A fine luglio l’invio a Bruxelles del documento dell’Italia sulle scelte nazionali per l’applicazione della nuova Pac in vigore fino al 2020 ha concluso una fase caratterizzata da discussioni a non finire fra i diversi protagonisti di ciò che resta della politica agricola italiana. Ora si attendono le parti applicative su cui si sono riaperte le antiche divisioni, ma bisogna fare in fretta, perché mentre a Roma si discute, in tutte le nostre campagne incombono scelte necessariamente legate alla nuova Pac in vigore dal 1° gennaio 2015.
Fra le novità della riforma spicca la facoltà concessa agli stati membri di una certa dose di autonomia su alcuni aspetti applicativi. Questa concessione, che non è la rinazionalizzazione della Pac, non certifica la maturità della Pac, ma è la drammatica prova che l’ampliamento del numero degli stati membri sta conducendo alla paralisi anche la più antica e avanzata politica comune europea. La delega è una deludente ammissione di impotenza. Va in scena per quella agricola quello che è il dramma di tutte le politiche europee, a partire dalla più rilevante quella economica e monetaria rappresentata dall’euro: il conflitto sempre più acuto fra gli interessi nazionali e quelli sovranazionali
Con la Pac siamo alla quinta tappa, non l’ultima, di un percorso iniziato da 22 anni per passare dal modello della fine degli anni ’50 a quello degli anni’90 che nasce già vecchio perché, di fatto, tiene solo parzialmente conto dei cambiamenti dello scenario agricolo mondiale.
La nuova fase si muove lungo gli abituali compromessi Ue ed è basata su gradualità, per non introdurre bruschi cambiamenti, adattamenti, per non stravolgere l’esistente e una modesta attenzione alle nuove necessità, tanto per apparire à la page.
La nuova Pac evita questioni vecchie e mai risolte, in particolare quella di avere una politica agraria unica con strutture agricole diverse e in assenza di altre politiche comuni, insomma: il copione dell’euro. Allo stesso tempo non tiene conto che gli effetti dell’allargamento si fanno sentire, le nuove politiche comuni dell’Ue richiedono risorse a scapito di quelle per l’agricoltura, la crisi mondiale sollecita risposte che la vecchia Pac non dava.
Ma non fa meglio l’interpretazione italiana dell’autonomia, vittima della volontà di non toccare lo status quo e prigioniera dell’impossibilità di compiere scelte coraggiose per le opposte resistenze. Le risorse, in calo, vengono disperse in mille interventi, non c’è una linea guida e la volontà/capacità di attuarla.
Politica agraria vera cercasi.