L’areale naturale di vegetazione del pino insigne (Pinus radiata D. Don), è costituito da tre piccoli nuclei separati e assai distanti tra loro, ubicati lungo la costa della California (Swanton, Monterey, Cambria). Questo isolamento intraspecifico ha determinato elevata variabilità nell’adattamento, nelle caratteristiche morfologiche e nella produttività che si è manifestata molto evidente nei paesi di introduzione.
In Italia questa specie è stata impiegata nei rimboschimenti, ma soprattutto negli impianti di arboricoltura da legno a partire dagli anni sessanta del secolo scorso, soprattutto al Sud e nelle Isole maggiori, laddove condizioni climatiche favorevoli, con inverni miti ed estati relativamente fresche, avrebbero potuto rendere vantaggiosa la sua coltivazione in considerazione della rapidità di accrescimento e della produttività della specie.
In particolare verso la fine degli anni ’70, sotto la spinta di approfonditi studi tra i quali quelli condotti in Sardegna dal Prof.Lucio Susmel e grazie alla concomitante contribuzione finanziaria pubblica finalizzata alla realizzazione di nuove piantagioni, furono impiantati con questa specie nell’isola, in aree che manifestavano buone affinità climatiche e pedologiche con le aree di indigenato della specie, oltre 11.000 ettari. Si trattava di aree collinari e di media montagna, con prevalenza di suoli acidi, che generalmente avevano ridotta copertura forestale e ridotto interesse per il pascolo. Inizialmente l'obiettivo principale di queste piantagioni era quello di fornire, in turni relativamente brevi (15-20 anni), biomassa legnosa per pasta da cellulosa a favore di una industria primaria che si stava sviluppando ad Arbatax (Tortolì, NU).
Fallito questo progetto industriale, alla fine del secolo scorso la destinazione delle piantagioni non utilizzate è divenuta di anno in anno sempre più oggetto di dibattito pubblico, per la necessità di definirne la più corretta gestione futura. In effetti il relativo abbandono gestionale dei soprassuoli non ha impedito il loro sviluppo nel tempo che si è rivelato oggi di grande interesse. Per esempio in Ogliastra (NU) il pino insigne forma soprassuoli forestali che nelle stazioni più idonee esprimono produzioni a 50 anni, di 600-700 mc/ha: in alcune aree (Arzana) sono stati misurati oltre 800 mc/ha di biomassa, altezze dominanti di 35 metri e diametri medi di oltre 50 cm, tanto da farli ritenere tra i popolamenti forestali più produttivi a livello regionale.
Un recente studio sempre in Ogliastra, che aveva come obiettivo principale l’individuazione di una gestione sostenibile per soprassuoli di pino insigne, condotto attraverso un approccio integrato degli aspetti bio-ecologici e di quelli dipendenti da vincoli ed opportunità socio-economici, ha valutato in particolare gli effetti di differenti interventi colturali finalizzati a promuovere la rinnovazione naturale in condizioni di copertura continua (continuous cover forestry), valutando anche i costi d’intervento ed il valore del legname ritraibile. Più in dettaglio lo studio metteva a confronto:
i) un diradamento sistematico (geometrico) eseguito tramite il taglio di una fila di alberi su tre;
ii) un diradamento dal basso con il taglio degli alberi con chioma nel piano dominato ed intermedio;
iii) un taglio di sementazione a gruppi sviluppato per favorire i nuclei di rinnovazione naturale già presenti, attraverso l’intensificazione del prelievo in prossimità di questi, in diminuzione all’allontanarsi da questi.
I principali risultati hanno evidenziato che la specie in grado di insediarsi maggiormente nello strato di rinnovazione è il leccio (Quercus ilex L.) anche se il taglio di sementazione ha favorito l’affermazione della rinnovazione di pino. Tutti e tre gli interventi proposti sono in grado comunque di generare un bilancio costi/benefici positivo ed anche l’approccio CCF (continuous cover forestry) ha importanza cruciale nella gestione di questi popolamenti poiché consente di raggiungere con il diradamento, sia maggiore stabilità al soprassuolo, che l’obiettivo di rinaturalizzazione e quindi di favorire una evoluzione verso boschi con più ampia biodiversità e minori criticità legate ad effetti negativi sul regime idrogeologico e paesaggistico.
Sebbene piantagioni monospecifiche non di origine autoctona non siano sempre ben tollerate dalle popolazioni locali, non possiamo dimenticare il fatto che con il crescente fabbisogno di legname, la presenza di questi popolamenti può favorire l’efficacia di valori sociali, culturali, ambientali ed economici di notevole importanza. Alla base vi è la considerazione della sostenibilità dell’uso del territorio in zone marginali dell'entroterra della Sardegna dove devono integrarsi aspetti naturalistici ed ecologici con vincoli economici e di opportunità sociale non facilmente superabili.
E’ chiaro che una più ampia conoscenza dei popolamenti di pino insigne attualmente diffusi in Sardegna, al fine di acquisire maggiori informazioni sulle loro principali funzioni, è indispensabile.