L’accordo TTIP (Transatlantic Trade and Investment Parnership) negoziato tra USA e Unione Europea, mira a creare la più grande zona di libero scambio del pianeta, destinata oltretutto ad aumentare se il progetto si estenderà al NAFTA (Usa, Canada, Messico) e all’AELE (Associazione Europea di Libero Scambio), realizzando l’unità economica del mondo occidentale.
In tutta Europa si va manifestando un diffuso malcontento per il TTIP. Critiche sempre più pesanti sono sollevate dal mondo associativo, da quello accademico, da alcuni importanti governi europei e dalla stessa opinione pubblica. Alcuni studi, basati essenzialmente su modelli econometrici di Equilibrio Generale, sono stati presentati a sostegno di un impatto positivo del TTIP. Si tratta in ogni caso di vantaggi minimi, stimabili in pochi decimali del PIL europeo, oltreché diluiti in un arco di tempo ultradecennale. Di converso altri studi, nel valutare l’incidenza del TTIP sull’economia europea, hanno utilizzato il modello globale delle Nazioni Unite, finalizzato a simulare gli impatti macroeconomici di shock esogeni per l’economia globale. Questo modello giunge addirittura a risultati di significativa negatività. Il taglio dei costi connesso all’accordo avrebbe effetti negativi se ciò che si taglia è il reddito da lavoro, che supporta la domanda aggregata.
A prescindere dal reale impatto dell’accordo, è comunque incontrovertibile che il negoziato sia la dimostrazione palmare di un processo di aggregazione planetaria, una sorta di deriva tettonica verso aree contrapposte sul piano politico e su quello economico (basti pensare al rapporto Usa-Cina o USA-Russia). Gli impegni di garanzia assunti a livello politico in sede di negoziato, sul piano comunitario o su quello nazionale, appaiono di difficile – se non impossibile – realizzazione salvo che non si voglia immaginare una condiscendenza USA ad adeguarsi alla struttura europea in campo economico, in quello sociale o ambientale.
A causa della crisi che ci attanaglia, sussiste il timore che si sia disposti a cedere anche su questioni importanti pur di acquisire minimi vantaggi sul piano delle esportazioni, mettendo a rischio la sicurezza alimentare, la tutela della salute, le condizioni di lavoro, le politiche ambientali, le strategie di sviluppo. Si paventa, in definitiva, un forte pregiudizio per gli standard europei, più elevati rispetto agli USA. In effetti, con riferimento al settore agroindustriale, i vantaggi attesi dall’accordo, a supporto dell’esportazione dei prodotti trasformati, sono la riduzione dei costi delle divergenze di regolamentazione sul piano amministrativo e l’attenuazione dei controlli sanitari e fitosanitari.
Una contropartita, quella del mercato statunitense, di difficile realizzazione se non saranno attivate idonee strategie di promozione ed accettate, in ambito negoziale, strumenti di proprietà intellettuale adeguati a fronteggiare il fenomeno dell’italian sounding.
Preoccupazioni ancora maggiori sussistono se si valuta l’impatto TTIP sull’agricoltura italiana. Infatti, salvo vere e proprie eccezioni, il nostro Paese, afflitto da una sconfortante e crescente deficit produttivo, non potrà certamente trovare in uno sviluppo del potenziale esportativo le compensazioni acquisibili dalle imprese di trasformazione.
La distanza tra le posizioni negoziate ha ingenerato nel nostro paese uno sterile attendismo, rinviando la decisione finale ai momenti conclusivi quando i termini dell’accordo saranno pienamente esplicitati. Tale lassismo appare del tutto irragionevole e di grande rischio. Il nostro Paese risulta oltre tutto penalizzato dalla sempre più evidente asimmetria nella trasmissione dei prezzi dal mercato internazionale a quello interno e da una continua richiesta di investimenti agricoli. Del resto, voci sempre più frequenti anche nel mondo accademico stanno attirando l’attenzione su una generalizzata e a volte inspiegabile riduzione dei prezzi agricoli sul mercato italiano, molto spesso insufficienti a coprire gli stessi costi di produzione.
Una cosa è certa: è ormai improrogabile la definizione di indirizzi pubblici di politica agricola, che costituiscano le linee guida necessarie per il recupero di un livello congruo di competitività, non solo all’interno della UE ma soprattutto sul piano extracomunitario.
Tratto dal testo di Lodovico Fiano (“L’industria saccarifera italiana” vol. 107, 2014, n° 6)
Does the EU-USA economic agreement truly benefit Italian agro-industry?
The TTIP agreement (Transatlantic Trade and Investment Partnership) between the USA and the European Union aims at creating the planet’s largest free-trade area, meant to become even bigger if this project is extended to NAFTA (USA, Canada, and Mexico) and AELE (European Free Trade Association), thus creating an economic union of the western world.
All over Europe, there is widespread discontent with TTIP. Increasingly harsh criticism is coming from the worlds of trade and industry associations and academia, some important European governments, and public opinion itself. Even greater worries arise if TTIP’s impact on Italian agriculture is considered. In fact, plagued by a growing and disheartening production deficit, our country will certainly not find, barring real exceptions, the compensation in the development of potential exports that processors will be able to acquire.