I biocarburanti di prima generazione prevedevano l'uso di fonti alimentari, come mais e canna da zucchero, innescando polemiche sulla competizione territoriale tra biocarburanti e cibo in un mondo in cui la sopravvivenza alimentare non è ancora garantita per tutti. Si è quindi passati a biocarburanti di seconda generazione che prevedevano fermentazioni controllate da scarti, come paglia e legno, non direttamente commestibili o utilizzabili nella catena alimentare. Questa tecnologia ha però dei limiti. “il problema è che gli impianti richiesti per i biocarburanti di seconda generazione sono di grandi dimensioni, con la necessità di trasporto su grandi distanze del materiale di scarto. Lo stesso processo produttivo è energivoro e nel complesso si consuma una grande quantità di energia” secondo Mitsuo Horita, ricercatore dell'Istituto nazionale giapponese per le scienze agro-ambientali. Gli scienziati nipponici hanno messo a punto un sistema completo, e su scala ridotta, tanto da poter essere utilizzato anche in un'azienda agricola. Nessun processo troppo complicato da gestire, essendo basato sul sistema tradizionale già adottato dagli agricoltori per la produzione di insilati per l'alimentazione animale. Il processo messo a punto in Giappone prevede sì l'utilizzo di cereali ma con produzione di etanolo, con un'elevata resa, mangimi di buona qualità e nessun rifiuto. Il processo è stato definito “fermentazione allo stato solido” e consiste nell'imballaggio delle piante di riso intere, unitamente a lievito ed enzimi, avvolgendole con pellicola impermeabile. Durante il processo, i lieviti convertono gli zuccheri e l'amido del riso in etanolo, che si accumula e può essere facilmente drenato per poi subire il processo di distillazione per divenire carburante. Al termine della fermentazione la balla sarà un insilato di alta qualità. Il tallone d'Achille è il tempo lungo richiesto dal sistema che, tuttavia, presenta il vantaggio di non richiedere alcuna immissione di energia. E' ancora presto perché il sistema possa essere commercializzato e diffuso; gli studiosi vogliono infatti migliorare la resa in etanolo e la percentuale di recupero, oltre a effettuare una valutazione ambientale completa dell'intero ciclo produttivo.
Da Teatro Naturale, 6/02/2015