Il Sangiovese è il più pregiato, celebre e diffuso vitigno da vino rosso dell’Italia centrale. Le sue origini e la sua provenienza sono incerte. Alcuni studi delle fonti storiche e storie angiografiche hanno evidenziato due nuclei distinti quello delle colline romagnole e quello delle colline toscane mentre le differenze di germoplasma esistenti tra i due nuclei stanno forse a evidenziare un’antica origine comune e poi una successiva differenziazione nel corso dei secoli. La leggenda narra che il nome derivi da un’esclamazione di un vescovo che in epoca medioevale, proprio sul monte Giovi che si trova sulla dorsale appenninica del monte Morello, dopo aver assaggiato il generoso vino lo paragonò alla folgore e al forte e caldo sangue di Giove (Sanguis Jovis), mentre Francesco Redi già dal 1655 accademico della Crusca, nella sua opera Bacco in Toscana (1685), cosi scriveva: “se dell’uve il sangue amabile non rinfresca ognor le vene, questa vita è troppo labile, troppo breve, e sempre in pene. […] ma se chieggio di Lappeggio la bevanda porporina, si dia fondo alla cantina”. Lo stesso Redi nella sua opera fa riferimento al Falerno antico vino romano noto nella tarda età repubblicana dell’antica Roma. Certo è che le origini del Sangiovese si perdono nella notte dei tempi. Sin dall’IIIV secolo a.C. sembra vi siano tracce archeologiche che confermerebbero la presenza dei due originari ceppi quello appunto romagnolo e quello toscano e ciò potrebbe tra l’altro confermare due differenti migrazioni una commerciale ad opera dei greci che per via mare raggiunsero l’Italia del sud poi l’empòrion di pithekoussai (Ischia) e l’Elba, l’altra espansiva ad opera degli etruschi e riporta da Erodoto (V sec. a.C.) che partendo dall’Anatolia per via terra sotto la guida del condottiero etrusco Tirreno, sottomisero umbri e villanoviani e dettero il nome al mar d’Etruria. A quei tempi le barbatelle prodotte per talea e piantate, erano su piede franco ovvero non erano innestate su portainnesti di viti americane in seguito alla piaga della fillossera, oidio e peronospora, giunte alla fine del XIX secolo dal nord Europa. La loro durata era certamente superiore agli impianti moderni infatti sino ai tempi dei nostri nonni esistevano vigneti antichissimi, coltivati secondo metodi tradizionali. Infatti la tecnica di coltivazione antica prevedeva la costituzione di filari paralleli e a distanza di circa 3 metri, dove il vitigno alberato era alloggiato in un letto costituito da una “fossa” di 1m x 1m drenata con sassi, cocci e arenaria. In questo modo la radice della vite si propagava a fittone, permaneva fresca e mai troppo idratata o asciutta, salva dalle malattie endemiche. I criteri di coltivazione ricalcavano gli antichi metodi di propagazione vitivinicola ed erano fondamentalmente due: il primo privilegiava gli impianti a cordone per ottenere vini rotondi al palato, uniformi e generosi, il secondo di origine etrusca che tendeva a far propagare in altezza su vitigni maritati per ottenere un vinello chiaro, frizzante e leggero. Oggi il lavoro di selezione clonale ha portato all’omologazione del germoplasma di Sangiovese, che rappresenta il vitigno più diffuso e la base dei più importanti e pregiati vini toscani (Brunello di Montalcino, Chianti e Nobile di Montepulciano). La vasta gamma dei cloni omologati testimoniano la grande variabilità di questo vitigno e non compensano purtroppo le informazioni sull’adattabilità ed il comportamento vegeto produttive e enologiche che ogni imprenditore dovrebbe avere prima dell’allestimento dell’impianto viticolo nelle diverse aree produttive. Le cause di questa variabilità risiedono nella sua ampia diffusione che ne determinano una grande instabilità genetica. Inoltre la sua adattabilità ambientale più ampia rispetto ad altre cv, ne definiscono caratteri quantitativi e qualitativi differenti da zona a zona di coltivazione. C’è da dire che alcuni vitigni hanno caratteristiche stabili e in una determinata zona possono ottimizzare una risposta qualitativa enfatizzando qualità sensoriali specifiche dei vini da esso ricavati. Forse da qui dovremmo orientarci per individuare popolazioni da destinare, per evitare “confusioni sessuali” a piccoli impianti isolati, propagati per talea su piede franco, inseriti in terreni drenati e sabbiosi, coltivati con metodi tradizionali per l’ottenimento di vini da Sangiovese dotati di particolare tipicità. I costi di produzione potranno scoraggiare alcune aziende poiché non più collegate con una situazione generale e reale di mercato, ma il Sangiovese è una pianta antropica e archeologica, un relitto del nostro passato che ci ha accompagnato e che data la sua grande adattabilità ci accompagnerà ancora per molto tempo.
Sangiovese Ungrafted
The Sangiovese is the most valuable, famous, and widespread red-wine grape variety in central Italy. Its origin and provenance are uncertain. Some studies of the historical and angiographic sources have highlighted two distinct nuclei, one in the Romagnol hills and the other in the Tuscan hills, whereas the germoplasm differences between the two nuclei might highlight a common ancient origin with a subsequent differentiation over the centuries. As the legend goes, the name derives from a bishop’s exclamation in the Middle Ages, who, finding himself on Mount Giovi, in the Apennine ridge of Mount Morello, compared the wine to Jove’s thunderbolts and the god’s strong and warm blood (sanguis Jovis) after tasting this full-bodied wine. Today, clonal selection has led to standardizing the Sangiovese germoplasm, which represents the most widespread grape variety and is the base of the most important and prized Tuscan wines (Brunello di Montalcino, Chianti, and Nobile di Montepulciano). The vast range of the certified clones bear witness to this grape variety’s great variability but, unfortunately, they do not provide the information on the adaptability and the vegetative-productive and oenological behavior that each entrepreneur should have before setting up a vineyard in the various production areas. The causes for this variability are to be found in its broad dissemination that determines its great genetic instability. Moreover, its greater environmental adaptability, in comparison to other cultivars, defines different quantitative and qualitative characters in different areas.