Dottoressa Mammuccini, il recente rapporto Onu “Global Land Outlook 2” sull’uso del suolo, lancia un chiaro allarme e sottolinea il ruolo, tutt’altro che positivo, del sistema della produzione alimentare sul degrado delle terre. Ad oggi, l’uomo avrebbe alterato il 70% del suolo su cui ha messo piede e ne avrebbe degradato fino al 40%, in tanti modi: la deforestazione, l’agricoltura intensiva, gli incendi, il consumo di suolo, l’inquinamento chimico, le guerre, la costruzione di infrastrutture. Ma senza un suolo sano non si può produrre alimenti. Siamo veramente a un punto di non ritorno?
Senza un suolo sano non c’è agricoltura. Nel momento in cui la crisi internazionale mette al centro il tema dell’approvvigionamento del cibo, occorre riportare l’attenzione su questa risorsa necessaria e non rinnovabile da cui dipende oltre il 95% della produzione agroalimentare. Il suolo è fonte di vita. Rappresenta una risorsa preziosa dove si concentra il 90% della biodiversità del pianeta in termini di organismi viventi. Senza un suolo sano non è possibile avere cibi sani e acqua pulita.
Il suolo impiega fino a mille anni per rigenerare la fertilità persa per inquinamento o desertificazione e la FAO avverte che la vitalità del suolo, che si traduce soprattutto nella presenza di miliardi di microrganismi per centimetro quadrato, è messa a rischio anche dalle sostanze chimiche di sintesi utilizzate in agricoltura.
A questo proposito nell’ultimo anno FederBio ha avviato una campagna di sensibilizzazione patrocinata dall’Ispra – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – che ha attraversato l’Italia per verificare il contenuto di sostanze chimiche di sintesi nei campi coltivati, mettendo a confronto suoli convenzionali con suoli biologici. Da nord a sud sono stati analizzati 12 terreni agricoli convenzionali comparandoli con altrettanti suoli biologici contigui e adibiti alle stesse colture, in un monitoraggio a carattere dimostrativo.
I risultati della campagna dimostrano che i campi coltivati con il metodo biologico in termini di residui di sostanze chimiche sono decisamente migliori rispetto a quelli coltivati in convenzionale a conferma che il bio è un metodo di produzione che contribuisce alla tutela del suolo e della biodiversità. Per questo è importante non solo far crescere i terreni coltivati con il metodo bio ma anche diffondere le pratiche agroecologiche di cura del suolo al resto dell’agricoltura supportando gli agricoltori nell’adozione di tali innovazioni.
I recenti eventi bellici hanno messo a nudo l'inadeguatezza del nostro sistema agroalimentare nel produrre a sufficienza e renderci più autonomi dalle importazioni. E' realizzabile, secondo Lei, la cosiddetta "intensificazione sostenibile", ovvero incrementare le produzioni per soddisfare la crescente domanda di cibo, ma riducendo gli impatti ambientali dei processi e aiutare anche la sostenibilità economica e sociale delle imprese? Che ruolo possono avere in questo percorso la ricerca e l'innovazione?
Il modello di agricoltura intensiva è andato in crisi ben prima della guerra in Ucraina creando un elenco lunghissimo di criticità: il consumo di suolo, il crollo della biodiversità, l’aumento delle emissioni serra, l’inquinamento delle falde idriche, la chiusura progressiva delle aziende provocata da un sistema di prezzi iniquo, l’abbandono delle terre. La crisi attuale non investe solo la quantità della produzione ma anche l’impennarsi del costo di pesticidi, concimi chimici ed energia che rischia di strangolare le imprese agricole. Per questo occorre accelerare sulla transizione ecologica per innovare il modello agricolo puntando sull’agroecologia e sullo sviluppo del biologico come indicato dalla strategia europea “Farm to Fork”. E per parlare con concretezza di autosufficienza alimentare occorre puntare su filiere alimentari nazionali al giusto prezzo e su sistemi locali di produzione e consumo di cibo a partire dall’esempio dei distretti biologici.
In questa fase, anche per superare l’eventuale differenziale di resa, è assolutamente necessario puntare su investimenti strategici in ricerca e innovazione. Per esempio la stessa agricoltura di precisione può essere uno strumento importante anche per incrementare le rese del bio, coniugando sostenibilità e innovazione. È fondamentale riportare gli agricoltori al centro della produzione del cibo e guardare alla sostenibilità per produrre non solo per l’immediato ma puntando a garantire la produzione di cibo anche per le generazioni future.
Dopo 15 anni di attesa, di battaglie e di discussioni, il 2 marzo scorso è stato approvato definitivamente, anche da parte del Senato, il Disegno di legge sulla “tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione biologica italiana". La legge ha lo scopo di disciplinare e organizzare il settore e stabilisce la formazione di un Tavolo tecnico per la produzione bio e l’istituzione di un marchio biologico italiano. Vengono inoltre previsti degli strumenti di programmazione, ricerca e finanziamento e la norma contiene anche indicazioni riguardo alle sementi, l’istituzione di un fondo per lo sviluppo della produzione e di un sostegno da parte dello Stato per la ricerca e per la formazione professionale degli operatori. Qual è il suo giudizio in merito? Soddisfatta o si sarebbe potuto fare di più?
Si tratta di un traguardo storico per il settore e di un passo importantissimo per l’intero Paese. l’Italia è tra i Paesi leader per la produzione biologica. E’ un primato conquistato grazie all’impegno di tanti agricoltori, spesso giovani, e di operatori della filiera che hanno creduto nella scommessa di conciliare il legittimo interesse d’impresa con il bene pubblico della difesa del suolo, della biodiversità e della salute dei cittadini. Oggi questo impegno viene finalmente riconosciuto con l'approvazione della legge sul bio. Inoltre la legge arriva in un momento strategico e consente anche all’Italia di allinearsi alle politiche Ue che, con il Green Deal, la strategia Farm to Fork e il Piano d’azione Europeo per il biologico, puntano a una crescita consistente del settore.
La normativa prevede strumenti importanti per lo sviluppo del settore come il marchio del “Made in Italy Bio” che può favorire la realizzazione di filiere di bio 100% nazionale e al giusto prezzo; il riconoscimento dei distretti biologici per territori dove il biologico è il modello di produzione di riferimento e che costituiscono un’opportunità strategica per le aree interne e le aree naturali protette. Inoltre la legge ha aperto la strada a innovazione, ricerca, formazione degli agricoltori per favorire la conversione al biologico, e a comunicazione e informazione dei cittadini per sostenere l’aumento dei consumi dei prodotti bio. Ora occorre dare gambe agli obiettivi stabiliti dalla legge, attraverso la definizione del Piano d’azione nazionale del biologico previsto sia dalla legge che dal Piano Strategico Nazionale della PAC, in un momento decisivo, visto che, a partire dalla fase attuale e fino al 2027, saranno messe in campo una notevole quantità di risorse per favorire lo sviluppo del biologico. Si tratta di investimenti importanti che complessivamente ammontano a quasi 3 miliardi di euro, considerando i finanziamenti contenuti nel Fondo per il biologico, nel PNRR e nel Piano Strategico Nazionale della PAC. E’ essenziale che queste risorse vengano spese bene, in maniera programmata e integrata, per garantire la crescita del settore.
L’intervista integrale a Mariagrazia Mammuccini sarà sul numero di settembre di “Babel”, rivista del COSPE (https://babel.cospe.org/)