L’obiettivo della sicurezza alimentare, necessaria per la salute dell’uomo grazie a diete corrette per quantità e qualità, implica la presenza di alimenti di origine animale (AOA), ma non può prescindere dall’impatto ambientale di questi ultimi; di qui l’approccio One Health che integra le esigenze di salute del pianeta, con quella degli animali (e piante), entrambe importanti per garantire la salute degli uomini. Tuttavia, per evitare false interpretazioni, è anzitutto necessario correggere talune informazioni assai diffuse e non sempre del tutto corrette:
- Se gli eccessi di AOA accrescono i rischi di malattie degenerative, l’insufficienza è causa certa di minore sviluppo fisico-cognitivo;
- Gli animali non forniscono solo cibo, ma anche lavoro, concime organico, fibre tessili e pellami, servizi vari di tipo economico-sociale, ma soprattutto producono sfruttando prevalentemente vegetali e acqua non altrimenti utilizzabili dall’uomo;
- Le emissioni di CO2 eq del sistema zootecnico, relativamente modeste anche se non trascurabili, possono essere contenute migliorandone l’efficienza e – se ben gestito – tale sistema contribuisce ad accrescere il Soil Organic Carbon (SOC) con riduzione delle emissioni. Esso è pure causa di alcune forme di inquinamento (PM10, nitrati ecc.) che è necessario contenere, ma senza dimenticare che – ove venissero a mancare gli allevamenti -l’aumento degli animali selvatici creerebbe analoghi problemi ambientali;
- Le giuste preoccupazioni di tipo etico (sofferenza e morte) degli animali allevati, sono ormai fatte proprie da chi pratica un allevamento razionale, anche perché utili agli stessi allevatori.
Sin dall’antichità e a partire dalla “scoperta” dell’agricoltura, l’uomo ha fatto ricorso agli animali – e alle piante - per finalità e con modalità diverse e, sulla spinta della crescita demografica, ha occupato aree sempre maggiori, in precedenza destinate a foreste e altri ecosistemi naturali. Solo in tempi relativamente recenti, le dimensioni di questa operazione sono diventate preoccupanti, ma – non trattandosi di interventi futili – il necessario rallentamento o inversione può avvenire a due condizioni: che l’aumento della produttività oggi permesso dalle conoscenze scientifiche e tecniche consenta di ottenere lo stesso cibo su una minore superficie, inoltre che i suoli comunque già occupati dall’uomo mantengano integra la loro fertilità nel tempo. Naturalmente, vi sono anche altre condizioni utili allo scopo (correggere i consumi di AOA, ridurre perdite e sprechi, contenere varie cause di emissioni, di inquinamento ecc.); tuttavia, a noi preme evidenziare che nessun sistema agricolo sostenibile può esimersi dall’obbligo di garantire – unitamente alla sostenibilità agro-ecologica - quelle economica, etico-sociale e nutrizionale. A tal fine, con specifico riferimento alle produzioni animali, esiste la possibilità di ricorrere (ottimizzandoli) ai sistemi misti, definibili come “Agro-zootecnia integrata”, pur senza disconoscere i sistemi del tutto estensivi (con forme di pastorizia) e soprattutto quelli intensivi. Circa i primi, ne ricordiamo i pregi (economia circolare e conservazione della fertilità dei suoli, premesse di cibo idoneo per quantità e qualità), che si esplicitano nella reciproca utilità per coltivazione e allevamento. Queste forme possono ancora avere un ruolo nei Paesi ad Alto Reddito (PAR), almeno nelle aree dove il pascolo risulta preferibile per ragioni pedo-climatiche, oppure si voglia lucrare su talune peculiarità ricercate dai consumatori (biologico o comunque maggiore “naturalità” e “salubrità” degli alimenti). Al tempo stesso, grande importanza possono avere anche nei Paesi a Basso Reddito (PBR), dove l’indispensabile sviluppo rurale non può prescindere da interventi che coinvolgano gli animali, sia per quanto già ora forniscono: cibo, lavoro, concime, capitale ecc., ma soprattutto per quanto dovranno evitare: l’enorme impatto ambientale attualmente in essere. Tutto ciò è possibile solo con l’innovazione che accresca la produttività-efficienza all’interno di una forma mista di coltivazione e allevamento (con prevalenza della prima nella piccola azienda familiare e del secondo nel caso della pastorizia). Questa innovazione implica peraltro un supporto che i PAR debbono ai PBR; il che si giustifica in primo luogo per la rilevanza quantitativa in termini di numeri di persone, di aree degradate, di emissioni di GHG e di problemi sociali da ciò sottesi. Tuttavia, non meno rilevante è il fatto che questa indispensabile innovazione non si riesce a diffondere efficacemente – soprattutto in Africa – senza un approccio di partenariato vero e proprio dei PAR nei confronti dei PBR; quindi, quindi non limitandosi agli aspetti tecnico-finanziari, ma estendendoli a quelli socio-antropologico-culturali e coinvolgendosi in prima persona. Per quanto non sia apparentemente connessa al tema agro-zootecnico, la conclusione è che il futuro planetario di One Health passa anche dallo sviluppo agro-zootecnico dei PBR; ad esso, peraltro, debbono contribuire i PAR, purché il loro modo di agire renda questi popoli attori – in quanto capaci e responsabili - del proprio cambiamento verso lo sviluppo.