«Quando parliamo di agricoltura non dobbiamo mai dimenticare che la prima missione è quella di produrre cibo, un’attività che con l’aumento della popolazione mondiale sarà sempre più rilevante. Allo stesso tempo, dobbiamo assecondare lo sviluppo di nuovi modelli di agricoltura, che consentano da un lato l’adozione di strumenti di agricoltura di precisione e dall’altro aprano alle nuove frontiere dell’agro-ecologia. Fieragricola TECH (Verona, 31 gennaio-3 febbraio 2023, ndr), con i focus dedicati alla digitalizzazione in agricoltura, alla smart irrigation, alle energie rinnovabili e al biocontrollo e ai biostimolanti sposa temi di grandissima attualità, che stiamo portando avanti anche nel progetto Agritech , il Centro nazionale per lo sviluppo delle nuove tecnologie in agricoltura, che vede l’Università di Napoli Federico II capofila e coordinatore di quello che, a oggi, è il più importante sforzo scientifico in ambito agricolo e agroalimentare».
Obiettivi dell’agricoltura e finalità della ricerca nel settore primario si intrecciano nelle parole della professoressa Stefania De Pascale, ordinario di Orticoltura e Floricoltura all’Università Federico II di Napoli, vicepresidente del Crea, componente del Consiglio direttivo dell’Accademia dei Georgofili e responsabile tecnico-scientifico del progetto GreenFarm, finanziato dal MiSE, sulle energie rinnovabili in agricoltura e sull’implementazione della circolarità in agricoltura. La scienziata De Pascale è coinvolta anche in numerosi progetti finalizzati a studiare l’agricoltura nello spazio.
Professoressa De Pascale, l’Università Federico II di Napoli coordina il progetto Agritech, il Centro nazionale per lo sviluppo delle nuove tecnologie in agricoltura. Quali innovazioni e nuove tecnologie in agricoltura ritiene più urgenti da adottare per il sistema agricolo italiano e su quali ambiti di ricerca state lavorando?
«Devo partire da una premessa. Secondo me l’agricoltura si sta muovendo su due fronti paralleli, che sono entrambi estremamente importanti ma che dovrebbero essere calati in realtà operative differenti. Da un lato vediamo lo sviluppo di soluzioni di Agricoltura 4.0 e oltre, governate dall’Intelligenza Artificiale, dalla digitalizzazione, dall’agricoltura di precisione. Le applicazioni reali sono ancora poche e limitate a poche aziende di grandi dimensioni, perché sono soluzioni che richiedo molta preparazione da parte delle imprese agricole. A mio avviso, queste forme di agricoltura sono destinate ad alcuni comparti, a imprese medio-grandi e alle agricolture più avanzate. Teniamo presente che siamo di fronte a un trend che richiede molta ricerca interdisciplinare. Nell’ambito del progetto Agritech, infatti, abbiamo adattato il nostro modo di fare ricerca e stiamo imparando a lavorare in squadra con ingegneri, meccanici, informatici. L’agricoltura ha bisogno di risposte urgenti e lavorare insieme alle industrie private che sviluppano queste tecnologie di Agricoltura 4.0 può aiutare.
Altrettanto interessante è tutto il trend che definirei agro-ecologico, un’opportunità che può o dovrebbe essere colta dalle aziende agricole di piccole dimensioni o che si trovano in aree marginali o, ancora, che presentano produzioni di nicchia e di eccellenza. In questo caso siamo di fronte a forme di agricoltura che hanno necessità di innovazioni di altro tipo, legate più alle innovazioni di prodotto che di processo.
In queste realtà risultano vincenti linee di ricerca sul biocontrollo, sui biostimolanti, il miglioramento genetico e le tecniche agronomiche per aumentare la resistenza delle piante agli stress biotici e abiotici oppure le tecniche per migliorare la qualità dei prodotti e la filiera. Sono realtà caratterizzate da tipologie di prodotti, di mercato e dimensione che non si sposano con agricoltura di precisione come la immaginiamo oggi, perché l’agricoltura di precisione richiede colture omogenee, grandi appezzamenti e investimenti. Questo non significa che i due sistemi andranno a competere fra di loro, perché potrebbero convivere, essere sovrapposti, trovare spazi e ambiti differenti, soprattutto in un’agricoltura come quella della Penisola italiana, che offre in verità più agricolture, prodotti agricoli diversi, approcci differenti. Ma siamo di fronte a sistemi che richiedono comunque innovazione, perché l’agricoltura è chiamata a produrre di più e con meno, bisognerà a puntare al risparmio della risorsa idrica, abbiamo bisogno di efficientare la produttività e il consumo di energia, puntando sulle rinnovabili, sull’agricoltura circolare e sulla intrinseca resilienza dell’agricoltura».
