore frequenza di resistenze regolate da meccanismi epigenetici che si è rilevata in risaie caratterizzate da bassa biodiversità del suolo. Questo risultato suggerisce che conservare e migliorare la biodiversità del suolo, attraverso una sua attenta gestione agronomica (ad esempio con l’utilizzo di cover crops, di adeguate tecniche di lavorazione, di opportune fertilizzazioni su matrice organica o con idonei biostimolanti) potrebbe essere utile per controllare l'insorgenza delle resistenze in modo più sostenibile, utilizzando meglio gli erbicidi e riducendone gli impatti.
Alcune riflessioni suggerite dal progetto “Epiresistenze”
Il Convegno di Firenze non ha semplicemente rappresentato una “vetrina” per l’esposizione dei risultati di un progetto caratterizzato da un proficuo rapporto di collaborazione multi ed interdisciplinare tra professionalità differenti (alcune delle quali meritevoli di particolare menzione perché appartenenti a giovani molto appassionati e promettenti) e che potrebbe essere propedeutico ad ulteriori studi e ricerche -sia a livello di laboratorio che di pratica di campo- per approfondire le conoscenze sui meccanismi che influenzano l’efficacia dei trattamenti fitosanitari . Ha costituito anche un significativo momento di riflessione su alcuni aspetti, emersi tanto dall’esposizione delle relazioni quanto dalla successiva “tavola rotonda” gestita con la consueta abilità da Ivano Valmori.
Da un lato sono apparse evidenti le difficoltà con cui ricercatori, tecnici ed imprenditori agricoli debbono confrontarsi a seguito di un quadro normativo sempre più vincolistico e limitativo, ben delineato dal Dirigente del Servizio Fitosanitario della Lombardia Andrea Azzoni. Dall’altro è emerso con chiarezza lo sforzo che il mondo della ricerca, ma anche quello dell’assistenza tecnica e della produzione agricola sta facendo per coniugare l’esigenza di ottenere rese quantitativamente e qualitativamente soddisfacenti con le crescenti sfide sul piano della “sostenibilità” ambientale e sociale.
I processi produttivi legati a cicli biologici, quali sono per definizione quelli agricoli, presentano una elevata complessità. Per questo le problematiche che li caratterizzano vanno affrontate con razionalità e pragmatismo, non con approcci semplicistici o peggio “ideologici” cui talvolta sembra ricorrere il decisore politico. Il ruolo della ricerca scientifica e dell’innovazione e assistenza tecnologica dovrebbero quindi assumere ancor maggiore rilievo per dare risposte alle esigenze di una produzione agricola che sia complessivamente razionale ed efficiente e quindi “sostenibile” nel senso più ampio e concreto del termine.
Il settore della risicoltura italiana si caratterizza da questo punto di vista (mi piace ribadirlo ancora dopo averlo ricordato nella mia relazione) per la presenza di “flussi informativi” incrociati tra un mondo agricolo storicamente propenso all’innovazione e un ambiente di ricerca ed assistenza tecnica particolarmente dinamico (anche grazie alla presenza di un organismo a suo modo “unico” nel panorama agricolo italiano, quale l’Ente Nazionale Risi, con il suo Centro Ricerche ed il suo capillare servizio di assistenza tecnica). Tale aspetto rappresenta un “punto di forza” da evidenziare e valorizzare specie in tempi non facili quali quelli che stiamo attraversando. Piuttosto che approcci “dirigistici” (magari ispirati da un “ambientalismo” molto “malinteso” come a suo tempo rilevato dall’amico e maestro Dario Casati) e tentazioni di mero “assistenzialismo” che finiscono per scoraggiare i veri imprenditori, le complesse sfide che tutto il mondo della produzione agricola deve affrontare richiederebbero apertura alle potenzialità offerte dalla ricerca scientifica (a partire dalle nuove biotecnologie), dall’innovazione tecnologica e dalla libertà di impresa.
In questo contesto il ruolo di Istituzioni quali la Società Agraria di Lombardia e l’Accademia dei Georgofili deve ancora una volta essere quello di luoghi di incontro, di confronto, di scambio e di dialogo, di libero dibattito e di diffusione della conoscenza, tanto all'interno della filiera e tra tutti i suoi attori, quanto all'esterno nei confronti dell'opinione pubblica. Perché le sfide che dobbiamo affrontare nell’interesse della pubblica prosperità potranno essere vinte solo con un razionale e ben meditato processo di “intensificazione sostenibile”, ovvero con l’aumentare le conoscenze per usare al meglio gli input agricoli ottimizzandone l'efficienza e riducendone gli impatti sull’ambiente.