Leggiamo: “Il mondo del vino tra l’incudine e il martello: il prezzo del vetro ancora in aumento (+205) nel 2023 mentre dalla Grande distribuzione arrivano richieste di congelamento dei prezzi. A farne le spese le aziende italiane, alle prese con bassa marginalità e poca redditività. A rischio gli investimenti ”. Così uno degli ultimi comunicati stampa del 2022 diffuso da Federvini. Perché lo cito? Perché tutto il mondo è paese e perché i concetti (aumenti dei costi, minor marginalità, redditività a picco e niente investimenti) sembrano cuciti addosso anche all’ortofrutta, con una differenza però. Che l’ortofrutta non sta bene come il vino, che la marginalità dei due settori è assolutamente incomparabile. Che l’export di vino continua ad andare bene, molto bene, e l’ortofrutta invece…
Invece l’ortofrutta qualcosa recupera sul fronte export nel bilancio parziale dei primi 9 mesi dell’anno ma non basta. Fruitimprese lo ha fatto capire chiaramente commentando i dati. Si chiuderà l’anno attorno ai 5 miliardi di euro, ma con ‘dentro’ più del 10% di inflazione (ormai siamo al 12-13%) quindi in termini reali poco più di 4 miliardi di euro. In termini reali una perdita di quasi 500 milioni di euro. Quindi non va bene. Inutili a questo punto i paragoni con la Spagna. La nostra ortofrutta sta già perdendo da tempo la battaglia per la leadership in Europa. Gli spagnoli viaggiano a ritmi per noi irraggiungibili : loro hanno già fatto quasi 13 miliardi di euro di export a ottobre 2022…
Ha ragione Marco Salvi, meglio non fare paragoni, meglio vedere il bicchiere mezzo pieno. Commenta il presidente di Fruitimprese: “Visto il periodo particolarmente complesso con tante criticità che pesano sui bilanci delle imprese, dai costi energetici triplicati, agli imballaggi, ai materiali di consumo, ai trasporti su gomma e per mare, già riuscire a tenere i livelli vicini a quelli del 2021 è un piccolo miracolo. Si conferma la resilienza del mondo dell’ortofrutta e delle sue imprese, che sanno reagire alle difficoltà puntando su innovazione e ricerca e triplicando gli sforzi su tutti i mercati di riferimento”.
Quindi la parola magica è resilienza. Quindi saper resistere. Resistere alle mille difficoltà che incontra chi fa impresa in questo settore, a partire dalla manodopera che non si trova (con i voucher reintrodotti dalla manovra 2023 cambierà qualcosa?). Il problema della manodopera e quello connesso del costo del lavoro fa sì che molte imprese non smettano di produrre, ma producano di meno nella speranza (?) anche di spuntare prezzi migliori. Produrre di meno fa perdere posti di lavoro e può aprire le porte ad un maggior import e questo già si riflette nei numeri, col trend dell’import a volume che resta superiore all’export. Dovremo rassegnarci a diventare un paese importatore netto di ortofrutta, dopo essere stati i grandi fornitori dell’Europa (qualche decennio fa)? Importiamo non solo tradizionali prodotti come esotico o frutta secca (che da noi mancano ) ma poi abbiamo cominciato con gli agrumi (di cui siamo da tempo importatori netti) e adesso siamo a prodotti del tutto alternativi ai nostri come frutta fresca e ortaggi. E non solo in contro-stagione. Sicuramente gioca la componente prezzo, particolarmente importante per le catene dei discount. Ma non solo.
Quindi questo 2023 si presenta difficilissimo, forse il più difficile dopo l’anno della pandemia. Inflazione che viaggia al 12-13%, prezzi al consumo in aumento, consumi sempre più calanti. Un quadro di necessaria resistenza per le imprese, anche perché chi doveva tirare la cinghia l’ha già fatto, chi doveva sacrificare parte dei propri margini ha già compiuto i riti sacrificali. Adesso margini non ce ne sono più. E si guarda alla Gdo che a sua volta è troppo impegnata a fare i conti coi propri bilanci e con marginalità in forte calo. Sul tema dei prezzi e dei rapporti coi fornitori il buyer di una grande catena ha spiegato: “La difficoltà principale, che ormai perdura da tempo, è riuscire a gestire il giusto approccio alla formulazione dei prezzi, facendo il corretto distinguo tra un doveroso riconoscimento di alcuni costi, lievitati in maniera conclamata e innegabile, e alcune spinte speculative che si palesano di tanto in tanto”.
Capito? Serve distinguere tra le richieste ‘corrette’ di aumenti e quelle che corrette non sono. E chi lo decide? Per capire che aria tira guardiamo cosa è successo a dicembre. L’ADM, l’associazione dei retailer che rappresenta l’85% della GDO italiana, ha fatto un appello all’industria per chiedere una moratoria sugli aumenti dei listini, anche quelli già programmati, almeno fino ad aprile 2023. Marco Pedroni, presidente ADM, parla di una situazione insostenibile : gli aumenti richiesti dalle industrie fornitrici “non si possono trasferire ai consumatori in una spirale recessiva che si autoalimenta”. L’industria di marca per bocca di Francesco Mutti ha risposto fermamente picche. Loro non ci stanno a ridurre ulteriormente i loro margini anche perché già “si sono fatte carico di una parte degli aumenti spropositati di materie prime ed energia trasferendo a valle sui consumatori solo una parte dei rincari subiti”. Quindi l’industria del food non rinuncia ad aggiornare i propri listini, non ci pensa proprio, pena “la tenuta del tessuto produttivo”.
Su chi si scaricherà adesso la ‘stretta’ della GDO, a chi chiederanno i grandi retailers in sofferenza (da Esselunga in giù) di sospendere o ridurre gli aumenti dei listini? Il mondo dell’ortofrutta , strutturalmente debole e frammentato com’è, è il candidato ideale al ‘sacrificio’. Come non ne avesse fatti tanti finora. Questa è una partita in cui tutti hanno ragione e tutti hanno torto, qualcosa dovrà succedere, un tavolo di conciliazione si dovrà aprire da qualche parte…. Entrambi gli attori – GDO e industria alimentare – sono forti e godono di buone protezioni politiche. Mentre l’ortofrutta mi sembra il classico vaso di coccio tra i vasi di ferro.
*direttore Corriere Ortofrutticolo e CorriereOrtofrutticolo.it