La circolarità è alla base dell’agricoltura.
«Sì, dal ciclo dell’acqua, dei nutrienti e del carbonio, la circolarità è alla base dell’agricoltura, anche se oggi si parla di filiere che si sono allungate fino a diventare lineari e si deve, quindi, ripensare il sistema della circolarità. Ma l’applicazione dei principi dell’economia circolare può offrire opportunità all’agricoltura per diventare più efficiente, Dalla produzione primaria alla distribuzione e al consumo abbiamo opportunità di trasformare rifiuti in risorse per produrre concimi, compost, ammendanti, biofertilizzanti, biostimolanti o energia da riutilizzare in agricoltura o anche per estrarre biomolecole utili, in una visione allargata che guarda alla bioeconomia.
Per l’Università sono responsabile tecnico scientifico di un progetto finanziato dal MiSE che si chiama Green Farm, con partner privati quali Graded S.p.A. che è il capofila, la CMD Motori Diesel di Caserta, e in collaborazione con il CNR, per la realizzazione di un impianto pilota presso l’azienda sperimentale del Dipartimento di Agraria di Castelvolturno per l’efficientamento energetico e l’implementazione dei principi dell’economia circolare in agricoltura. Abbiamo realizzato un pirogassificatore containerizzato che produce energia da biomassa lignocellulosica di scarto, integrato a pannelli fotovoltaici. È un sistema mobile e autonomo, con batterie alimentate dal fotovoltaico, che viene utilizzato per il fabbisogno energetico dell’azienda, mentre l’energia in accesso può esser incanalata nel sistema nazionale e gli scarti della produzione di energia come la CO2 e il biochar possono essere usati per le colture in serra e nei terreni agricoli, rispettivamente.
Le energie rinnovabili abbinate alla circolarità rappresentano una soluzione su cui investire. Senza però dimenticare, parlando di fonti di energia rinnovabile e di circolarità, che la mission primaria dell’agricoltura è quella di nutrire il mondo, produrre alimenti sani in quantità sufficiente non di produrre energia o materie prime per la bioeconomia. È necessario effettuare analisi costi-benefici nei diversi contesti agricoli, per capire su quali settori puntare e, soprattutto, sono necessari investimenti nella logistica per le bioenergie e il riutilizzo degli scarti. A questo proposito, , per esempio, stiamo conducendo ricerche su come utilizzare gli scarti di colture orticole, come carciofo o finocchio, più o meno trattati, per reintegrare la sostanza organica nei terreni oppure per estrarre molecole bioattive che possono essere utilizzate per la produzione di alimenti funzionali o integratori alimentari.
Ma dobbiamo essere altrettanto consapevoli che siamo di fronte da un lato a tecnologie su piccola scala e dall’altro a tecnologie che richiedono grandi investimenti tanto in ricerca quanto in logistica. Per questo serve il sostegno pubblico e un disegno che si rivolga non alle singole aziende, ma a territori più ampi».
Resta il nodo della formazione.
«È assolutamente necessario che gli agricoltori abbiano accesso alle conoscenze e alle tecnologie. Più noi pensiamo ad agricoltura hi-tech, più dobbiamo guardare alla preparazione degli operatori agricoli. È inoltre necessario che questa transizione verde, che richiede un cambio di paradigma radicale, coinvolga anche il consumatore, che deve essere più consapevole degli effetti delle scelte che compie a tavola. La strategia From Farm to Fork deve assolutamente essere interpretata anche in senso inverso, cioè From Fork to Farm, così da avere consumatori coinvolti e, come dicevo, consapevoli».
La guerra in Ucraina ha rilanciato i temi della sovranità alimentare e della sovranità energetica. Come la ricerca scientifica può dare risposte all’agricoltura? Con riferimento in particolare alle energie rinnovabili, quale ruolo potrà giocare l’agricoltura?
