Il 4 marzo scorso il Ministero del Commercio russo ha dichiarato lo stop all'esportazione di fertilizzanti di sintesi, di cui anche l'Italia era una forte utilizzatrice. Eppure ci sono delle soluzioni alternative che è forse arrivato il momento di incentivare.
Una di queste è l'acquaponica, ne parliamo con la Professoressa Giuliana Parisi, accademica dei Georgofili e Ordinario di Acquacoltura all'Università di Firenze.
Professoressa Parisi, come funziona l'acquaponica e come i pesci possono aiutare le piante a crescere?
Si tratta di un approccio moderno, che può raggiungere anche livelli di estrema complessità, a sistemi integrati applicati anche in epoche storiche remote. Infatti un approccio del tutto simile nel concetto veniva applicato anche dagli Aztechi e nell’antica Cina. Il principio sul quale si basa l’acquaponica consiste nell’accoppiare l’allevamento dei pesci, e quindi l’acquacoltura (acqua-), con la coltivazione dei vegetali in sistemi idroponici (-ponica), mettendo in circolo i reflui derivanti dall’allevamento dei pesci che contengono sostanze azotate e fosfatiche che, una volta mineralizzate dai microrganismi inseriti nel sistema, rappresentano nutrienti che le piante possono utilizzare. Insomma, l’acquaponica consente di trasformare un problema (quello dello smaltimento delle acque reflue, derivanti dall’allevamento dei pesci) in una opportunità, cioè il recupero dei nutrienti che possono essere sfruttati per la coltivazione dei vegetali. L’acquaponica risponde appieno a uno degli obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs) dell’ONU (l’obiettivo n. 12: Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo), obiettivi ai quali tutte le nostre attività devono conformarsi. L’acquaponica rappresenta uno splendido esempio di economia circolare che valorizza gli scarti di un processo produttivo, rimettendoli in circolo. Il principio su cui si basa l’acquaponica può essere declinato a vari livelli, passando da sistemi estremamente semplici (low-tech aquaponics), che potrebbero trovare applicazione anche in contesti economici poco evoluti, per arrivare a sistemi altamente tecnologici, potenzialmente capaci di alte produttività che possono però essere ottenute attraverso un accurato controllo di tutti i fattori convolti e di tutte le fasi in cui il sistema si articola.
Ci sono specie di pesci e piante più indicate per realizzare questo circolo virtuoso? La ricerca in corso promette ulteriori sviluppi in questo settore?
Certamente sì, il sistema pone assai meno problemi ed è quindi più facilmente gestibile nel caso dell’allevamento di specie di acqua dolce (l’impiego dell’acqua salata porrebbe rilevanti problemi anche per la parte idroponica del sistema), e di specie meno esigenti. Carpe e tilapie si adattano benissimo all’allevamento in acquaponica, ma possono essere allevate anche specie di maggiore interesse per il nostro mercato, come la trota. Inoltre, in un nostro studio fatto in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche abbiamo utilizzato anche la spigola, allevata in acquaponica, sfruttando l’eurialinità di questa specie, cioè la sua capacità di adattarsi a valori di salinità diversi, allevandola però in acqua a modesti livelli di salinità.
Le possibilità di sviluppo che la ricerca può offrire sono davvero tante. Il settore è assai stimolante e l’approccio su cui si basa offre spunti interessantissimi per operare nell’ottica della sostenibilità in agricoltura. Purtroppo, il nostro Paese è indietro anche su questo fronte che vede invece iniziative importanti realizzate in Paesi UE ma anche extra-UE a noi vicini, che evidentemente sono riuscite a trovare un “terreno fertile” nello specifico contesto geografico. Sarebbe, ad esempio, molto interessante proporre e realizzare a livello delle scuole sistemi acquaponici “low-tech”, facilmente gestibili, che avrebbero un ruolo educativo estremamente importante, avvicinando le giovani generazioni a un sistema che racchiude in sé i principi di tutto quanto avviene nei sistemi naturali, e aumentando quindi la sensibilità dei bambini nei confronti di sistemi produttivi agricoli caratterizzati dalla sostenibilità, dalla valorizzazione degli scarti, etc.
