Diecimila anni fa la nostra specie inizia a passare da un’alimentazione basata sulla caccia e sulla raccolta a una dieta con un progressivamente sempre più alto contenuto di cereali: riso in Asia orientale, mais nelle Americhe e frumento con altri cereali nel Vicino Oriente, Fertile Mezzaluna e Bacino del Mediterraneo. L’alimentazione italiana antica è dominata da tre divinità Cerere, Bacco e Atena che presiedono cereali, vino e olio, cardini di una Dieta Mediterranea sempre menzionata e celebrata, quanto al tempo stesso dai più dimenticata se non tradita, come dovrebbe insegnare la dilagante obesità. In questo ampio quadro, quale il ruolo dei cereali?
Nel passato i cereali hanno un ruolo di primo piano nell’alimentazione degli italiani, con diversità regionali molto importanti. Non solo per quanto riguarda i tipi di frumento, grano duro nel meridione e grano tenero nel settentrione, ma anche per gli altri cereali e pseudo-cereali (grano saraceno), mentre in cucina prevale la distinzione di uso tra i grani grossi e i grani minuti. I primi sono costituiti da frumento, segale, orzo, spelta, farro e poi triticale, i secondi sono il miglio, panico, sorgo o saggina o melica. La coltivazione è mista, nel senso che vi sono campi coltivati a grani grossi e altri a grani minuti perché in questo modo si contrastano le infestioni parassitarie e in qualunque condizione vi è sempre un raccolto soddisfacente. Diversa è la destinazione del raccolto: quello a grani grossi è soprattutto avviato alla panificazione e alla preparazione di paste, mentre quello a grani minuti, in associazione a grani di leguminose coltivate soprattutto ma non solo negli orti (fave, ceci, veccia, piselli, fagiolo dell’occhio), serve per preparare zuppe e pultes, da qui polente, come avviene quando dopo il 1492 dalle Nuove Indie arriva un nuovo cereale, un grano grosso o “turco” che non si presta a fare pane e soprattutto pasta. Lo stesso avviene per il riso che arriva dalla lontana Asia e nel 1468 inizia a essere coltivato in Italia e viene destinato a fare risotti.
Facendo un salto nel tempo, oggi in Italia i cereali, diversamente dal passato, sono in gran parte (fino al 70%) utilizzati per l’alimentazione animale e in piccola quantità come biocarburante. La quantità di cereali consumati annualmente e direttamente dagli italiani è oggi di circa 145 chilogrammi schematizzabili come segue. Di grano in Italia se ne consumano mediamente 134 chilogrammi testa all’anno, di cui 127 di grano duro destinato alla produzione di pasta e i restanti 7 chilogrammi prevalentemente per pane e dolci. L’Italia è una forte produttrice di riso ma il consumo è di poco più di 5 chilogrammi a testa. Il mais ha un consumo di 234 chilogrammi pro-capite ma solo apparente, perché destinato ad alimentare animali produttori di alimento per l’uomo, che direttamente consuma soltanto un litro di olio di mais e altre limitate quantità di amido e sciroppo. In modo analogo i consumi alimentari di orzo sono destinati alla produzione di bevande alcoliche (birra, whisky). L’avena, una volta destinata all’alimentazione dei cavalli, e la segale hanno ora un impiego molto marginale nell’alimentazione umana italiana. Altrettanto marginale è l’uso degli pseudo-cereali, tradizionali di aree povere.
Quale futuro di un’alimentazione cerealicola italiana? Da un punto di vista complessivo oggi la dieta media degli italiani comprende cereali per circa milleduecento chilocalorie, circa la metà di quella normalmente accettabile e sono solo prevedibili spostamenti all’interno del comparto. Pur con tutte le cautele di ogni profezia si possono tentare le seguenti previsioni, nelle quali grande importanza hanno la cucina familiare, artigianale ma soprattutto industriale che fornisce componenti culinarie.
Nel quadro globale dei cereali alimentari è auspicabile un aumento della fibra alimentare, oggi assolutamente insufficiente per una buona nutrizione, quindi un ricupero di ricette d’uso antico di farine meno raffinate. Allo stesso modo vi potrebbe essere un aumento degli pseudo-cereali privi di glutine e loro uso in cucina, se venisse confermata l’attuale incidenza della celiachia nella popolazione italiana. Considerando i diversi cereali, la quantità di grano duro oggi consumato, in leggero calo rispetto a qualche anno fa, si manterrà stabile anche supportata dalla inventiva dei cuochi nell’uso della pasta, dalla industria dei sughi pronti e dalla diffusione di nuove forme d’uso, come quella del cuscus, pizze di farina di grano duro ecc. Per il grano tenero, di cui si lamenta una diminuzione nel consumo di pane, di pari passo continueranno ad aumentare i prodotti da forno di farina di grano tenero, artigianali e industriali, lievitati e non, dolci e salati, semplici e variamente addizionati. Un aumento dei consumi di riso si potrà avere mantenendo la loro precottura (riso parboiled) e soprattutto anche in Italia con la produzione e la diffusione di nuove varianti, non solo di tipo agronomico (minore bisogno di acqua ecc.) ma di tipo cuciniero e gastronomico per aroma e colore, adeguato anche alle nuove forme di cucina asiatiche che stanno entrando in Italia e che non mancheranno di diffondersi. Non prevedibile è un aumento dell’odierno minimo consumo diretto del mais, mentre si può pensare all’incremento di un consumo indiretto di orzo per il fenomeno oggi in espansione delle birre artigianali di alta qualità.
Tutti mutamenti quelli ora tratteggiati diversi di quelli del passato quando è la produzione articola che determina il consumo, mentre oggi e soprattutto domani sono l’industria alimentare e gli utenti finali, cuochi e consumatori, che determinano il tipo di alimento e la sua quantità di uso.