«Abbiamo appena presentato un progetto di ricerca e sviluppo sull’agrivoltaico, su questo tema, come spesso accade, lo sviluppo industriale e le politiche che lo accompagnano vanno troppo veloci per i tempi della ricerca, che richiede impegno e investimenti elevati. Detto questo, l’agrivoltaico potrebbe essere un sistema interessante per alcuni contesti agricoli, ma va verificato in condizioni operative reali, per consentire di integrare la produzione agricola con la produzione energetica, favorire la conservazione della fertilità suoli, il risparmio idrico e il mantenimento della vocazione agricola dei territori.
Anche in questo caso deve essere chiaro che una produzione agricola sostenibile deve essere l’obiettivo principale: laddove la produzione di energia elettrica può convivere con gli obiettivi primari, ben venga. Ci sono studi che dimostrano che con l’agrivoltaico c’è un incremento di reddito anche molto interessante, ma occorre definire i parametri tecnico ingegneristici e agronomici che consentano la produzione agricola al di sotto dei pannelli fotovoltaici, perché le colture rispondono diversamente alla riduzione della radiazione solare durante il ciclo colturale, vanno quindi ottimizzati i protocolli di gestione degli impianti.
Non è facile fare ricerca in questo campo, perché un impianto pilota ha tempi di realizzazione e costi elevati».
Lei si occupa anche di agricoltura nello spazio. A che punto è la ricerca? Quando potremo coltivare nello spazio e quali benefici potremmo avere dallo spazio?
«Stiamo guardando alla Luna con grande interesse e la possibilità di andare sulla Luna e di testare sistemi e tecnologie in ambiente extraterrestre reale è diventata molto più concreta. Da un lato studiamo piante, come gli ortaggi, da coltivare sulla Stazione Spaziale Internazionale o, più in generale, su stazioni spaziali orbitanti o navicelle spaziali per integrare l’alimentazione degli astronauti con cibo fresco ricco di sostanze benefiche per la salute dell’uomo.
Dall’altro studiamo le piante come componenti di sistemi biorigenerativi per il supporto alla vita dell’equipaggio nelle future colonie spaziali su Luna o Marte. In questi sistemi, le piante svolgeranno il ruolo biologico centrale di rigenerare l’aria grazie alla fotosintesi, purificare l’acqua attraverso la traspirazione e produrre cibo magari riutilizzando parzialmente gli scarti organici dell’equipaggio. In questo caso stiamo studiando colture come grano, riso, cereali, soia, ma anche tuberi come la patata. Le condizioni operative di una base planetaria saranno molto diverse rispetto alla Stazione Spaziale Internazionale, perché anche se ridotta rispetto a quella terrestre, sui pianeti c’è gravità, e questo ci permetterà di utilizzare sistemi di coltivazione più vicini a quelli convenzionali. Nell’ambito del progetto REBUS, finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana, per esempio, stiamo studiando la possibilità di utilizzare i suoli extraterrestri, la cosiddetta regolite lunare o marziana, per coltivare le piante. Nelle sperimentazioni a Terra, usiamo simulanti di regolite prodotti sulla base delle caratteristiche dei suoli lunari o marziani ottenute nel corso dei programmi di esplorazione di Marte e la Luna. I suoli extraterrestri devono essere migliorati con l’aggiunta di sostanza organica, di ammendanti e di biostimolanti microbici e non microbici, per consentire la crescita delle piante e garantirne l’efficienza come bioregeneratori. Dobbiamo anche tenere conto del problema delle radiazioni e la tolleranza delle piante, perché dobbiamo garantire la sopravvivenza in presenza di radiazioni ionizzanti.
La ricerca su come coltivare le piante nello Spazio ci consentirà di guadagnare spazio per le piante sulla Terra, ovvero coltivare di più e meglio, sviluppare conoscenze e tecnologie per migliorare l’efficienza d’uso delle risorse, come l’acqua, o per coltivare in ambienti estremi nei deserti o ai Poli ma anche nelle nostre città. Quando la NASA iniziò a studiare le piante per i sistemi biorigenerativi, per esempio, fu antesignana nel creare le tecnologie per il Vertical farming».
Come vede lo sviluppo del Vertical farming? Sarà il futuro dell’agricoltura, ora che la popolazione urbanizzata ha superato quella che vive nelle aree rurali?
«Il superamento della popolazione urbana rispetto a quella rurale è un fenomeno che interessa le megalopoli dove non solo è aumentata la popolazione urbana, ma gli stessi abitanti sono lontani dai centri rurali, con problemi di approvvigionamento dei prodotti freschi. Per città come Milano, Roma, Napoli è un problema ridotto.
