Nei giorni che precedono il Santo Natale e in quelli di Vigilia delle Feste comandate le salumerie esponevano una bacinella piena d’acqua dove il baccalà, merluzzo salato e da secco e duro diviene umido e morbido. Il merluzzo (Gadus morhua), soprannominato anche maiale del mare perché e come il maiale di terra di lui non si butta via niente, è conservato con il sale e l’asciugatura. Conservato con il sale il merluzzo prende il nome di baccalà che deriva dal basso tedesco bakkel-jau che significa duro come una corda o dal nome baccalai che gli indigeni del Nord America danno ai merluzzi, oltre a questo ben poco di certo si sa. Lo stoccafisso cosi chiamato quando il merluzzo (pesce, visch o fish) è essiccato al vento su pali o bastoni (stoc) divenendo quasi un pesce-bastone (stoc-visch o stocfish).
Il merluzzo è un pesce atlantico e i primi a pescarlo nel Mare del Nord sono i Vichinghi che già dal X secolo lo conservano esponendolo al vento freddo fino a essiccarlo, mentre non si sa da quando i pescatori dei paesi Baschi e nelle acque atlantiche delle coste americane, in particolare di Terranova, lo pescano conservandolo con il sale, tecnica accertata nel VII secolo a. C. (Maritana L., Iacuminb P., Zerboni A., Venturelli G., Dal Sassoa G. - Fish and salt: The successful recipe of White Nile Mesolithic hunter-gatherer-fishers - Journal of Archaeological Science, 92, 48-62, 2018). Per molto tempo il merluzzo conservato è l’alimento di schiavi, di basso costo e a disposizione di tutti i lavoratori che non possono permettersi l’acquisto della carne o di pesce fresco, dando origine a un’importante rete di commerci, monopoli e di attività economiche ricchissime per molte città. Non ultima Venezia fa lauti guadagni esportando sale e importando e riesportando baccalà e soprattutto stoccafisso, da quando nel XV secolo il Patrizio veneziano Pietro Querini (1400? – 1448) stabilisce rapporti con le Isole Lofoten nel Mare del Nord. Successivamente il merluzzo soprattutto salato (baccalà) diviene cibo per i ricchi e soprattutto nei paesi cattolici un piatto tipico e importante dei giorni di vigilia come quello di Natale.
L’alimentazione umana e soprattutto la cucina sono piene di apparenti contraddizioni governate anche da mode e quel che è un cibo povero può divenire ricco e viceversa e molto complesso è il problema della sua presenza nelle vigilie cristiane perché in relazione ai rapporti che vi sono tra religioni e cibi. Per quanto riguarda il cristianesimo nei primi secoli i fedeli della nuova religione si cibano di ogni specie di animali, senza alcuna distinzione di animali puri o impuri, mondi o immondi (Atti degli Apostoli, 10,9-20). Solo successivamente si forma una tradizione che in taluni periodi si richiama alla penitenza, alla preghiera, al digiuno e al non mangiare le carni di animali dal sangue caldo a carni rosse, bianche e loro derivati. Per meglio spiegare la regola si dice che per penitenza è vietato mangiare gli animali che Noè salva sull’arca, mentre sono permessi quelli che restano fuori e quindi pesci di ogni genere, ma anche balene e delfini e uccelli con una vita acquatica come le folaghe e le anitre selvatiche. Inoltre Gesù compie il miracolo della moltiplicazione dei pesci (e dei pani) e il prodigio della pesca miracolosa, nel vangelo secondo Luca e nel vangelo secondo Giovanni in due distinte occasioni, prima e dopo la sua risurrezione. Dopo la sua risurrezione Gesù compare agli apostoli e quando chiede “Avete qualche cosa da mangiare?” gli offrono una porzione di pesce arrostito, egli lo prende e lo mangia davanti a loro. Infine il termine greco ἰχθύς, ichthýs (pesce) è un acronimo usato dai primi cristiani per indicare Gesù Cristo.
Il pesce fin dall’antichità è in grandissima prevalenza quello di acque dolci, fiumi, e laghi. Lo storione è il re della tavola dei nobili e dei ricchi accanto al luccio, le anguille e i gamberi, mentre il popolo si alimenta d’ogni genere di pesce minuto, abbondante nei fiumi e torrenti d’acqua limpida e pulita e catturato con ogni mezzo, con le mani, nasse, reti e lenza. Nel rigido inverno difficile è avere il pesce fresco e si ricorre a quello conservato (baccalà e stoccafisso), soprattutto dopo il Concilio di Trento (1545 – 1563) durante il quale il prelato cattolico svedese, Olaus Magnus (Olao Magno) spinge i Padri Conciliari a pronunciarsi a favore di quello conservato e soprattutto dello stoccafisso, indicandolo come cibo atto a sostituire le carni che i contro-riformatori tridentini aborriscono in quanto cibo lussurioso e grasso, che induce al peccato. Da qui la regola canonica si cibarsi di pesce nelle vigilie, giorni e periodi di penitenza come il venerdì e la Quaresima con l’origine in ogni parte d’Italia di ricette che, soprattutto nel periodo invernale riguardano il pesce conservato, primi di tutti il baccalà e lo stoccafisso. Da qui anche la consuetudine del baccalà o stoccafisso della Vigilia di Natale che ognuno prepara con la ricetta tradizionale di ogni singolo luogo, o a Roma del capitone, l’anguilla femmina.