Il contrasto al consumo di suolo nella legge di Bilancio?

In attesa del varo di una legge che regoli finalmente in modo organico il consumo di suolo a livello nazionale, come auspicato anche dalle società scientifiche agrarie da diverse legislature.

di Edoardo A.C. Costantini
  • 21 December 2022

Nel numero di Georgofili Info dello scorso 14 dicembre (https://www.georgofili.info/contenuti/le-nuove-politiche-europee-sul-suolo/23268) l’onorevole Paolo De Castro segnalava, tra le altre interessanti notizie, una di particolare rilevanza per la difesa del suolo, e cioè la decisione del governo italiano di costituire attraverso la legge di Bilancio un “Fondo per il contrasto al consumo di suolo”. Si tratta dell’art.127 che recita:  “Al fine di consentire la programmazione e il finanziamento di interventi per la rinaturalizzazione di suoli degradati o in via di degrado in ambito urbano e periurbano, è istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica, il «Fondo per il contrasto del consumo di suolo», con una dotazione di 10 milioni di euro per l'anno 2023, di 20 milioni di euro per l'anno 2024, di 30 milioni di euro per l'anno 2025 e di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2026 e 2027”.
Si tratta senz’altro di una opportunità per incentivare il ripristino delle aree degradate e con esse il recupero di almeno parte della funzionalità ecosistemica dei suoli più danneggiati dalle attività dell’uomo, ma l’articolo di legge in effetti non affronta il problema della limitazione del consumo di ulteriore suolo.
Come è noto, il consumo di suolo in Italia ha raggiunto negli ultimi anni un livello insostenibile, peraltro non correlato con l’andamento demografico. In Italia si cementificano più di 14 ha al giorno, oltre 2 metri quadrati al secondo, e nella maggior parte dei casi si tratta dei suoli migliori, quelli più fertili di pianura. La superficie coperta da strutture e infrastrutture raggiunge ormai i 21.500 km2, circa il 7,1 % della superficie nazionale.
Il processo di cementificazione è particolarmente grave nelle aree urbane e periurbane, dove influisce in modo determinante sul benessere e sulla salute dei cittadini. In queste aree si stanno progressivamente riempiendo di costruzioni e infrastrutture tutti i fazzoletti di terra rimasti tra le case, riducendo i servizi ecologici rimasti in città, ma anche i valori sociali e identitari che quegli spazi fornivano. E’ del tutto evidente che è prioritario invertire questo processo, se si ha davvero a cuore la qualità della vita dei cittadini. Le nostre città hanno bisogno di un nuovo modello di sviluppo, che punti a farle diventare un ecosistema urbano inserito negli ecosistemi naturali. Nella quasi totalità dei comuni italiani invece il piano urbanistico manca della considerazione dei servizi ecosistemici operati dai suoli urbani e dalla vegetazione da loro sostenuta. Servizi fondamentali come la riduzione dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua, la riduzione dei rumori, la mitigazione degli effetti delle ondate di calore, la regolazione dei deflussi idrici, il sequestro di carbonio, la tutela della biodiversità, anche quella funzionale alla salute umana. Da sottolineare che non solo i parchi e i giardini, ma anche i suoli urbani e periurbani coltivati e perfino quelli abbandonati continuano a svolgere servizi ambientali importanti. Non sono quindi assolutamente da considerare “incolti improduttivi” in attesa di sviluppo insediativo, come a volte si legge nei piani urbanistici, semmai risorse preziose, miracolosamente risparmiate dalla cementificazione, da potenziare ecologicamente.
Le dinamiche sociali e ambientali sono sempre più interconnesse e nella pianificazione territoriale non ha più senso distinguere la pianificazione urbana da quella extraurbana. In particolare, non è razionale individuare nel solo territorio extraurbano le aree di qualità ecologica, dove ricavare i servizi di sostenibilità ambientale, mentre in quello urbanizzato puntare alla massimizzazione economica. Tutto il territorio, urbano ed extraurbano, deve essere considerato “ambiente ecologico” e quindi interconnesso. Anche i suoli urbani devono essere considerati importanti dal punto di vista ecologico. E’ necessario pianificare il tessuto urbano sulla base di una valutazione dei servizi ecosistemici forniti dai suoli e quindi quantificare gli impatti e i costi ambientali causati dal loro consumo e impermeabilizzazione. Il grado di “disturbo” o di inquinamento a cui sono sottoposti a causa delle attività umane e il loro livello di impermeabilizzazione hanno un’influenza sulla qualità dell’ambiente che è necessario conoscere e tenere in considerazione nelle attività di pianificazione, anche dal punto di vista economico.
Le amministrazioni responsabili della gestione del territorio dovrebbero stabilire un livello minimale di servizi ecologici e di conseguenza una superficie complessiva di aree a diverse forme di “verde” sotto la quale non scendere. La quantificazione della superficie a “verde” dovrebbe essere il risultato del bilancio tra criticità ambientali e funzioni ecologiche. Ad esempio, per quanto riguarda il livello di ozono nell’aria, l'Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente Toscana (ARPAT) ha confermato anche quest’anno la criticità di questo parametro in diverse aree urbane della regione. Entrambi i valori obiettivo non sono stati rispettati, rispettivamente, nel 40% delle stazioni di monitoraggio per il valore obiettivo per la protezione della popolazione e nel 60% delle stazioni per il valore obiettivo per la protezione della vegetazione. L’ozono infatti danneggia sia l’apparato respiratorio degli esseri umani sia l’apparato fotosintetico delle piante, ma le piante possono diminuire significativamente l'ozono presente nell’aria. Gli olivi, ad esempio, ne assorbono di media un grammo al giorno ognuno. E’ possibile quindi stimare la quantità di aree a verde e di piante necessarie per ridurre significativamente il livello di ozono in un territorio urbanizzato.
Partendo dalla conoscenza della quantità, qualità e funzionalità delle risorse ambientali esistenti (suoli, acque, piante) vanno programmate tutta una serie di azioni per realizzare dei veri e propri sistemi ecologici, nei quali i corridoi ecologici regolino la funzionalità idraulica ed ambientale dei corsi d’acqua (aree blu) e delle aree a verde connesse. Più in generale, si dovrebbe operare un vero e proprio ribaltamento del paradigma urbanistico, dove non sono più le aree costruite che invadono le aree verdi, ma sono le aree verdi e blu che attraversano la città connettendosi tra loro a creare una infrastruttura funzionale, che fornisca servizi ecologici e che racchiuda le parti costruite. Questa infrastruttura ecologica e la sua efficienza dovrebbero essere poste al centro della pianificazione.
All’interno di una visione sistemica dell’ecologia urbana e periurbana come quella delineata, si inseriscono certamene anche interventi volti alla demineralizzazione dei suoli, in particolare per il recupero a verde di aree degradate ed edificate dismesse. In Italia sono presenti oltre 310 km2 di edifici non utilizzati e degradati, che potrebbero essere interessati dal citato articolo della legge di bilancio.
In conclusione, sarebbe importante che i nostri parlamentari migliorassero o integrassero l’articolo di legge in questione, prevedendo interventi collocati in un contesto che effettivamente incentivi il contrasto al consumo di nuovi suoli, a partire dalla conoscenza della loro qualità e funzionalità ecologica.
Tutto questo in attesa del varo di una legge che regoli finalmente in modo organico il consumo di suolo a livello nazionale, come auspicato anche dalle società scientifiche agrarie da diverse legislature.