La recente tragedia della Marmolada ha portato alla ribalta mediatica un tema che gli studiosi del clima già da molti anni stanno monitorando con preoccupazione. Aumento o perdita di massa per i ghiacciai sono infatti processi normali su scale temporali molto ampie, ovvero di secoli. Ma se le temperature crescono più rapidamente, come sta avvenendo da alcune decine di anni a questa parte, anche la velocità di fusione del ghiaccio aumenta, ed è questo il problema attuale. È da ricercare su questa linea il collegamento fra il distacco sul ghiacciaio della Marmolada e i cambiamenti climatici in corso. Ne parliamo con il professore Antonello Pasini, fisico del clima del Cnr.
Professore, alcuni hanno parlato di "tragedia «imprevedibile", almeno in queste dimensioni. Glaciologi, nivologi, volontari del soccorso alpino e habituée della Marmolada sembrano tutti d’accordo nel considerare il crollo del seracco di ghiaccio sommitale di Punta Rocca – che ha interessato la via normale sulla quale alcune cordate erano impegnate per salire – un evento fuori dalla portata di previsione di cui si dispone attualmente. Ma è davvero così?
Certamente, come per tutti i fenomeni fisici “a soglia”, anche un crollo di questo tipo non è prevedibile in maniera deterministica. Ciò significa che non siamo in grado di prevedere il distacco del seracco per una certa ora o neanche per un certo giorno. Questo non vuol dire, però, che non si possano prevedere le condizioni favorevoli a fenomeni di questo tipo. Nel nostro caso attuale, la poca neve invernale e il fatto che per il riscaldamento globale nevichi sempre a quote più elevate hanno fatto sì che questo seracco non sia stato protetto da uno strato di neve fresca, ma si sia trovato “nudo” a risentire della forte radiazione solare in un lungo periodo di “bel tempo”, con punte di temperatura giornaliera estreme, mai osservate a quelle quote, ma soprattutto con la persistenza duratura di un forte anticiclone africano che ha portato per almeno due mesi a temperature elevate. In queste condizioni, rotte alpinistiche generalmente sicure sono diventate pericolose. In inverno il Meteomont fa un ottimo lavoro di previsione delle condizioni di rischio per le valanghe. Io credo che ora, con l’aggravarsi del riscaldamento, occorra studiare a fondo le situazioni che si vengono a creare nel semestre caldo, affinché si possa arrivare a bollettini di quel tipo anche per la stabilità dei ghiacciai o almeno delle loro parti più a rischio. Ciò necessiterà di una stretta collaborazione tra scienziati ed esperti locali per il monitoraggio, anche con strumenti innovativi, e lo sviluppo di modelli di rischio.
Lei, assieme a molti altri climatologi, basandosi sui dati scientifici, ha evidenziato che già da tempo stanno accadendo analoghi fenomeni di scioglimento al Polo Sud e sulla costa della Groenlandia. Per non parlare delle ondate di calore, le bombe d'acqua, i prolungati periodi di siccità che inginocchiano l'agricoltura ... I cambiamenti climatici ci hanno ormai portato a un punto di collasso?
Ciò che osserviamo è che fino ad oggi la temperatura alla superficie del pianeta ha risposto in maniera tutto sommato graduale alle nostre perturbazioni. Solo da pochi decenni, poi, cominciamo a vedere un aumento di intensità (e qualche volta di frequenza) di alcuni eventi estremi. Ma il clima è un sistema complesso e, come in tutti i sistemi di questo tipo, può cominciare a rispondere in maniera più rapida al raggiungimento di determinate soglie. Ed è proprio questo che dobbiamo evitare perché, quando varchiamo una soglia di questo tipo, il sistema rischia di spostarsi rapidamente verso un nuovo stato di equilibrio, che potrebbe essere veramente deleterio per noi. Se, ad esempio, il terreno ghiacciato (permafrost) che si trova in Siberia e nella piattaforma continentale sotto l’Oceano artico cominciasse a deghiacciarsi, uscirebbe in atmosfera tutto il metano che ora vi è intrappolato in forma solida, la temperatura partirebbe verso l’alto in maniera repentina (il metano è un gas serra con un potenziale di riscaldamento molto maggiore di quello dell’anidride carbonica) e noi non avremmo più la possibilità di far nulla per fermare questo aumento. Ciò ci porterebbe a scenari catastrofici per l’umanità intera. Quindi la comunità scientifica, proprio con l’intento di evitare questi scenari, ha posto come obiettivo climatico di sicurezza quello di rimanere entro un aumento medio globale di temperatura di 1,5°C rispetto all’epoca preindustriale.
Nonostante i richiami e le dichiarazioni dell'IPCC, al momento non si vedono grosse inversioni di tendenza sulla produzione di gas serra da parte dell'uomo, a livello globale. Perché, secondo lei?
Ci sono interessi economici molto forti, sono richieste azioni i cui risultati non si vedono immediatamente ma nel lungo periodo (mentre i politici generalmente hanno presente solo l’orizzonte di una legislatura), si tratta di cambiare tutto un modello di sviluppo che si basa sui combustibili fossili e sul postulato economico della crescita infinita su un pianeta finito. E questa è solo una lista parziale di ragioni per la lentezza con cui si sta facendo qualcosa. Credo che le cose possano cambiare effettivamente solo con una consapevolezza diffusa del problema e con una forte spinta dal basso.
La tendenza climatica sembra ormai definita e gli effetti avranno un impatto diretto su ecosistema ed energia. Cosa è sperabile per la conservazione del genere umano in queste nuove condizioni? Riusciremo ad adattarci?
E’ chiaro che dobbiamo adattarci ad una situazione da cui non si torna indietro. I fenomeni climatici che vediamo oggi ce li terremo anche per i prossimi decenni: non parliamo mai di invertire l’andamento di ascesa della temperatura globale, ma solo di stabilizzarla. Dobbiamo quindi studiare sistemi di allerta per il pericolo sulle nostre montagne, dobbiamo tappare tutte le falle del nostro sistema idrico, dobbiamo metter in atto misure di soccorso per le persone fragili durante le ondate di calore, ecc.. Ma dobbiamo anche pensare che l’adattamento ha dei limiti. Oggi forse riusciamo a gestire le varie situazioni di rischio climatico. Ma in futuro? Se nei prossimi decenni si avverasse lo scenario business as usual, con un aumento di temperatura media globale di 4-5°C a fine secolo, probabilmente non saremo più in grado di adattarci: si pensi solo al fatto che i nostri modelli mostrano come in queste condizioni i ghiacciai alpini perderebbero il 90-95% della loro superficie e del loro volume rispetto ad oggi. Dove andrebbero a finire le risorse idriche per il nord Italia? Ecco perché, congiuntamente con le azioni di adattamento, dobbiamo assolutamente mitigare, cioè ridurre fortemente le nostre emissioni di gas serra al fine di evitare situazioni che diventerebbero ingestibili!