L’emigrazione di massa riguarda oggi tutta la terra perché anche fuori Europa esistono esodi analoghi, come dal Messico negli USA, in Sudafrica dai paesi confinanti e dalla Nigeria, dalla Cina in Russia con il traghettamento dell’Ussuri; inoltre, ancora dalla Cina, in direzione di ogni continente.
Il pianeta è caratterizzato, oggi più che mai, da squilibri economici e da enormi differenze nel tenore di vita mentre le notizie, che un tempo circolavano in ambienti ristretti, ora sono “mondializzate” grazie a un’elettronica che sta facendo conoscere a tutti com’è fatta la quinta strada a New York, quanto sono invitanti le vetrine di via Condotti o di via Monte Napoleone in Italia, quali autovetture si usano e quali cibi si mangiano in Europa e negli USA, ecc.
Orbene, applicando un detto mussulmano, “se la montagna non va a Maometto, Maometto va alla montagna”, gli odierni profughi per fame (diverso discorso andrebbe fatto per chi fugge dallo sterminio e dalla guerra), non ricevendo più gli aiuti euroamericani che arrivavano fino a qualche anno addietro, lasciano la terra natia per venire nei paesi ricchi, rischiando anche traversate marine pericolosissime. Occorre che i governanti dei paesi sviluppati manifestino più saggezza e considerino scopo primario della loro attività quella di ridurre le differenze di reddito fra i loro stessi cittadini e, naturalmente, fra i loro compatrioti e i popoli dei paesi più poveri.
Il primo argomento meriterebbe un vero trattato sul significato della concorrenza e sullo strapotere di colossi economico – finanziari che possono, con la loro forza reale, influire in modo addirittura impressionante sulle decisioni dei governi nazionali. Ma non è questa la sede adatta.
Il secondo argomento, invece, tocca in primo luogo la fame e, più in generale, la povertà, per la grande maggioranza dei migranti.
A questo proposito sarebbe necessario che Europa e USA esportassero cibo come un tempo (politica agricola permettendo) e tecnologie, per favorire la creazione di economie locali nei paesi meno fortunati, in modo tale da convincere i loro abitanti che anche nella loro terra ci può essere un futuro.
Non si può negare che la realizzazione di questi interventi potrebbe presentare difficoltà di ordine politico, a causa di dittatori che infestano proprio i paesi più poveri, ma non si vede come si possa provvedere diversamente. Al proposito, pur potendo passare per cinico, mi paiono mali minori Saddam Hussein e Gheddafi dell’ISIS e delle guerre libiche.
D’altra parte che senso ha che si firmi pomposamente la “Carta di Milano” se poi ci si guarda bene dall’applicarla seriamente?
Nella speranza che, nel frattempo, la guerra fra sciti e sunniti, dalla quale derivano gran parte dei conflitti mediorientali, ora esportata sotto forma di attentati in Europa, possa finire.
The mountain, food and Mohammed
Mass emigration today concerns the whole planet as even outside Europe there are similar exoduses such as those to the United States from Mexico, to South Africa from neighboring countries and Nigeria, and from China to Russia across the Ussuri River as well as towards each continent.
Today more than ever, the planet is characterized by economic imbalances and huge differences in living standards while news that once circulated only in restricted circles has now been globalized thanks to electronics that is making everyone acquainted with what Fifth Avenue in New York is like, how appealing the Via Condotti or Via Monte Napoleone window displays in Italy are, which cars are used and what food is eaten in Europe and the United States, etc.
However, by applying a Muslim saying “if the mountain won’t come to Mohammed, Mohammed must go to the mountain”, today’s refugees from famine (different from those fleeing war and slaughter), that no longer receive the Euro-American aid that they got until a few years ago, are leaving their native lands to come to wealthy countries, even risking very dangerous sea crossings. The leaders in developed countries should show more wisdom and consider their primary purpose to be reducing income differences between their own citizens and, naturally, between their fellow countrymen and people from poorer countries.