Alcuni appunti sul disegno di legge n. 1050 (Camera dei deputati) recante “Disposizioni per il contenimento del consumo del suolo e la tutela del paesaggio”

di Luigi Costato
  • 29 July 2015
1. Il fatto che un ramo del Parlamento prenda in considerazione la necessità di intervenire sul “consumo del suolo” non può che essere visto, prima facie, con piacere da chi si preoccupa dell’agricoltura nazionale, che combatte una battaglia difficile per assicurare la permanenza in Italia di una agricoltura efficace, performante e in grado di tenere alta la reputazione che il nostro agroalimentare si è conquistato con secoli di eccellenza.
Ben venga, dunque, una legge che garantisca il mantenimento di quanto resta ancora disponibile di suolo agricolo; ma, anche se l’interesse per il paesaggio non può che essere condiviso, occorre non  cadere nella trappola, da tempo realizzata con la riforma della PAC, di mescolare una cosa con l’altra dimenticando che il paesaggio rurale  è stato creato dagli agricoltori in secoli di lavoro, e che la maggiore garanzia per il suo mantenimento consiste nell’incoraggiare chi coltiva a continuare a fare il suo lavoro, ovviamente applicando pratiche compatibili con la protezione dell’ambiente e della salute. 

2. Passando a esaminare la motivazioni anteposte al disegno di legge, tuttavia, si nota che, dopo aver ricordato alcune fondamentali sentenze della Corte costituzionale, si pone l’accento su “recente Rapporto sul benessere urbano” redatto dall’Istituto di statistica nel 2013 e, più avanti, si lamenta il rischio di “cancellare paesaggi storici che hanno formato il vanto della cultura italiana del territorio”, senza far cenno al settore primario, che ha costruito, in larghissima misura, quei “paesaggi”.
Dopo aver ricordato il grave dissesto idrogeologico, senza segnalare che esso è causato dall’abbandono dell’agricoltura marginale ricavata nella poverissima Italia dei secoli scorsi, finalmente si arriva a nominare l’agricoltura produttiva, anche se evidenziando il non particolare interesse a essa riservato. Infatti, la relazione ricorda che “non sono da sottovalutare (ma neppure da considerare con eccessivo interesse?), inoltre, gli effetti che una riduzione del suolo agricolo determina in termini dell’indipendenza alimentare, con l’inevitabile importazione da paesi esteri e conseguenze negative sia in termini d’inquinamento da trasporto (l’ispiratrice di questa frase è evidente) sia in termini di qualità degli alimenti stessi”.
Ma la relazione passa oltre, evidenziando la crisi edilizia e altri eventi che poco hanno a che fare con l’agricoltura. 
In definitiva, l’agricoltura sembra in certo modo marginale nel pensiero dei presentatori del disegno di legge, e la protezione delle zone rurali sembra realizzabile attraverso “l’assunzione di responsabilità” di “ampliare le categorie dei beni paesaggistici vincolati includendovi anche le aree agricole nella convinzione che la tutela sia lo strumento fondamentale per ricostruire l’unitarietà del paesaggio e nel contempo il ruolo del governo pubblico del territorio”.
 
3. Passando a esaminare l’articolato, quanto all’art. 1 si può, rinviando alla lettura del suo testo, valutarlo, pur con moderazione, positivamente. Esso considera con attenzione l’agricoltura, anche se preferisce fare richiami alla Convenzione europea sul paesaggio tralasciando un qualsiasi cenno all’agricoltura produttiva
L’art. 3 appare preoccupante, poiché prevede che la “perimetrazione” delle aree agricole sia fatta dai Comuni, cui va ascritta la responsabilità di avere promosso, salvo rarissime eccezioni, proprio la cementificazione massiccia. E’ pur vero che il comma 5 dell’articolo in questione stabilisce che le trasformazioni urbanistiche che prevedano consumo del suolo sono ammesse solo all’interno delle aree urbanizzate, come definite dal comma 1, ma è lecito sospettare che i Comuni avranno la tendenza a considerare aree urbanizzate, nella loro determinazione, quanto più spazi sarà loro possibile,  ben oltre quanto lo spirito della legge sembrerebbe volere.
La preoccupazione è confermata dall’art. 5 che, al comma 3, prevede l’espansione urbanistica urbana, pur circondandola di garanzie meramente formali quali la motivazione.
Sicuramente l’art. 6 cerca di contenere l’espansione urbana e prevede il recupero preventivo degli immobili e infrastrutture esistenti, ma non può, né sarebbe logico pretenderlo, ingabbiare l’urbanizzazione nello status quo; consentendo l’espansione al comma 3, si compie una operazione ragionevole, in teoria, contando però, ottimisticamente, sull’effetto deterrente determinato dalla compressione dei vantaggi assegnati ai Comuni dall’urbanizzazione (vedi norme seguenti).
Dopo molti articoli dedicati al riordino delle regole interne al territorio urbanizzato, il disegno di legge passa a occuparsi, nell’art. 14, comma 1, dei “territori non urbanizzati” (perché mai non denominarli agricoli? Forse proprio perché l’eccezione è la non urbanizzazione?) attribuendo alle Regioni il compito di pianificare l’uso del territorio in questione, autorizzandole a stabilire regole stringenti per le edificazioni in quelle zone, prevedendo la loro limitazione allo stretto necessario per “l’esercizio dell’attività agro - silvo – pastorale”. Più positivamente va valutato il comma 2 dello stesso articolo, che impone la conservazione della destinazione tradizionale alle proprietà collettive, e della norma si sentiva il bisogno visto le frequenti deviazioni dalla tradizione e la possibilità riconosciuta, ad esempio,  ai Partecipanti di Cento, di costruirsi la casa su un terreno che, tradizionalmente, doveva essere assegnato loro per sorteggio temporaneamente. 

4. Il disegno di legge non sembra distaccarsi troppo dalla PAC, anti produttivistica e con un decoupling legato a vincoli ambientali e paesaggistici. 
Certamente è apprezzabile lo sforzo di intervenire per ridurre l’espansione urbana, che nella pianura padana, il territorio più fertile del Paese, ha toccato vertici inauditi, con la perdita definitiva all’agricoltura di oltre il 30% del territorio, anche se dal testo del disegno di legge traspare chiaramente l’idea della marginalità dell’interesse verso l’agricoltura.
Occorre che, finalmente, oltre alle molte parole che si spendono sull’agro alimentare italiano, si cominci ad agire perché esso mantenga una base produttiva delle materie agricole in Italia. La sapienza dei nostri trasformatori riesce ancora a mantenere un eccellente capacità di affermarsi nel mercato globalizzato, ma se si continua a disincentivare l’attività primaria essi dovranno incrementare di anno in anno l’acquisto delle materie prime agricole fuori d’Italia, e questo sarebbe un danno gravissimo.


A few thoughts on Bill no. 1050 (Chamber of Deputies) on "Measures to control land-take and protect the landscape"

The fact that a branch of Parliament has taken under consideration the need to intervene in the issue of “land-take” can only be looked on favorably by those concerned with our nation’s agriculture. We are fighting a difficult battle to ensure that Italy’s agriculture remains effective, efficient, and able to uphold the reputation that our agricultural and food industry has won through centuries of excellence.
A law that guarantees the preservation of the agricultural land remaining is welcomed. However, even if interest in maintaining the landscape is shared, steps must be taken not to fall into the trap set by the Common Agricultural Policy (CAP) reform that muddles one thing with another. It forgets that the rural landscape has been created over the centuries by farmers working in the fields and that the greatest guarantee for its preservation is to encourage farmers to continue their work, obviously using practices that safeguard the environment and health.