Il Consiglio dei Ministri dello scorso 29 marzo ha approvato uno “Schema di disegno di legge recante disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi sintetici”. In sei scarni articoli si introduce il divieto a priori agli operatori del settore alimentare e agli operatori del settore dei mangimi ad “impiegare nella preparazione di alimenti, bevande e mangimi, vendere, detenere per vendere, importare, produrre per esportare, somministrare oppure distribuire per il consumo alimentare, alimenti o mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o da tessuti derivanti da animali vertebrati”. Si indicano le Autorità per i controlli, le Sanzioni da applicare agli inadempienti e i successivi provvedimenti a perfezionamento del blocco introdotto, oltre a determinare il quadro normativo per il rinvio e aggiornamento delle sanzioni e a richiamarsi ad una clausola di invarianza finanziaria relativa all’applicazione della legge.
Il tutto, in uno stile scarno e deciso, di fatto vieta acriticamente l’introduzione di prodotti non bene definiti perché, appunto, inesistenti al momento dell’emanazione ignorando a che cosa ci si debba precisamente riferire.
Poco rallegra il concetto di essere il primo Paese al mondo a vietare questo genere di prodotti, mentre per ora solo Singapore e, in prospettiva, ma in misura meno definita, gli Usa hanno approvato specifiche produzioni.
La questione è davvero sorprendente, crediamo che sia un caso più unico che raro di divieto che anticipa l’oggetto della sua applicazione.
Da svariati decenni il mondo della ricerca si applica per arrivare a produrre alimenti che a fianco delle storiche e classiche modalità produttive possano contribuire a fornire ad un’Umanità in crescita numerica e con fabbisogni in aumento procapite sia qualitativo sia quantitativo. Ne hanno discusso studiosi, politici, uomini comuni e persino se ne faceva ampio cenno in quelli che erano allora solo romanzi di fantascienza. Il ddl in discussione si propone in maniera generica obiettivi di tutela della salute umana e degli interessi dei cittadini, che intendiamo siano quelli di disporre di alimenti sicuri, sani, nutrienti e in quantità e qualità adeguate, aggiungendo anche di essere prodotti in maniera sostenibile. Ciò che sorprende dunque è che questi obiettivi vengano perseguiti con modalità esattamente opposte a quelle che tutti si attenderebbero, anche senza abbandonarsi a reminiscenze letterarie di vario genere, non incrementando e migliorando l’offerta di appropriati alimenti, ma vietando a priori la strada della produzione di cibi del tutto nuovi faticosamente intrapresa da tempo. Ciò avviene nella consapevolezza che, se all’interno dell’Ue venissero approvate le carni o altre produzioni coltivate la legge non potrebbe comunque impedirne l’importazione e la vendita. Un nuovo caso “ogm” si presenterebbe perciò inevitabilmente con analoghi inconvenienti.
In questa sorta di mondo alla rovescia, ci si perdoni l’eccesso di semplificazione, assistiamo al prevalere del pregiudizio ascientifico sulla realtà della ricerca, sperimentazione e validazione su basi oggettive e scientificamente verificabili. È un mondo in cui emerge l’incondizionato consenso di chi nega altre applicazioni della ricerca scientifica e della trasmissione dei suoi risultati (ci riferiamo alla vicenda delle applicazioni genetiche) ma in questo caso se ne fa sostenitore. Assistiamo alle proteste di una larga parte delle maggiori filiere alimentari che potrebbero ottenere interessanti complementi nei processi produttivi e che invece rifiutano innovazioni paragonabili a quelle che, nei poco più di 10.000 anni di storia dell’agricoltura, l’uomo ha cercato di introdurre, facendolo con successo indiscutibile.
Ma il fatto più sorprendente è che in un mondo che continua ad avere problemi di sottoalimentazione, che è tragicamente esposto a crisi di carenza come quella degli ultimi due anni e che rimane esposto ai capricci meteorologici, ci si voglia precludere a priori senza valide motivazioni una possibilità di maggiore stabilizzazione.
Così, ora in un clima di anticipato timore, ci stiamo preoccupando di auto-precluderci alcune soluzioni, ancora da definire, da testare e verificare opportunamente, mentre con le politiche green tendiamo a ridurre la produzione agricola.
Sembra che si vogliano imporre strategie di messa in sicurezza della produzione alimentare esistente, migliorando il suo rapporto con l’ambiente ma senza consolidare certi livelli produttivi e distributivi degli alimenti e rifiutando, laddove esistessero concretamente, di usare nuove e più sicure tecnologie di supporto all’incremento della produttività del sistema agricolo terrestre. Sembra che si voglia dire di no a tutto, per poi cadere in una delle ormai frequenti crisi per inseguire oscuri timori e fatue teorie senza fondamento scientifico e logico.
Più che introdurre divieti di dubbia utilità è necessario rimettersi seriamente a ragionare su che cosa possa fare l’Umanità per il suo futuro, quando deciderà di comportarsi da adulta e dovrà ritornare seriamente ad occuparsi di incrementi di produttività in campo alimentare, partendo da quelli già possibili e disponibili, l’unica vera via d’uscita al momento.
Ci chiediamo, perplessi, perché non cominciare sin d’ora, senza perdere tempo in assurde chiacchiere e grida manzoniane. Una discussione seria è aperta, sul piano scientifico, sperimentale, operativo, economico e normativo, senza divieti incomprensibili e contrapposizioni preconcette.