Qui si tratta di piante spontanee, selvatiche per alcuni e infestanti per altri. Di quelle che nascendo loro malgrado nei seminativi, da millenni sono considerate da molti agricoltori acerrime nemiche. La fola è che l’uomo, costretto a seguire le migrazioni dei mammiferi che cacciava, nel corso della sua lunga evoluzione in Homo habilis dapprima e in Homo sapiens poi, stanco delle estenuanti peregrinazioni, una decina di migliaia di anni fa, millennio più millennio meno, decise di fermarsi diventando stanziale e coltivatore. Probabilmente questa rivoluzione fu tutta al femminile perché le donne erano le “agronome” di allora in quanto avevano il compito di raccogliere i frutti e le radici delle piante (in quei tempi e in tutte le contrade: bonae herbae) che fornivano il sostentamento durante gli spostamenti per seguire le prede. Da quel momento l’uomo (o la donna?) agricoltore dovette erigere barriere per evitare o limitare l’intrusione delle piante estranee nei suoi campi coltivati; è una guerra millenaria condotta dall’inizio dei tempi senza esclusione di colpi, nel tentativo di ostacolarne la crescita o di estrometterle dal loro ambiente naturale.
In questa sua lotta accanita l’uomo si è servito di tutto, dai sarculus romani (attrezzi per sarchiare) al succo di cicuta, dall’olio d’oliva al sale, dalla pece al grasso, dall’amurca (residuo acquoso ottenuto dalla spremitura delle olive) allo sterco umano e animale, dalla fuliggine alle ceneri; è ricorso alla bruciatura delle stoppie per eliminare i semi estranei dai seminativi, al vetriolo verde (solfato di ferro) al vetriolo blu (solfato di rame), alla calce e all’acido solforico, fino ai diserbanti dei giorni nostri. Il conflitto tra l’uomo e le piante infestanti è stato gravoso e incessante, estenuante e ossessivo ed è sfociato perfino in degenerazioni “collaterali” come l’uso del sale da parte degli antichi Romani per sterilizzare il suolo di Cartagine già umiliata e distrutta (Cartago delenda est!) nonché l’impiego dell’Agent Orange (una miscela arancione di 2,4D e 2,4,5T) che l’esercito americano utilizzò durante la guerra del Vietnam per diradare le foreste e poter prevedere così le imboscate dei Vietcong.
Nulla ha potuto l’uomo, anche nella sua forma sapiens sapiens, contro il diffondersi della Mala herba tra la sua Herba utilis e nulla potrebbe, secondo me, anche se aggiungesse un altro sapiens al suo nome scientifico. Nulla hanno potuto le menti più feconde della storia agricola mondiale, da Democrito (V sec. a.C.) a Teofrasto (IV sec. a.C.), da Varrone (II sec. a.C.) a Plinio il Vecchio (I sec. d.C.), da Cassiano Basso (VI sec.) a Ibn-Al-Awan (IX sec.), e degli studiosi che li hanno seguiti e nulla possono ancora i sistemi più moderni. Le piante spontanee sono sempre lì, imperterrite, nei seminativi, a testimoniare che la natura è a loro favore, che loro c’erano già quando l’uomo decise di coltivare i campi perché, come sentenziò già nel’500 e passa a. C. in quel della Frigia il sommo Esòpo, della terra loro sono i figli mentre i semi che vengono seminati dal contadino sono i figliastri.