Il settore dei trasporti su strada è alimentato per il 97% dal petrolio. Negli ultimi 10 anni, pur con variazioni anche molto forti, il prezzo del petrolio è stato in forte crescita incidendo sensibilmente sull’aumento dei costi di trasporto. Sotto l’aspetto ambientale poi, non si può non rimarcare che il peso di questo settore sulle emissioni di CO2 nei paesi industrializzati è fortemente penalizzante.
Da qui l’interesse crescente verso i biocombustibili. Nell’Europa a 27 il consumo di biocombustibili nel settore trasporti è passato da circa 670 ktep del 2001 a oltre 12000 ktep del 2009. Un forte incremento quindi, anche se inferiore a quello richiesto dall’UE. L’Italia è al terzo posto nella graduatoria dei consumi, dopo Germania e Francia.
Proprio per aumentare la produzione di biocombustibili, senza entrare in competizione con i prodotti ad uso alimentare, negli ultimi anni si sono sviluppate le ricerche sui biocombustibili detti di seconda generazione. Tra queste ricerche, ricca di prospettive sembra essere la produzione di biocombustibile dalle microalghe.
La coltivazione delle microalghe, che misurano circa 0,4 mm di diametro, presenta queste caratteristiche distintive:
- le microalghe hanno un contenuto in grassi molto elevato che può anche superare il 40% della loro massa (si pensa anche alle microalghe ogm per aumentare ulteriormente il contenuto in lipidi);
- i rendimenti per ettaro sono molto elevati (da 10 a 50 volte maggiori rispetto alle colture energetiche tradizionali), per cui gli investimenti in superficie occupata sono ridotti;
- necessitano da 50 a 500 litri d’acqua per kg di prodotto finale contro gli oltre 1000 litri delle colture erbacee irrigue;
- non vi è alcuna competizione con le coltivazioni a scopo alimentare.
Esistono due metodi per produrre le microalghe: nei bacini e nei bioreattori. La seconda via sembra essere, almeno negli USA, la più seguita. La resa è di 15-40 g/m2 di alghe per giorno; si ipotizza però di arrivare a 50 g/m2 al giorno di alghe al 50% di olio, a cui corrisponderebbe una resa annua in olio di oltre 100.000 litri ad ettaro, contro i 1.000-1.400 di girasole e colza.
Oggi si è nella fase preindustriale del processo e si pensa solo a produrre biocombustibile, ignorando gli altri sottoprodotti che, se valorizzati, ne renderanno sempre più economica la produzione.
Naturalmente non tutti i problemi sono risolti, ma in USA, multinazionali del petrolio, quali BP, Chevron e Exxon Mobil, stanno investendo molto denaro per finanziare questa ricerca. Ci vorrà ancora tempo per mettere a punto il processo, ma i risultati ottenuti lasciano ben sperare.
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