Nel 2050 oltre il 70% della popolazione mondiale vivrà in aree urbane, da qui la necessità di migliorare la vivibilità delle città attraverso un'opera di forestazione urbana che tenga tuttavia conto delle modalità di impianto e di gestione degli alberi, la selezione delle specie, la salvaguardia della biodiversità e la stessa percezione dell'opinione pubblica rispetto all'ambiente e ai servizi ecosistemici offerti dalle piante.
Ne abbiamo parlato con il georgofilo Francesco Ferrini, ordinario di arboricoltura all’Università di Firenze, divulgatore scientifico e presidente del Distretto Vivaistico Ornamentale Pistoiese.
La volontà di promuovere "più natura in città" da parte delle amministrazioni quali questioni di gestione pone?
Imprenditori e politici sono saliti sul carro del “piantare di alberi” e numerose sono le iniziative avviate (almeno a parole) per piantare alberi per una serie di ragioni sociali, ecologiche ma, soprattutto, d’immagine. È indubbio che i progetti di impianti massivi di alberi ben pianificati siano certamente una componente importante degli sforzi globali per migliorare il benessere ecologico e umano, ma la piantagione di alberi diventa problematica quando viene promossa come una soluzione semplice e vincente senza tener conto delle problematiche gestionali con i conseguenti problemi di tipo economico, tecnico e anche ambientale. Dovremo pianificare gli impianti tenendo conto del principio “gestiamo l’inevitabile o evitiamo l’ingestibile”, cioè facciamo le nostre scelte sulle base di ciò che potremo essere in grado di gestire ed evitiamo opzioni che richiedano sforzi gestionali che potrebbero risultare impossibili (es. irrigazioni, potature, conflitti con le infrastrutture, ecc.).
Quali alberi sono particolarmente resistenti agli inevitabili stress dei contesti urbani?
È nota la mia avversione verso le “classifiche” del tipo “Quali sono gli alberi migliori per le città?” oppure “Le migliori piante antismog”. Non hanno alcun significato se non sono contestualizzate e sono fuorvianti nel creare false aspettative. Sappiamo tutti che non c'è l’albero perfetto, ma dobbiamo sforzarci di piantare l'albero giusto nel posto giusto e assicurargli una cura corretta e sostenibile economicamente. In arboricoltura urbana “uno non vale uno” e dare dei nomi non ha veramente molto significato se non si conoscono nel dettaglio le condizioni ambientali del sito d’impianto. L'impianto in ambiente urbano è, infatti, il complesso risultato dell'azione cumulativa ed equilibrata di una serie di fattori sia intrinseci, sia estrinseci al luogo d'impianto che, insieme alla scelta del materiale di piantagione, concorrono ad assicurare l'attecchimento e la successiva crescita delle piante e la massimizzazione dei loro effetti sull’ambiente urbano
I benefici degli alberi sono compresi da tutti mentre, al contrario, non tutti comprendono che si tratta di esseri viventi destinati ad invecchiare e morire, che possono pertanto anche necessitare la loro sostituzione per motivi di sicurezza. Quale errore viene fatto nella comunicazione di questa realtà all'opinione pubblica?
Purtroppo, si tende a “cavalcare la reazione emozionale”, piuttosto che comunicare quello che dovrebbe essere un approccio razionale. Io stesso ho detto più volte che è necessario un rinnovo graduale delle nostre alberature (mi riferisco soprattutto a quelle poste su strada), ma ciò non vuol dire abbattere indiscriminatamente. Vuol semplicemente dire che dobbiamo riflettere su ciò che sarà o, meglio, dovrà essere la nostra città e, quindi, ragionare in termini di “gestione versus rinnovamento”, ponendosi, cioè, la domanda: ha senso (economico, ecologico, tecnico…) gestire qualcosa che sappiamo non essere adatto e potenzialmente rischioso, oppure è meglio pensare a un graduale ricambio di quegli alberi che presentano problematiche tali da risultare poco facilmente mantenibili? (cito nuovamente il principio “gestiamo l’inevitabile o evitiamo l’ingestibile?”)
Quali suggerimenti per "sensibilizzare" in modo corretto i cittadini in tema di forestazione urbana?
La questione centrale è che non c’è coscienza ambientale senza conoscenza; con l’emotività, come detto, si va da poche parti. La pubblica amministrazione, dal canto suo, deve gestire questi processi anche socialmente, informando e spiegando correttamente, progettando sia i nuovi impianti, sia le sostituzioni degli alberi, tenendo conto anche dell’impatto sulle persone che sono sensibili a questi temi.
La carenza di un’efficace comunicazione è una delle cause di contrapposizioni che si verificano quando si parla di alberi. Importante è colmare la lontananza tra chi fa ricerca e l'opinione pubblica. A mio parere quello che manca, a tutti i livelli, scientifico, divulgativo, giornalistico e dell’opinione pubblica è un reale processo comunicativo.
Lo studio degli spazi verdi mostra in genere che più della metà degli alberi in città si trova in giardini privati: come coinvolgerli?
Il coinvolgimento attivo della cittadinanza nella gestione e valorizzazione partecipata del patrimonio arboreo si rivela cruciale. Fondamentali sono gli strumenti volti a sensibilizzare e coinvolgere quanto più possibile la cittadinanza in modo attivo, ad es. attraverso l’acquisizione a titolo gratuito e volontario di informazioni di dettaglio utili alla conoscenza del verde urbano privato. Il coinvolgimento attivo dei cittadini adeguatamente “istruiti” può aiutare nel migliorare la gestione anche pubblica del verde, ad esempio, con segnalazioni georeferenziate tramite smartphone incluse in quella che è definita la “citizen science”