L’andamento climatico degli ultimi anni, caratterizzato da precipitazioni ridotte, anche nel periodo invernale e primaverile, quando normalmente si registra il picco delle piogge e mal distribuite (forti temporali alternati a lunghi periodi siccitosi) e da elevate temperature (ogni anno viene registrato un nuovo record) ha notevolmente influenzato la fisiologia delle piante, soprattutto di quelle messe a dimora in ambienti avversi come quelli urbani e ha causato la morte o, comunque, un forte stato di stress sia in piante affermate, sia, soprattutto, nei nuovi impianti.
Ricerche condotte sull'attecchimento delle piante in ambiente urbano hanno dimostrato che, anche in condizioni normali, circa il 10% di queste muore nel primo anno dopo l'impianto (ma in alcuni paesi questa percentuale può arrivare al 20%). Ci sono, inoltre, evidenze sperimentali dalle quali è emerso che la percentuale di piante morte può essere elevata anche nel secondo anno a causa di un ulteriore stress a cui sono sottoposti gli individui che già erano deperiti l'anno precedente. Questo accade soprattutto in corrispondenza del germogliamento dell’anno successivo.
Tuttavia, in caso di prolungati periodi di siccità e di temperature elevate, si può verificare, come detto, anche la morte delle piante già affermate. Per quanto riguarda le alte temperature, questo è un tipo di danno che si manifesta alquanto frequentemente in ambiente urbano, soprattutto a causa della presenza di asfalto che contribuisce ad aumentare notevolmente la temperatura (in genere la media annuale è superiore di 0.8-1.5°C). Come è noto, la maggior parte delle radici sono nei primi 40-50 cm di suolo; queste radici sono molto sensibili alla perdita di turgore e il loro disseccamento determina un’ulteriore riduzione dell’assorbimento di acqua e nutrienti dal terreno, che non solo influenza la stagione in corso, ma riduce anche la produzione di gemme vegetative per l’anno successivo.
Negli anni appena passati, questo fenomeno, insieme alla limitazione delle risorse idriche disponibili, ha determinato notevoli cambiamenti sulla fisiologia delle piante: minor assorbimento dei nutrienti, ridotti scambi gassosi e, soprattutto, ha innescato un feedback negativo che ha provocato un indebolimento generale che non solo ha ridotto la crescita delle piante, ma le ha esposte all’attacco di parassiti di origine animale e vegetale.
Le alterazioni evidenziate, in tutta Italia, ma in particolar modo nelle regioni centrali, hanno causato, in una percentuale di casi che è da considerarsi del tutto anomala, la morte della pianta. È purtroppo probabile che lo stress patito, si possa ripercuotere anche nelle stagioni successive con la morte di alcune piante che, pur avendo subito un fortissimo stress, non erano morte durante il periodo di siccità, ma avevano subito danni ingenti.
L’agente principale che può determinare la morte delle piante nell’anno successivo a quello siccitoso è, in certi casi la Verticillosi (Verticillium spp.). I funghi appartenenti al genere Verticillium attaccano il sistema vascolare, soprattutto di piante sottoposte a vari tipi di stress tipici dell’ambiente urbano, incluso quello idrico, e determinano la morte quasi istantanea della pianta o di parti di essa e la loro presenza è fortemente correlata allo stato di salute della pianta. Alcune specie, come il Lauroceraso (Prunus laurocerasus), Aceri (Acer spp.), sono particolarmente suscettibili a questi funghi.
Per questo genere è particolarmente importante la selezione di specie e/o varietà più tolleranti attacchi del Verticillium. L’esempio classico è l’acero riccio o norvegese (Acer platanoides), del quale esistono varietà tolleranti come la ‘Columnare’ o la ‘Parkway’, alcune mediamente tolleranti come ‘Emerald Queen’, ‘Schwedleri’, ‘Summershade’ o la ‘Superform’ e altre alquanto suscettibili come la ‘Cleveland’, ‘Crimson King’, ‘Globosum’, ‘Greenlace’ e ‘Royal Red’. I danni evidenziati sono infatti, risultati molto variabili e riconducibili al diverso patrimonio genetico.
Le alterazioni a livello della chioma della pianta si sono manifestate con la presenza di ustioni e la caduta precoce delle foglie in estate, morte dei rami e delle branchette più esterne e, in certe specie più sensibili, con formazioni di spaccature sul tronco. Lo stato di stress generale ha portato, in certi casi (dopo le piogge di settembre) alla nuova emissione di foglie e anche di fiori nel tardo autunno con tutte le conseguenze negative del caso. Nelle zone del tronco più esposte al sole, è stato possibile evidenziare anche la presenza di un pigmento rosso - l'eritrocina - che agisce a mo' di schermo nei riguardi dell'insolazione. Successivamente in questa zona si sono spesso formate spaccature e cancri sulla corteccia.
I danni causati dalla siccità potrebbero essere stati, inoltre, maggiori a causa del contemporaneo innalzamento del livello di ozono nell’atmosfera. Recenti evidenze sperimentali hanno infatti ipotizzato che gli alberi sono più suscettibili alla siccità in presenza di elevati tenori di ozono atmosferico.
In conclusione, è possibile affermare ormai stagioni particolarmente siccitose non sono da considerarsi “eccezionali” e ciò determinerà danni la cui entità non è, probabilmente, ancora del tutto quantificabile, a causa dei processi degenerativi innescati dallo stato di stress i cui effetti potrebbero essere palesi solo fra qualche anno.
Ciò suggerisce l’opportunità di pianificare una gestione delle aree verdi (soprattutto delle specie arboree di prima e seconda grandezza) che tenga conto di questi effetti e che preveda un monitoraggio accurato dello stato fitosanitario delle piante in generale e della stabilità strutturale degli alberi in particolare.