La fortuna di Antoine Augustin Parmentier in Italia è essenzialmente legata all’uso delle patate come fonte di nutrimento umano, salubre e ricco di amido. Giunte dall’America, le patate si erano diffuse in Europa alla metà del Cinquecento ma, per la curiosa idea che sottoterra non potesse crescere alcun cibo salutare, furono subito viste con estremo sospetto. Su di esse espresse un giudizio lapidario il medico e botanico svizzero Gaspard Bahuin, formatosi a Padova, alla scuola di Girolamo Fabrizio d’Acquapendente ed autore di un ponderoso trattato: Pinax Theatri Botanici, che apparve a Basilea, nella sua edizione più completa, nel 1623 ed ebbe larga diffusione.
Bahuin non aveva dubbi su questi curiosi tuberi, dalla forma rotondeggiante, che ricordavano membra malate. Erano causa della lebbra e dovevano essere assolutamente evitati. Solo alcuni animali potevano cibarsene senza pericolo. Il destino delle patate era dunque segnato e da quel momento divennero il cibo prediletto dei suini che gradivano questi singolari frutti della terra e ingrassavano vistosamente. Si tentò di nutrire in tal modo anche i bovini, ma occorreva abituarli con gradualità, perché non erano attratti dai tuberi ed era necessario tagliarli a pezzi ed unirli al fieno, solo così venivano consumati.
Antoine Augustin Parmentier, farmacista militare nell’Esercito Francese, partecipò alla Guerra dei Sette Anni, che fu combattuta fra il 1756 e il 1763 e fu inviato in Germania. Catturato dai Prussiani, visse la drammatica esperienza di prigioniero di guerra e, con estremo terrore, constatò che l’unico cibo che veniva dato a lui ed ai suoi commilitoni era quello dei suini: semplici patate. Parmentier ben conosceva la fama dei tuberi, il testo di Bahuin era stato ampiamente recepito in tutta Europa e si vide prossimo alla morte, per lebbra e deperimento organico. A causa della fame tutti erano costretti a nutrirsi di patate. Le settimane passavano ma nessun prigioniero si ammalava. Le forze non venivano meno in misura considerevole e, da buon farmacista formatosi alla luce del metodo sperimentale, Parmentier iniziò a nutrire seri dubbi sulla veridicità della fama negativa delle patate.
Liberato, alla fine della campagna militare e tornato in Francia, ebbe modo di approfondire la questione, compiendo a Parigi studi metodici, di carattere chimico-farmaceutico e nutrizionale, sui tanto vituperati tuberi. Tutti gli esami compiuti dettero risultato negativo. Le piante ed i fiori delle patate contenevano un alcaloide di limitata tossicità, la solanina, ma i frutti sotterranei ne vedevano la concentrazione solo nella buccia e potevano essere utilizzati con ogni sicurezza, togliendo il rivestimento esterno. Occorreva un testo per chiarire definitivamente questi aspetti e Parmentier realizzò il magistrale Examen chimique des pommes de terre, che vide la luce a Parigi nel 1773, seguito, ad un anno di distanza, dall’apprezzatissima Ouvrage economique sur les pommes de terre, le froment et le riz.
L’Examen chimique suscitò una vasta eco ed anche in Italia ebbe subito larga diffusione, suscitando dibattiti e favorendo nuove ricerche. In precedenza, il monaco vallombrosano Vitale Magazzini, con la sua interessante Coltivazione Toscana e l’economista Antonio Zanon, con il saggio Della coltivazione e dell’uso delle patate e di altre piante commestibili, avevano richiamato l’attenzione sull’importanza dei tuberi, ma la loro voce era stata scarsamente ascoltata. In Piemonte, il medico Antonio Campini fu il primo ad aderire senza riserve alla tesi di Parmentier, volle entrare in contatto con lui e nei suoi Saggi di Agricoltura, stampati a Torino nel 1774, presentò le patate come eccellenti, facendo proprio riferimento agli straordinari studi del farmacista francese ed al Socrate rustique, ou description de la conduite économique et morale d’un paysan philosophe, dello zurighese Hans Caspar Hirzel.
I Saggi avevano visto la luce presso la Tipografia Reale, per ordine di Vittorio Amedeo III di Savoia, uno dei sovrani protagonisti dell’Illuminismo. Poter nutrire la popolazione con un prodotto di facile coltivazione e di basso costo appariva estremamente vantaggioso, sotto il profilo sociale ed il Regno di Sardegna si poneva all’avanguardia nella valorizzazione di un prodotto a lungo vilipeso e deriso. Campini aveva gustato le patate in varie maniere e così descriveva la sua esperienza personale: “Io, per verità, di fresco feci prova delle stesse cotte adagio e piuttosto in molt’acqua che poca, perché perdono in essa quel non so che d’austero e di selvaggio che hanno quando mal cotte. Queste acconciate in insalata, col suo olio, sale e aceto mi parvero assai buone. Più buone ancora le trovai cotte alla stessa maniera e acconciate con aglio, olio, sale, pepe e prezzemolo, come s’acconciano i funghi. Saporitissime poi mi riuscirono cotte sotto la brage e indi pelate o acconciate nell’anzidetto modo, colla sola aggiunta d’un acciuga, sugo e zesto di limoni”.
