Quante volte nella storia dell’uomo sono state fatte importanti scoperte solo casualmente. Probabilmente è successo così anche quando qualcuno ha osservato che i polli nella cui dieta erano compresi i noccioli residui della lavorazione dei datteri di palma erano molto meno sensibili all’azione tossica delle aflatossine.
A questo proposito, vale la pena di segnalare l’interessante articolo di Alharthi et al. dell’Università di Riyadh (Agriculture 2022, 12(4): 476) dal titolo “Protective effect of date pits on growth performance, carcass traits, blood indices, intestinal morphology, nutrient digestibility and hepatic aflatoxin residues of Aflatoxin B1-exposed broilers”.
Le aflatossine sono micotossine che possono colonizzare le granaglie e la frutta secca e trasferirsi alle loro farine. Sono fra le sostanze cancerogene più potenti e diffuse, cui i gallinacei sono particolarmente sensibili, per cui non è difficile che il problema si possa presentare negli allevamenti. Fra le varie aflatossine, la B1 è la più frequente e la più tossica per i polli. Causa importanti danni epatici con alterazioni funzionali di questo organo. Ne conseguono danni a livello produttivo quali la compromissione della crescita, il peggioramento della qualità della carcassa, la riduzione delle difese immunitarie, l’aumentato tasso di mortalità. I tessuti edibili degli animali malati costituiscono un serio pericolo per la salute umana.
La farina di noccioli dei datteri di palma (date pit meal) è un sottoprodotto dell’industria di lavorazione dei datteri che da qualche anno viene usata come ingrediente alimentare nel mangime dei polli. In effetti le conoscenze delle sue caratteristiche e proprietà erano molte limitate. Da qui lo studio sopra citato che è partito dalla considerazione che il prodotto è ricco di polifenoli, possibili protezione dalle aflatossine.
La prova è stata condotta su broiler Ross 38 e progettata con 6 trattamenti: 3 trattamenti con mangime contaminato con aflatossina B1 e 3 con mangime non contaminato. Con l’eccezione delle due diete di riferimento, una contaminata ed una non contaminata, alle altre è stata aggiunta la farina di noccioli di datteri al 2% o al 4%. I risultati sono stati chiaramente indicativi. Gli animali alimentati con le diete inquinate e prive di farina di noccioli di datteri mostrarono in misura significativa consumi alimentari più bassi, ridotti accrescimenti e carcasse di cattiva qualità. L’altezza e la superficie dei villi intestinali risultarono ridotte a livello della mucosa ileale. Anche i coefficienti di digeribilità della proteina grezza, dei lipidi, e dell’energia metabolizzabile risultarono compromessi.
Attraverso la misura degli enzimi antiossidanti e della capacità totale antiossidante si è potuto dimostrare che la presenza di aflatossina B1 nel mangime aumentava lo stress ossidativo cellulare attraverso l’aumento delle reazioni di perossidazione lipidica. La ridotta azione antiossidante degli enzimi a questo deputati (superossido dismutasi e glutatione reduttasi) è stata attribuita alla minore attività di biosintesi proteica.
Più in particolare, a livello epatico il mangime contaminato ha determinato le ben note conseguenze di rallentare il ritmo metabolico dei lipidi, dei carboidrati e delle proteine. La formazione di metaboliti secondari ha portato alla formazione di tumori. Tutto ciò non si à verificato in presenza dei noccioli di datteri nel mangime.
In conclusione, prodotti industriali considerati materiale di scarto con problemi di smaltimento possono avere ancora qualche valore se inclusi nei mangimi.
La popolazione mondiale aumenta, e con essa il fabbisogno alimentare. Anche il riscaldamento globale sembra inarrestabile. Pertanto gli sforzi verso forme sostenibili di produzioni alimentari son vitali.
Peccato che la zona di produzione dei datteri e, quindi, la disponibilità dei noccioli, siano geograficamente limitate.