Soprattutto in una stagione come quella appena trascorsa, in cui gli attacchi fungini hanno incrementato a dismisura il numero degli interventi fitoiatrici necessari e non di rado compromesso tutto il raccolto, ritorna il tema dell’auspicabile riduzione dell’impatto ambientale in viticoltura, che come è noto è la coltura che consuma più della metà di agrofarmaci in Europa. C’è chi ritiene il biologico l’unica soluzione, chi si adopera per studiare e mettere in atto tutte quelle pratiche agronomiche che permettono un uso più sostenibile ed il meno impattante possibile dei fitofarmaci, e chi sta pensando di adottare cultivar resistenti o per lo meno di minore suscettibilità ai parassiti.
Ma queste ultime, finora, se pure generate in parte da vitigni europei, discendono anche da linee resistenti di altre specie della vinifera, considerate a torto o a ragione “aliene” ai prodotti locali su cui si basa il successo di tante nostre produzioni. In realtà qualche anno fa sono state scoperte anche in cultivar euroasiatiche di Vitis Vinifera forme di resistenza all’oidio. Proprio su queste varietà, dai nomi esotici come Dzhandzhal kara e Kishmish vatkana, si basano programmi di ricerca ora in corso per l’ottenimento di nuove cultivar da breeding che abbiano caratteri dei vitigni più diffusi o di quelli tipici di certi territori, cercano di limitare al massimo la componente “aliena” dentro a questi nuovi ottenimenti, forti anche del fatto che si conosce ormai la localizzazione nel genoma di alcuni geni di resistenza e i relativi marcatori per poterli individuare.
La sfida ora è verificare se all’interno del germoplasma di Vitis Vinifera, la specie euroasiatica su cui si basa la quasi totalità delle produzioni enologiche d’eccellenza, sono presenti altre varietà che manifestano resistenza ai vari patogeni, considerando che gran parte della vastissima diversità di questa specie è ancora limitatamente esplorata.
Per quanto riguarda la resistenza all’oidio, può essere d’interesse sapere che, oltre alle già citate due cultivar, si sono recentemente aggiunte 10 accessioni di Vitis Vinifera provenienti da varie regioni dell’Asia centrale (8 coltivate e 2 mai domesticate), che hanno dimostrato sia a livello fenotipico che genetico resistenza nei confronti di questa malattia, proprio come alcune specie asiatiche e nord-americane ampiamente usate in passato per il breeding. Ciò appare intrigante, perché non si hanno tracce della presenza di Erysiphae necator (l’agente dell’oidio nella vite) in quelle regioni asiatiche, anche se questo potrebbe essere semplicemente dovuto ad una mancanza di informazioni ora come nel passato.
Venendo all’altro temibile parassita fungino della vite, la peronospora, studi recenti, condotti per ora soltanto sulla valutazione dell’infezione su parti di lamina fogliare sottoposte ad inoculo di condi di Plasmopara viticola, hanno indicato non solo che vi è un’ampia gamma di resistenza/suscettibilità a questo parassita tra le diverse cultivar di vinifera, ma che alcune spesso oscure e poco conosciute, paiono manifestare resistenza. Così è stato rilevato per 8 su 262 accessioni provenienti da Georgia e Armenia, e per 5 cultivar su 158 provenienti dalla Penisola Iberica.
Sicuramente queste prove sul fenotipo andranno ripetute, oltre che approfondite con strumenti molecolari capaci di verificare le basi genetiche di tali resistenze, ma questi primi screening indicano che vi è ancora molto da scoprire su tanta parte delle risorse genetiche della vite che pure conserviamo in tante collezioni in giro per il mondo, che materiali apparentemente insignificanti possono offrire potenzialità inaspettate per il futuro, e che il lavoro spesso ingrato di paziente raccolta, salvaguardia e valutazione di tali risorse ha una funzione fondamentale per il mondo di domani. Riusciremo a non dimenticarlo?
Da: OICCE TIMES, numero 60 anno XV, autunno 2014
Interesting and unexpected resistances
Fungus attacks dramatically increase the number of phytopathological applications necessary, and often compromise the entire crop, especially in seasons like the one just ended. This raises the issue that viticulture—known for using over half of the crop protection products in Europe—should reduce its environmental impact to a more acceptable level. Adopting cultivars resistant or at least less susceptible to pests is also being planned; however, even if partly generated from European grape varieties, the latter also come from lines resistant to other species different from those used in wine production, which, rightly or wrongly, are considered “alien” to the local products on which the success of much of our output is based.