Ci sono incentivi da parte della Ue per le aziende che vogliano utilizzare questo percorso per ridurre l'impiego di fertilizzanti chimici?
La UE ha finanziato un progetto COST (EU Aquaponics Hub: Realising Sustainable Integrated Fish and Vegetable Production for the EU), al quale ho partecipato e altri progetti nell’ambito di vari programmi di finanziamento, ai quali in alcuni casi hanno preso parte anche le aziende. Non so se le aziende abbiano accesso a particolari incentivi, qualora vogliano avviare questo tipo di attività, ma sicuramente la situazione attuale e il nuovo contesto geopolitico che si sta delineando sta facendo emergere delle criticità nuove, che si sono materializzate in maniera del tutto imprevista. Spero che la tragica emergenza permetta di fare della necessità virtù, stimolando anche attraverso opportuni incentivi tutte le attività che si allineano ai criteri della sostenibilità, per la produzione di energia come per la produzione di alimenti.
Mi diceva che anche lo scarto proveniente dall'allevamento degli insetti, chiamato "frass", potrebbe avere un impiego interessante come concime: ce lo spiega meglio?
Il termine frass viene utilizzato, appunto, per indicare il residuo dell’allevamento degli insetti, rappresentato dalle deiezioni che gli insetti producono durante la fase di allevamento. Il frass si caratterizza per un elevato contenuto in azoto, fosforo e potassio e, inoltre, si caratterizza per la presenza di microrganismi ad azione benefica, per la capacità di stimolare l’attività microbica a livello del suolo. Per le sue caratteristiche e per le sue proprietà, solo in parte adeguatamente e approfonditamente studiate, il frass potrebbe fornire un contributo interessante nella riduzione dei fertilizzanti sintetici in agricoltura. Alcuni studi, tutti molto recenti, hanno considerato l’applicazione del frass prodotto da Hermetia illucens L., la mosca soldato nera, ottenendo riscontri positivi su mais (Beesigamukama et al., 2020; Gärttling et al., 2020), e l’impiego del frass residuo dell’allevamento del tenebrionide della farina (Tenebrio molitor L.) ha prodotto ottimi risultati sull’orzo quando utilizzato in sostituzione parziale o totale dei fertilizzanti chimici fonti di N, P, K (Houben et al., 2020).
Il problema però forse sta nella quantità: in quale percentuale potremmo ovviare all'utilizzo di prodotti di sintesi utilizzando pesci e insetti?
Difficile fare una stima. Sarebbe importante diffondere queste nuove forme di allevamento, considerando ad esempio che l’acquaponica, in forma di piccoli moduli produttivi, potrebbe essere utilizzata anche a livello familiare, oltre che a livello di impianti con elevata capacità produttiva. Ma per arrivare a far sì che questi sistemi possano dare un contribuito nel ridurre anche parzialmente la dipendenza dai prodotti di sintesi, la strada è lunga e occorrerebbe sicuramente una maggiore sensibilizzazione da parte dei vari operatori del settore e da parte anche degli organismi finanziatori. Mentre in Paesi a noi vicini, come ad esempio la Francia, sono sorti e stanno sorgendo impianti per la produzione degli insetti (INNOVAFEED, ŸNSECT) con notevole capacità produttiva, da noi i pochi impianti distribuiti sul territorio hanno dimensioni che li avvicinano più a realtà sperimentali che a vere realtà produttive. Speriamo che il tragico momento che ci tocca vivere possa essere fonte di stimoli ai quali, sono certa, le nuove generazioni potrebbero essere molto sensibili in quanto sappiamo che molti ragazzi sono estremamente critici nei confronti dei modelli produttivi attuali.
Scarica QUI.jpg: uno schema che chiarisce bene il sistema acquaponico, tratto da un testo FAO:
Somerville, C., Cohen, M., Pantanella, E., Stankus, A. & Lovatelli, A. 2014.
Small-scale aquaponic food production. Integrated fish and plant farming.
FAO Fisheries and Aquaculture Technical Paper No. 589. Rome, FAO. 262 pp.