Lo scorso anno, in questi giorni, ci si chiedeva quali fossero le prospettive per l’immediato futuro, fra le continue sorprese riservate dalla pandemia di cui ancora si temevano inaspettati colpi di coda e la certezza che la tanto attesa ripresa non avrebbe avuto un andamento lineare e progressivo a causa di fattori avversi che non trovavano composizione.
A distanza di 12 mesi, se da un lato il quadro epidemiologico sembra migliore, dall’altro rimangono vive le preoccupazioni per quello economico che anzi sembrano ingigantite anche per le conseguenze della guerra aperta dall’aggressione russa all’Ucraina. Con la ripresa avviata già nell’ultimo trimestre del 2021 la salita dei prezzi aveva assunto valori oltre i livelli di sicurezza. A quel punto il timore di un calo della crescita del Pil mondiale è divenuto certezza. Le previsioni per il 2022, corrette al ribasso ad aprile, a luglio e infine ad ottobre 2022, mostrano un tasso di incremento ridotto al 3,2% e quelle per il 2023 al 2,7%, ma nel’Ue allo 0,5%. Lo scenario economico è dominato dagli sviluppi della combinazione fra salita dell’inflazione e proseguimento della guerra russo/ucraina.
Il conflitto Russia/Ucraina
Il conflitto si è rivelato ben diverso dalle previsioni: la durata si allunga e l’intensità cresce. Quella che sembrava una guerra lampo, come quella del 2014, è divenuta un conflitto convenzionale, per molti aspetti simile alla parte finale della seconda guerra mondiale e minaccia gli equilibri generati dalla fine della guerra. Muta il quadro dei rapporti fra i principali Paesi con il superamento della globalizzazione su basi multilaterali e il formarsi di un potere mondiale diffuso ed esteso a nuovi protagonisti. Le grandi economie emergenti come Cina, India e la stessa Russia seguono linee strategiche venate da un imperialismo che si riteneva tramontato con la caduta del comunismo e degli imperi coloniali. Gli schieramenti all’interno dell’Onu appaiono fluidi con inedite aggregazioni che ricordano i “Paesi non allineati” al tempo della guerra fredda. Ma la guerra in Ucraina è diversa anche per la forte connotazione economica che assume con le sanzioni da parte dell’Occidente e le ritorsioni da parte russa. Lo strumento delle sanzioni/ritorsioni difficilmente risulta decisivo e, comunque, espone tutti a perdite economiche. L’economia mondiale, dopo decenni di globalizzazione è più interconnessa e non si adegua alle rigide regole sanzionatorie. Rimangono tacitamente attive soluzioni empiriche che limitano i danni. Tutto ciò si rende evidente con gli scambi di prodotti energetici o di altre materie prime come quelle agricole, cereali e oleaginose, ma anche di semilavorati o prodotti finiti.
Il ritorno dell’inflazione
La risalita dell’inflazione è stata avvertita prima nelle economie avanzate, iniziando dagli Usa giunti al 12%, e poi anche in alcune emergenti. L’auspicato rialzo del tasso fino al 2% in breve è stato superato e i diversi Paesi hanno messo in atto contro misure per frenare la corsa dei prezzi e contenerne gli effetti. Misure non drastiche per evitare il rischio di una nuova crisi. Gli interventi pubblici di sostegno hanno dovuto essere dosati con estrema attenzione a causa del loro costo e dell’ulteriore impatto sul debito pubblico. La principale leva utilizzata è stato l’innalzamento dei tassi di interesse per ridurre la liquidità favorita dai loro livelli molto bassi. Ad una politica maggiormente energica della Federal Reserve Usa, con 4 incrementi da 0,75% ed uno da 0,5% nell’anno, ha fatto riscontro una più prudente della Bce che è arrivata al 2.0% a novembre 2022. Nel quarto trimestre 2022 si manifestano segni di rallentamento dell’inflazione a partire dagli Usa e poi anche in alcuni Paesi dell’area euro, come Germania, Spagna e la stessa Italia. Da noi, dopo l’impennata di ottobre, con la rilevazione di novembre la dinamica di crescita su base annuale sembra ferma all’11,8% e allo 0,5% sul mese precedente. Al di sopra del dato medio si collocano i prodotti energetici con un incremento del 70% circa e gli alimentari al 13,6%. L’indice di quelli non lavorati è in calo mentre è in crescita quello degli alimentari lavorati. L’inflazione acquisita per il 2022 a novembre è pari all’8,1%.
L’agricoltura e la lotta all’inflazione
È ancora vivo il ricordo della dura lotta all’inflazione a due cifre negli anni ‘70/’80. Poi sopraggiunsero i tempi del “tasso zero sugli interessi” e del denaro a basso costo. Entrambi hanno lasciato un ricordo indelebile e inducono a riflettere su due aspetti: da un lato il sistema economico ha bisogno di beni da trasformare e capitali da investire nei processi produttivi per dare corpo alla ripresa. Dall’altro l’enorme dimensione assunta dal debito pubblico italiano anche per contrastare gli effetti sanitari ed economici della pandemia e pari a circa 2.550 miliardi e al 160% del Pil. L’espansione del debito ha dilatato la quantità di denaro disponibile a tassi molto bassi e messo in secondo piano che anche la disponibilità di denaro, come di ogni altro bene, ha un costo. La risalita dei tassi per frenare l’inflazione oltre a incidere sui prezzi di beni e servizi, fa salire il costo del denaro da investire e per ripianare il debito. Occorre evitare una stretta dell’economia che conduca alla stagflazione cioè l’associazione di inflazione e stagnazione. Il momento critico sarà fra la fine del 2022 e i primi mesi del 2023, quando si metteranno a punto strategie e strumenti per affrontare una situazione inedita.
Dal rischio stagflazione e dal vincolo dell’inflazione si può uscire solo con incrementi di produttività delle attività economiche, quelle che conducono ad ottenere beni reali da vendere sul mercato. In quest’ottica il settore agricolo, forse più di ogni altro, può costituire un elemento di forza. È per questo che deve essere messo in condizione di produrre di più, meglio e con incrementi di produttività cioè riducendo i costi unitari di produzione per poter avere i margini per fare fronte ai maggiori costi monetari dei mezzi di produzione.
Perché ciò avvenga è necessario disporre di innovazione, di mezzi tecnici adeguati e di investimenti mirati.
Il futuro, compresa la transizione “green”, va affrontato con realismo e “con i piedi per terra”. Non si può permettere che avvenga il bis della crisi energetica. L’agricoltura parte con un vantaggio: può produrre ciò che ci serve e che sappiamo trasformare e vendere, addirittura recuperando la produttività persa negli ultimi anni. Il futuro è nelle nostre mani.