Guerre o cibo: un'alternativa intollerabile

di Luigi Costato
  • 10 June 2015
Pare a me che, tenuto conto degli sconvolgimenti ribellistici che assillano il medio oriente e parte dell’Africa, coinvolgendo l’intero globo, sarebbe più che opportuno che il sistema produttivo agricolo europeo – e quello di altri Paesi sviluppati - fosse incentivato e sostenuto, al fine di poter rendere abbondante l’offerta delle materie prime che servono a dare cibo a tutti. Occorrerebbe, dunque, rifarsi al “comune sentire”, che coincide anche con la necessità di dare risposte vere a problemi che non possono essere risolti con la violenza.
Infatti, se si esamina la situazione, si può costatare che si passa dalle bombe sull’Iraq e sulla Siria alle pseudo rivoluzioni democratiche dell’Egitto e della Tunisia, causate non tanto dalla voglia di libertà quanto dall’aumento del prezzo del grano dovuto alla chiusura delle esportazioni russe nel 2010, causata da un devastante incendio delle pianure cisuraliche. A ciò si aggiungano le carneficine che si compiono in Libia e nel così detto Califfato islamico, che prospera su un terreno di cultura fatto di povertà e d’ignoranza, e la disperazione di Eritrei e Somali e si avrà, unitamente alle vicende nigeriane, un quadro tragico della situazione in una parte importante del mondo. 
La risposta alle turbolenze mediorientali e alle minacce alla sicurezza degli Usa e, in misura minore, dell’Europa consiste, di fatto, in un male minore (repressione e le tecniche adottate a Guantanamo nei confronti di presunti attentatori) rispetto al peggiore (pericolo che gli attentati si diffondano nei Paesi sviluppati, e sfuggano al controllo). Ignatieff, esperto di diritti umani e politico canadese, prendendo le mosse dagli attacchi terroristici del XXI secolo, riconosce la necessità di violare alcuni diritti essenziali per proteggere l’interesse dello stato, inteso come interesse generale. In epoche in cui il pericolo di attentati è fortissimo, egli, e con lui molti statunitensi, sembrano non comprendere la difficoltà di individuare quale sia il limite di questa scelta “meno malefica” e l’estrema rilevanza del problema di individuare chi abbia potere, facoltà e legittimità di scegliere.
A ben vedere, questa soluzione presenta delle difficoltà difficilmente sormontabili poiché, solo ricordando esempi recenti, i prigionieri di Guantanamo hanno subito torture, anche con effetti mortali, e un regime di costrizione che sarebbe stato essenziale per la sicurezza degli USA, in conformità a scelte, con ogni evidenza sbagliate, compiute da soggetti che hanno agito al di fuori, anzi, contro la legge, senza dovere rispondere delle loro azioni ad alcuno.
Com’è stato osservato, “elevando gli omicidi mirati (…) a standard legali e morali accettabili, essi diventano parte delle azioni legali dello Stato, parte di una lista di tecniche di controterrorismo, con la conseguenza che qualsiasi senso dell’orrore verso l’atto dell’omicidio viene perso”. Né il fatto che Ignatieff consideri queste azioni come un bilanciamento rispetto agli atti di terrorismo, e che ritenga necessario, a differenza dell’esempio prima fatto su Guantanamo, che il regime da lui proposto debba essere sottoposto a un dibattito pubblico preventivo sembra rendere comunque accettabile l’omicidio o le torture di Stato; come d’altra parte non lo è la condanna a morte, strumento, formalmente legale ancora in molti stati, anch’esso adottato per l’eliminazione di soggetti ritenuti talmente pericolosi per la società da giustificare il “male minore” complessivo costituito dalla loro eliminazione fisica.
La risposta europea manca totalmente e i tentativi fatti non dall’Europa ma dal Cancelliere tedesco e, talvolta, dal presidente della repubblica francese per ora non danno risultati in un'altra zona critica, l’Ucraina. Altrove, il gigante economico della moneta unica (quasi per tutti i suoi membri) non esiste proprio in politica estera, e le vicende di Mare nostrum e Frontex dimostrano l’impotenza delle soluzioni adottate, sempre perché si vuole scegliere il “male minore”, che finisce per essere solo un colossale pasticcio, quasi un incentivo ai migranti a rischiare la vita nella traversata del Mediterraneo per essere “accolti” (termine palesemente eufemistico) in Italia per fuggirsene presto altrove.
Al contrario, si dovrebbe scegliere il bene, e cioè riprendere la politica estera degli anni ’80 e ’90 del secolo scorso inviando cibo e sostegni medici e culturali nei territori ora colpiti dalla guerra; non v’è dubbio che, se ciò si fosse fatto prima che si fosse arrivati a questo punto, le soluzioni sarebbero più semplici. Tuttavia, non si vede altra soluzione possibile, non essendo certo che continuando a fornire armi a destra e a manca, anche a presunti amici che possono passare dalla parte opposta da un momento all’altro, che si può sperare di avviare a soluzione un problema che interessa milioni e milioni di persone, sia quelle coinvolte in conflitti sia quelle indotte dalla fame a fuggire dalle loro terre per rifugiarsi in territori ritenuti più ospitali.
In conclusione, la riforma della PAC del 2003, sempre peggiorata successivamente, anche se apparentemente migliorata nella più recente versione, dovrebbe essere abbandonata per tornare a fare dell’Europa uno dei granai del mondo; così facendo si rispetterebbe il trattato sul funzionamento dell’Unione, che la vigente PAC viola grossolanamente, e si potrebbe riprendere la politica degli aiuti  e delle esportazioni sovvenzionate, vietate a seguito dell’accordo agricolo di Marrakech che, tuttavia, doveva essere rinnovato da almeno 10 anni. Il negoziato, al contrario, langue, sicché ben si potrebbe, almeno per i territori più colpiti dalla povertà, riprendere una politica generosa e utile a tutti, noi compresi. 
 

War or Food: an unbearable alternative

The PAC reform of 2003, worse in each successive version, even if apparently better in its most recent rewrite, should be abandoned to let Europe once again  become one of the granaries of the world; in this way the agreement regarding the one of the important functions of the European Union, which the current PAC grossly violates, would be respected. Consequently, a policy of aid and assisted exportation could once again be  undertaken, forbidden after the Marrakech agricultural agreement (10 years overdue for review). On the contrary, the treaty sits idle instead of enabling, at least for the areas most affected by poverty, the renewal of a generous policy which would be useful to all, ourselves included.