Il Vertical farming si sta sviluppando molto in USA e nei paesi asiatici, laddove ci sono grandi centri urbani. Io non vedo una tale crescita del Vertical farming per quanto riguarda l’Europa meridionale, perché al momento sono sistemi estremamente energivori, che producono quindi a costi elevatissimi.
Con l’Università di Bologna abbiamo un progetto PRIN finanziato dal MUR per lo studio del Vertical farming sostenibile, con la finalità di migliorare l’efficienza d’uso delle risorse in questi sistemi, in particolare dell’energia, e di diversificare la produzione che al momento è quasi totalmente rappresentata da ortaggi da foglia. Già oggi l’acqua in questi sistemi è usata in maniera molto efficiente, mentre resta da risolvere i problemi legati all’uso della luce e, quindi, dell’energia, è necessario utilizzare impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili con un impatto ridotto ambientale e paesaggistico, considerando anche che le strutture di Vertical farming si trovano nei centri urbani».
Quali sono i vincoli che frenano l’innovazione in agricoltura e come possono essere superati?
«I limiti sono gli investimenti per la ricerca e il capitale umano. A livello nazionale si è capito che occorrono grandi progetti, maggiori investimenti in ricerca e sviluppo, così come in infrastrutture e in logistica, soprattutto per i grandi obiettivi dell’agricoltura come la circolarità, l’energia, l’uso razionale dell’acqua, aspetti che devono essere non al servizio della singola azienda, ma dei grandi comprensori agricoli.
Per facilitare la transizione verso la circolarità, bisognerà anche rivedere e semplificare la normativa. Anche l’agricoltura di precisione richiederà normative ad hoc, si pensi all’utilizzo dei droni. È necessario, infine, che i decisori politici comprendano che oggi l’agricoltura è chiamata a svolgere sempre più funzioni che comportano costi che l’agricoltura da sola non può sostenere. Occorre una reale politica di incentivi per chi opera correttamente che dovrà essere basata su indicatori ambientali chiaramente definiti. Oggi si parla di impronta idrica e carbonica, ma non sempre tali parametri sono misurati in modo corretto e non sempre sono effettivamente utili alla determinazione dei benefici prodotti».
Come immagina l’agricoltura italiana nel 2040? Quale sarà il peso delle nuove tecnologie nelle aziende agricole? Avremo aziende agricole iper-specializzate? Come potrebbe essere il cibo del futuro?
«Non immagino una sola agricoltura italiana, ma un mosaico di agricolture, di paesaggi, di cibo, di eccellenze. Credo che nel futuro vedremo sempre più queste diverse agricolture e sopravviveranno le aziende che riusciranno a rispettare o a migliorare la sostenibilità della produzione scegliendo una delle due strade possibili ovvero produzioni di nicchia eccellenti non destinate al consumo di massa, e in questo caso molto probabilmente saranno aziende che dovranno usare tecniche avanzate sul piano delle innovazioni agro-ecologiche, dovranno investire molto sulle politiche di marketing e sulla formazione al consumatore. E poi avremo le grandi aziende, quelle per esempio nei comprensori agricoli di pianura, che producono per l’agroindustria e il consumo fresco, per le quali la sfida è rappresentata dall’agricoltura di precisione».
Come si collocheranno le grandi Dop?
«Per le grandi denominazioni già affermate a livello internazionale si tratterà di confermare la loro efficienza, migliorandola laddove possibile, ma la vera sfida della nostra agricoltura riguarderà i prodotti che sono ancora anonimi, quelli destinati alla G.D.O., che tra l’altro richiede prezzi sempre più bassi e qualità sempre più alta. La sfida sarà anche quella di riorganizzare il ruolo dell’agricoltura nella filiera attraverso un dialogo di visione che richiederà ai produttori uno sforzo di aggregazione. In ogni caso, la riduzione dei costi di produzione e il miglioramento della qualità dei prodotti, saranno ancora le determinanti fondamentali e le tecnologie rappresenteranno una valida soluzione per rispondere alle sempre maggiori e più diverse esigenze dei mercati: la riduzione del contenuto di nitrati, la riduzione delle emissioni, il risparmio dell’acqua».
da www.corriereortofrutticolo.it, 2/2/2023