Lo splendido Cours complet d’Agriculture, théorique, pratique, economique, coordinato dall’Abate Jean Baptiste François Rozier e stampato a Parigi dal 1785 al 1805, in dodici volumi, rese ancor più evidente il peso scientifico delle ricerche di Antoine Augustin Parmentier. Nel complesso lavoro, che s’imponeva come il contributo più innovativo per la delineazione di ogni aspetto del mondo rurale, egli aveva redatto la voce "Pomme de terre", una voce articolata e minuziosa in cui non solo si delineavano tutti gli aspetti della coltura delle patate ma anche quelli della loro preparazione e cottura. Il Cours complet d’Agriculture fu pubblicato in Toscana, a Lucca, dallo stampatore Francesco Bonsignori, dal 1786 al 1805, dunque quasi contemporaneamente a quanto stava avvenendo a Parigi. Furono realizzati ben ventuno volumi, colmi di tavole incise e, di fronte al complesso problema della traduzione del testo in lingua italiana, si preferì risparmiare tempo e denaro offrendo l’intera opera in francese. La voce "Pomme de Terre", nel XV volume, impresso a Lucca nel 1790, era ricca di ben sessantuno pagine e Parmentier divenne presto famoso anche in Toscana, al pari di quei preziosi tuberi che iniziarono ad apparire sulle mense più disparate.
Le parole di Parmentier furono subito recepite e ad esse fu dato il massimo risalto a Firenze, all’interno dell’Accademia dei Georgofili, sempre sensibile ai clamorosi progressi dello scibile umano ed alla loro ricaduta sul piano economico e rurale. Il farmacista francese, nel frattempo, aveva proseguito i suoi studi e nel 1789, a Parigi, impresso dai torchi di Barrois l’Aîné, vide la luce il denso Traité de la culture et les usages des pommes de terre, de la patate et du topinambur. L’opera ebbe successo in Italia ed a Firenze fu subito letta da Marco Lastri, influente membro dell’Accademia dei Georgofili, che stava realizzando un pratico Corso di Agricoltura, sulla base delle direttive del Granduca Pietro Leopoldo, da tempo impegnato nella valorizzazione dell’agricoltura toscana come realtà economica primaria. Il lavoro di Lastri vide la luce a Firenze nel 1790 e fu ristampato, con aggiunte, nel 1801. Un lungo capitolo era dedicato alle patate ed alla loro importanza sotto il profilo alimentare. Il trionfo di Parmentier e dei suoi studi era ormai evidente.
Scriveva Lastri: “Il tempo per piantare le patate … è dalla metà del mese di Marzo fino a’ primi di Aprile … Vangato e preparato che sarà il terreno … si faranno in quello dei solchi … dipoi si spargerà nei detti solchi egualmente il sugo. Ciò fatto si metteranno a mano le patate piccole intiere o dimezzate se averanno altr’occhio, ossia poppina, delle grosse poi se ne faranno tante parti quanti saranno gli occhi o poppine … e dipoi si ricopriranno con tre dita grosse di altezza di terra e non più. … Il tempo di andare in cerca, adagio, con lo zappetto, o serchio, delle già mature patate, suol essere da mezzo Luglio in là, ma poiché questo tal tempo non può dare una regola certa, a causa della maggiore, o minor freschezza, o aridità del terreno, si darò per regola sicura lo svellere le patate quando si vedrà quasi seccato affatto lo stelo … Per conservare fresche le patate non vi abbisogna veruna diligenza, per il grand’umido che hanno in se stesse … Vari sono gli usi sin qui ritrovati e sperimentati per cucinarle e prima si fanno con esse le frittelle, quali sono buonissime, come appresso, cioè si prende quella porzione di patate corrispondente alla quantità delle frittelle che si pensa fare. Si lessano in acqua pura, lasciandole bollire fino a che sieno ben cotte e soffreddate che saranno, si spogliano d’una sottile pellicola che hanno, dipoi si battono bene bene nel mortaio e dopo, rammorvidite con brodo da grasso e con acqua da magro, si passano per stamina, o spessacola e vi si mettono, dipoi, a proporzione, alcuni rossi d’uovo con poco zucchero. Fatto ciò si rassodano, a proporzione, con fior di farina e così impastate, con poca di cannella fine, si friggono con lardo, o con olio e così fritte si fioriscono con poco zucchero.
Coll’istessa preparazione di patate … assodata che sia la pasta con farina di grano, si stende e si taglia facendoci i maccheroni, cotti e conditi al solito … Con le dette patate, passate … si fanno le polpette di sapore quasi di carne, facendo servire per la porzione della carne, l’istesse patate, co’ soliti condimenti, involgendole, prima di metterle a cuocere, nel pangrattato. Per fare paste fritte, a forma di cenci, che sono buonissime, si mette in un pentolo una porzione di pasta di patate cotte, passate, come sopra ed in esso si mette una piccola porzione di fermento, rossi d’uovo a proporzione, zucchero con un poco di burro. Si mescola ogni cosa insieme e, dopo averle lasciate fermentare per qualche tempo, si assodano con farina di grano gentile e dipoi si stende detta pasta più grossa che per far maccheroni: Finalmente si taglia nella forma che più piace e si frigge nel lardo o in olio e così si ha una frittura grassa e da magro. Delle patate lessate e spellate si fanno le braciole, con salsa dolce e forte, a guisa della lingua alla tedesca. Si fanno fritte involte in pasta tenera, messovi zucchero e rossi d’uovo. Siccome sono buone cotte ancora nel fuoco, o in forno come i marroni, si fanno lessate, condite come le barbe di bietola e si mescolano ancora in pasta per far pasticcio”.